“La lingua è un organismo vivente e va curata, amata, protetta”
Esordisce così Dacia Maraini nel lungo incontro all’Istituto Italiano di Cultura di New York. parte della ventiduesima settimana della lingua italiana nel mondo. Incontro per presentare “Sguardo a Oriente”, libro di reportage, ricordi e racconti dei molti viaggi della scrittrice nel continente asiatico. Ma prima una difesa della lingua, patrimonio identitario del popolo, da proteggere dal servilismo linguistico, dall’uso di parole straniere per puro snobismo, senza cercare equivalenti italiani, che esistono nella maggioranza dei casi, e sono tanti, aggiunge.
Sta proprio agli scrittori la responsabilità di mantenere la ricchezza della lingua viva. “Non esiste il pensiero senza la parola – spiega – se pensiamo bene parliamo bene, l’uso di molte parole è il segno di un pensiero complesso. E il pensiero semplice porta alla guerra, che è una cosa semplice: c’è un nemico, l’odio, l’imperativo di sconfiggerlo.”
Ma come può esistere un nemico se siamo tutti uguali? Perché siamo tutti uguali ribadisce con fermezza Dacia Maraini, rispondendo ad una persona del pubblico che le chiede quale sia l’idea che vuole dare all’occidente delle sue memorie orientali. “Sotto le differenze c’è l’umanità, dobbiamo cercare i valori universali e difenderli. In questo momento stiamo andando in direzione contraria difendendo le differenze, ma queste sono il frutto delle sovrapposizioni culturali storiche delle tradizioni.”

Pubblicato da Marlin editore e curato da Michelangelo La Luna, ordinario di Lingue e letterature italiane alla University of Rhode Island, che moderava l’incontro, il libro ci porta in Afghanistan, Cina, Corea, Giappone, India, Palestina, Iran, Siria, Tibet, Turchia, Vietnam e Yemen.
Molti i viaggi fatti per tenere lezioni nelle università, “sorprendente l’amore per la lingua italiana degli studenti in Cina o in Vietnam” dice, molti quelli con Pierpaolo Pasolini alla ricerca di una umanità pura, non corrotta. Viaggi in land rover dormendo in tende o rifugi occasionali per evitare percorsi turistici meno autentici. Anche con altri due compagni di eccezione: Maria Callas e Alberto Moravia.
Viaggi in cui l’attenzione di Dacia Maraini inevitabilmente cadeva sulla condizione femminile. “In Afganistan ho chiesto perché le donne sono coperte, mi hanno risposto che le donne sono una tentazione, ma allora sono gli uomini il problema, perché non riescono a resistere alla tentazione! Ho provato un burqa ed è una vera prigione: vedi solo quello che hai davanti, niente ai lati, non senti bene, tutto è attutito, e inciampi su tutta questa stoffa fra i piedi. La condizione delle donne in questi paesi è tremenda e trovo estremamente coraggioso e da sostenere quello che stanno facendo le ragazze in questo momento in Iran, il taglio simbolico dei capelli che significa rivendicare i diritti negati, atto di grande forza perché rischiano moltissimo.”
Il Giappone naturalmente riporta i ricordi del campo di concentramento di Nagoya in cui è stato chiusa con tutta la sua famiglia da bambina dal 1943 al 1945. “I miei non hanno voluto aderire alla repubblica di Salò – ricorda – i giapponesi hanno chiesto a mio padre perché? Sei comunista? No. E allora? Non credo nella supremazia della razza. Non esistono le differenze di razza. Questo è stato uno dei grandi insegnamenti di mio padre antropologo, insieme al suo straordinario esempio di coraggio.”
