Con quali occhi una neolaureata italiana in Lettere entra a sbirciare la prestigiosa Italian Academy? Ho avuto l’onore di partecipare alle due lezioni conclusive del corso intitolato “Introduction to Italian Literature“, tenuto con grande entusiasmo dal professor Steven Baker. Docente della Columbia e dell’NYU (New York University), può vantare più di quindici anni di esperienza nell’insegnamento della lingua e della letteratura italiana, nonché di quella mondiale.
Si tratta dell’unico tra i Dipartimenti di lingua alla Columbia a proporre una serie di lezioni di questo tipo, interamente in italiano e obbligatorie nel piano di studio. Un caso particolare questo, inserito in un contesto universitario americano più generale, che assicura il piacere di una cultura a tutto tondo, attraverso l’arte, la musica, la filosofia e, ovviamente, la letteratura.
Per noi italiani è così strano pensare ad un corso di laurea, ad esempio, in un settore scientifico, per cui siano necessari almeno due anni di studio di una lingua straniera. Eppure, questa è la realtà universitaria americana, che rispecchia perfettamente il campione di studenti del corso in questione: su quindici frequentanti, dai 18 ai 60 anni, chi nel pieno della propria carriera universitaria, chi pronto per la graduation, chi semplicemente uditore, solo la minoranza si occupa di Humanities, tra cui storia dell’arte, cinema e teatro.
Hanno la meglio, invece, gli studenti dei settori scientifici ed economici, tra cui un’ambientalista e un futuro cervellone dell’MIT (Massachusetts Institute of Technology). Un perfetto esempio, inoltre, del grande valore attribuito anche a piccoli gruppi di universitari, concentrati in seminari interattivi, nuovamente qualcosa di impensabile per l’Italia, ma di routine negli USA.

Solo pochissimi studenti provengono da famiglie italofone, eppure l’interesse per la nostra lingua in questa classe è palpabile, sia fra gli europei ma, soprattutto, fra gli americani, a conferma del crescente interesse a tal riguardo negli States. Ognuno con un differente livello di padronanza dell’italiano, ma tutti in grado di comprenderlo durante le spiegazioni e attraverso i testi letterari. E questo lo si deve ad un accademico, ma soprattutto ad un docente, in grado di mettere a proprio agio anche gli alunni più timidi e incerti, lasciandoli commettere qualche errore innocente e spronandoli a non aver paura di tentare.
Ed è proprio per il suo carisma e per l’interesse scaturito dal programma del corso, che alcuni hanno continuato a frequentare senza nessun obbligo universitario, ma semplicemente perché si sono appassionati. Il programma, infatti, incuriosisce per la sua natura antologica, testi brevi di ogni autore, piccoli assaggi di grandi opere, pensati come spunti per un dibattito su temi più generali e attuali.

