Potremmo partire dal Capitolium, o dal Museo di Santa Giulia, o, ancora, dalla Pinacoteca Tosio Martinengo. Invece no. Andiamo subito a Los Angeles, al J.Paul Getty Museum. Perché qui c’è un’esposizione che ha qualcosa a che vedere con Brescia, quest’anno Capitale della Cultura insieme a Bergamo. Diciassette tele del pittore lombardo Giacomo Ceruti, sono state portate oltreoceano, intrise delle espressioni immobili di quegli ultimi da cui l’artista nel settecento traeva ispirazione.
Mendicanti, vagabondi, persone in chiara difficoltà ritratte a Milano prima e a Brescia negli anni successivi, per una collezione all’epoca sottovalutata. Oggi la riscoperta di dolori intestini, e una differente esigenza di empatia, hanno portato a rivalutare quei dipinti. Altro che Pitocchetto, così veniva chiamato il Ceruti, che si è dimostrato un grande osservatore. Los Angeles brulica di homeless con lo stesso sguardo liquido, che chi scrive ricorda aver incontrato nel docufilm del regista Alexo Wandael Tomato Soup in Skid Row, girato proprio tra ciò che resta di Hollywood. Le opere di Giacomo Ceruti, già esposte a Brescia, saranno a Los Angeles fino a ottobre. L’esposizione in Italia chiamata “Miseria e Nobiltà” si trasforma oltreoceano in “A Compassionate Eye”.
È questo il solo filo conduttore tra Brescia e l’America? No. Ce n’è uno rosa. Nasce per caso ed è frutto di una visita privata alla Leonessa d’Italia di Ingrid Lewis Martin, braccio destro e consigliere capo di Eric Adams alla guida di New York. Occasione in cui ha incontrato Laura Castelletti, la neosindaca di Brescia. Visita che potrebbe essere presto ricambiata su invito della potentissima Martin.
Nominata l’anno scorso chief advisor di Eric Adams, Lewis Martin nelle sue vacanze italiane con base a Milano, è stata anche in Franciacorta, terra di eccellenze vitivinicole, e sul Lago d’Iseo. Ma quello che si tocca con mano, ripercorrendo i suoi passi, è l’impulso irresistibile di Brescia a trasformarsi in polo culturale a tempo indeterminato. Dev’essere questo spirito laborioso, costruttivo e in parte magico ad aver stregato, oltre ad Ingrid Lewis Martin, molti pragmatici statunitensi. Lo si percepisce varcando la soglia della Fondazione Brescia Musei. E dalla concretezza del suo direttore, Stefano Karadjov, che dopo aver incontrato la Martin fa subito i conti: “Prima della pandemia la media dei visitatori era di 235 mila l’anno, contiamo di chiudere il 2023 con 400 mila accessi ai nostri Musei”.

La spinta è certamente arrivata con la Città della Cultura, elogiata in un articolo sul New York Times che ne esaltava le bellezze, ma c’è dell’altro. A New York è radicato il sostegno dei privati a musei e parchi. Dalla membership al Met, ad esempio, alla targa su una panchina di Central Park, acquistata per sostenerne la manutenzione.
“Ad oggi – dice Karadjov – sono 43 i grandi imprenditori locali che aderiscono ad Alleanza per la Cultura. Questo vuol dire che se le spese per le attività ordinarie sono garantite dalla concessione tra Comune e Fondazione, quelle straordinarie, così come alcune iniziative speciali, sono a cura di privati che nel quotidiano hanno attività totalmente differenti, dalla siderurgia alla ricerca. Ma il loro amore per il territorio, per la storia e la cultura bresciana, li ha portati ad investire in una sorta di missione sociale d’impresa”. Un mix pubblico-privato che si sta rivelando vincente, raro in Italia, come detto ben più diffuso negli Stati Uniti.
Ma cosa cercano i turisti americani a Brescia? “La nostra città propone una mappa di sviluppo della cultura occidentale che parte dal periodo pre-romano, come capitale del regno dei galli Cenomani, per arrivare a quello dell’Antica Roma che ritenne la località strategica per la sua posizione all’imbocco delle valli del ferro, già usato all’epoca per le armi. Per poi passare alla cultura longobarda e a quella veneziana ed ancora all’annessione al dominio francese prima ed austriaco poi. Una sorta di Italia in miniatura”. 2500 anni di storia in un chilometro, quello del Corridoio Unesco recentemente inaugurato, che unisce il Parco archeologico con il Capitolium al Museo di Santa Giulia e la sua Domus perfettamente conservata. E poi il progetto espositivo che vede insieme Il Pugile in riposo e la Vittoria Alata di Brescia, bronzi di età ellenistica e romana per la prima volta insieme in uno spazio appositamente realizzato dal maestro spagnolo Juan Navarro Baldeweg.
Le tracce di un passato di sfarzi romani sono evidenti con una sola passeggiata nel cuore del centro storico, così a portata di mano da essere parte del presente.

© Courtesy of Fondazione Brescia Musei – photo A. Chemollo
La ricerca della storia sta, dunque, ampliando la platea del turismo straniero, fino a pochi anni fa in quest’area, come sul Lago di Garda, quasi esclusivamente tedesco, francese e olandese. Ma c’è ancora altro ad unire New York e Brescia. E’ un fumettista, Lorenzo Mattotti: “A metà settembre inauguriamo una sua esposizione” dice il Direttore della Fondazione, ricordando (e come dimenticarlo? Ndr) che è autore di diverse copertine del New Yorker, tra cui quella della riapertura del Luna Park di Coney Island dopo la pandemia. Brescia ha aperto dunque la sua finestra sul mondo. Non è la prima volta che lo fa, ma quest’anno è stata di maggiore impatto.
Le opere crude dell’artista cinese Badiucao, che hanno portato ad esempio a riflettere sulla censura ai tempi del Covid, o quelle della fumettista sovietica Victoria Lomasko, con la sua protesta contro il regime, ci hanno preso per mano e portati “dentro temi sociali, approfondendo il rapporto con il contemporaneo. Accadrà ancora – dice Karadjov – perché la quinta edizione del Festival della Pace di Brescia, a novembre, porterà in città una mostra di artiste iraniane. Un grande evento con un focus sulla condizione femminile”.
E poi altri contrasti e riflessioni, perché il futuro può anche essere immersivo o digitale. Così Brescia Musei propone sei installazioni di Fabrizio Plessi, pioniere della videoarte, catapultando in epoche differenti il cacciatore di emozioni.
No, pare proprio che Brescia non abbia alcuna intenzione di restare legata alla cultura a tempo determinato. Il capitolo arte, ed il legame con gli Stati Uniti, non è destinato a chiudersi con il 2023.