Dalla 114esima alla 120esima Strada, stretto fra Broadway e Amsterdam Avenue, il campus della Columbia University è ancora circondato da pattuglie. La polizia di New York, collaborando con la security dell’università, ha ridotto a due i punti d’entrata. Tutto il resto, compresa l’uscita della metro a 116th Street, è transennato, e delimitato da un nastro giallo controllato 24 ore su 24 da decine di agenti. Solo mostrando il tesserino ufficiale della Columbia si può passare. Dentro, le tende sono ben piantate sul prato. È questa la situazione a qualche ora dallo scadere dell’ultimatum dato dall’amministrazione universitaria per sgomberare tutta l’area delle proteste anche se pacifiche.
“Le tende sono ancora tutte lì, né una in più né una di meno – spiega Matt Childress della Columbia Public Safety. – Vedremo quello che succederà stasera. Intorno, per quanto possibile, stanno costruendo la struttura per la giornata delle lauree”. Il commento è risicato. “Dall’alto non ci viene detto più nulla perché altrimenti rischiamo di dire ai giornalisti qualcosa che non deve essere detto”, si giustifica un altro, che preferisce rimanere anonimo. Nessuno ha piacere di parlare o perché sfiniti dall’attenzione mediatica – le televisioni americane e non sono schierate davanti all’ingresso sulla 116esima Strada – o perché la questione è controversa.
“In realtà sono solo i media che continuano a romanticizzare questa storia – critica Reva Feinstein. – Questa manifestazione non c’entra niente con le proteste del ‘68 contro la guerra in Vietnam. È completamente diversa e lo è anche il modo”. Dal 7 ottobre Reva gira per Morningside Heights – “è il mio quartiere da vent’anni” – e cerca di sensibilizzare sui rapimenti degli israeliani da parte di Hamas appiccicando su bidoni e lampioni i volantini con la scritta “Kidnapped” (“rapito”) in rosso e a lettere cubitali le foto dei giovani sequestrati da Hamas. Con sé, avrà una centinaio di fogli. “Continuo ad attaccarli perché so che prima o poi verranno oscurati dai graffiti o tolti, ma non possiamo smettere. Ci sono ancora 132 persone in ostaggio”.
L’ex insegnante della Columbia si muove agile sul marciapiede lungo la 120esima Strada, all’incrocio con Broadway Avenue. Si arrampica su un lampione e attacca un volantino, proprio davanti all’entrata del Levien Gymnasium . “Non ho mai subìto un attacco diretto – continua Feinstein. – Anzi, a volte ricevo dei commenti di supporto, degli incitamenti a fare di più. Io anche in mezzo alle proteste pro palestinesi pur essendo ebrea mi sento sicura”.