Dopo l’introduzione del direttore Anthony Tamburri, al John D. Calandra Italian American Institute di New York sono state riportate le “Memorie intergenerazionali della seconda guerra mondiale: le prigionie italo-americane”. Una tavola rotonda dove gli eredi dei nostri connazionali, costretti al carcere fra il 1940 e il 1943 e sparpagliati in tutto il mondo, hanno raccontato la loro esperienza familiare. Si inserisce nella serie di eventi organizzati da Elena Bellina della New York University e della University of Sydney e co-sponsorizzati da Casa Italiana Zerilli-Marimò, University of Sydney, John D. Calandra Italian American Institute (Queens College, CUNY) e Centre for Italian Modern Art (CIMA).
“È ancora molto importante preservare la memoria di queste persone – ha cominciato Tamburri, – affinché non vengano dimenticate né trascurate, ma possano contribuire a una più ricca comprensione della complessità dell’esperienza umana e di questo argomento che fino a qualche anno fa era poco conosciuto”.

Durante la Seconda Guerra Mondiale molti prigionieri furono catturati anche in base alla loro razza e nazionalità, oltre 1.600 italoamericani e più di 5.000 australiani-americani furono arrestati e internati come stranieri nemici tra il 1940 e il 1943.
Fra i relatori che hanno partecipato alla conferenza c’era anche Laura E. Ruberto da Berkeley, in California, che ha raccontato la storia di Andrea Franzoni che alla ricerca del passato del nonno, Aldo Arrighi, abbia scoperto anche se stesso. Due anni fa, il giovane italiano aveva raggiunto gli Stati Uniti per attraversarli in bicicletta, da Seattle all’Arizona, e ripercorrere a ritroso il viaggio del suo antenato, che era stato prigioniero di guerra a Fort Lewis in Virginia negli anni ’40.
La prigionia di Arrighi negli Stati Uniti era stata densa di avventure, amore e terrore. Quando erano in famiglia, il nonno raccontava spesso la bellezza del risveglio sul Monte Rainier, nello Stato di Washington, e nonostante avesse espresso l’esigenza di tornare in quei luoghi morì nel 2019 all’età di 97 anni senza rivederli. Franzoni ha quindi ripercorso l’itinerario che suo nonno aveva fatto come prigioniero di guerra e per visitato i campi in cui era stato detenuto. A suo tempo, il motivo principale del viaggio era un modo di dire addio al nonno e proseguire le sue volontà. Ma il nipote ne rimase profondamente colpito.
Giorgia Alù/VNY Media