Ieri sera nella sala principale dell’Istituto Italiano di Cultura a New York, sold out per l’occasione, è stato introdotto dal vicedirettore Massimo Sarti e successivamente proiettato il film “My Italian Secret -The Forgotten Heros”, diretto da Oren Jacoby e con voce narrante di Isabella Rossellini e Robert Loggia.
Si tratta di un racconto molto accorato e intimo che, attraverso i ricordi di alcune persone italiane ed ebree, ripercorre gli anni della persecuzione, delle fughe e talvolta delle deportazioni che li hanno visti protagonisti assieme alle loro famiglie.

Il film ha un filo conduttore inedito che è la riconoscenza: molti fra i sopravvissuti ringraziano altri connazionali a cui in qualche modo devono la vita, mentre scappavano dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Italiani che aiutarono e che a loro volta vennero aiutati da persone anonime come portieri, suore o vicini di casa che li nascosero salvandoli dalla furia nazista. Fra i volti noti c’è Gino Bartali, con cui il documentario apre e indugia attraverso immagini di repertorio in bianco e nero sulle sue leggendarie imprese ciclistiche.
A tradurre la sua storia è il figlio Andrea che descrive l’esistenza non solo di un campione, ma anche di un eroe, che rischiò la propria vita per salvare quella di innocenti. Bartali, infatti, facendo parte dell’organizzazione clandestina DELASEM (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei), dal 1943 trasportò documenti e fototessere all’interno dei tubi del telaio in modo che una stamperia segreta potesse poi falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati.
Alcuni degli intervistati all’epoca dei fatti erano ancora bambini anche se ricordano nitidamente l’Italia del Fascismo e come le loro esistenze da un momento all’altro furono stravolte. Un sopravvissuto racconta che era in fila dal barbiere quando il padre gli appoggiò delicatamente una mano sulla spalla dicendogli di dover scappare. Riuscirono a trovare un nascondiglio sicuro fino a quando un ragazzo che si era invaghito della sorella, che non aveva accettato le sue avances, li denunciò per 5.000 lire, il corrispettivo pagato dai fascisti per ogni ebreo che riuscivano a individuare e a depennare dalle liste che avevano in mano quando rastrellavano le città.
Il documentario è trasversale riporta le storie di cittadini che dal Nord al Sud d’Italia, come il dottor Giovanni Borromeo, primario dell’ospedale di Roma Fatebenefratelli; Monsignor Schivo di Città di Castello in Umbria; la famiglia Virgili di Secchiano nelle Marche; e molti altri che non rimasero indifferenti alle difficoltà dei connazionali ebrei.
Secondo i dati della Fondazione Centro Di Documentazione Ebraica Contemporanea, furono deportati nei campi di concentramento almeno 6.806 ebrei italiani, dai quali ne tornarono soltanto 837. Come ricorda un protagonista del film: “Quella storia non può essere solo raccontata, devi averla vissuta”.