Il coraggioso intento del professor Steven Baker non è solo quello di insegnare la tradizione e la storia italiana attraverso la letteratura, ma, soprattutto, provare a creare una vera e propria comunità di studenti. A fine lezione non tutti fuggono per assistere agli altri corsi, alcuni restano a conversare, per il puro piacere della sua compagnia e per disquisire liberamente di arte.
Non è fondamentale che ognuno di loro al termine del corso sappia padroneggiare un italiano invidiabile, piuttosto la grande vittoria è portarli nei musei e a teatro, con la speranza che ci vadano di loro volontà in futuro. Perciò il programma prevede come tappa fondamentale la visita al MET (Metropolitan Museum of Art), ma anche al C.I.M.A. (Center for Italian Modern Art), senza considerare gli spettacoli al Metropolitan Opera, come Le nozze di Figaro ed Eurydice, a seguito dello studio de La fabula di Orfeo del Poliziano.
Tutti gli sforzi, quindi, sono incentrati nel tentativo di plasmare nel migliore dei modi le generazioni più giovani, chi dovrà scegliere e creare la domanda nel mercato culturale del futuro.
Per tutte queste ragioni, il percorso di studio risulta essere a dir poco ambizioso, iniziando dalla purezza del Cantico delle Creature di San Francesco, giungendo fino ad Elena Ferrante. Autrice de L’amica geniale, in Italia ha creato un vero e proprio fenomeno mediatico, letterario e televisivo, ma negli USA, è così tanto largamente apprezzata e di tendenza da essere conosciuta e letta anche fuori dal contesto universitario. Il programma del corso, quindi, spazia dalle più profonde origini del volgare fiorentino fino all’italiano contemporaneo della Ferrante, la quale, con la sua efficace e fluente semplicità, rende orgogliosi delle capacità acquisite anche gli studenti più insicuri.
In ogni caso, parliamo di una grande sfida, lanciata sia ai partecipanti, ma, soprattutto, a quello che in Italia viene considerato ancora il canone letterario, anche a livello universitario. Infatti, la nascita della nostra splendida lingua non è ridotta solo allo studio di Guinizelli, Cavalcanti e delle Tre Corone (Dante, Petrarca e Boccaccio), ma si insidia addirittura fino a Jacopone da Todi, Rustico Filippi e Cecco Angiolieri. Tutti autori poco considerati nel panorama scolastico italiano, come nel caso di Marco Polo, Brunetto Latini, Giannozzo Manetti, Giovanni della Casa, Traiano Boccalini, Claudio Monteverdi e Giovan Francesco Busenello.
Senza contare la grande considerazione per le petrarchiste e le voci femminili in generale, come Compiuta Donzella, Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Grazia Deledda, Sibilla Aleramo, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, Anna Maria Ortese, e, ovviamente, la Ferrante.
Nomi decisamente insoliti o poco apprezzati nell’ambito italiano, ma che in questo contesto sono particolarmente amati e, allo stesso tempo, fungono da stimolo per trattare le tematiche femminili, oggi molto sentite e di moda. Difatti, si passa senza remore dalla donna-angelo di Guinizelli, Cavalcanti e Petrarca alla figura della donna secondo una vera pioniera del femminismo come la Aleramo.
E ci si pone anche domande scomode: ad esempio, se la locandiera di Goldoni sia davvero un personaggio femminista. Persino le arie d’opera di Mozart, Da Ponte e Donizetti vengono scelte sia per delineare figure di donne forti, sia in quanto metafore, che permettono di sviluppare la capacità descrittiva e di visione soggettiva. I promessi sposi, per dirne un’altra, non racchiudono soltanto il punto di vista del popolo oppresso, ma anche l’avvincente thriller della controversa Monaca di Monza.

E, pur mettendo da parte la tematica femminile, il corso non comprende solo l’episodio di Paolo e Francesca, a cui tutti siamo in qualche modo affezionati. Non solo Parini per discutere della rivoluzione settecentesca, ma anche un inedito confronto tra la curiosità umana, perfettamente riassunta nella figura di Galilei, e l’inetto sveviano. Non solo Poggio Bracciolini, Lorenzo Valla, Pico della Mirandola, Machiavelli e Pietro Bembo, ma anche le poesie di Michelangelo Buonarroti e Lorenzo de’ Medici. Non solo Baldassarre Castiglione, Ariosto, Torquato Tasso, Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Giovan Battista Marino, conosciuti da ogni studente italiano. E per parlare di Futurismo, non solo Marinetti, ma anche Carlo Carrà e Valentine de Saint-Point, con il Manifesto della Donna futurista.
Per l’appunto, non tutti gli autori e le autrici letti durante il corso sono di origine italiana, ma spesso efficaci per evidenziare alcuni tratti caratteristici della nostra storia e cultura. È questo il caso dell’imprescindibile Jorge Luis Borges e del suo Perché usiamo le metafore. Quindi, non solo Foscolo, Leopardi, Verga, D’Annunzio, Pirandello, Ungaretti, Montale, ma anche Giuseppe Verdi, poiché un’idea della letteratura italiana senza alcun accenno all’opera risulta, come minimo, incompleta.
A questo punto alcune domande sorgono spontanee. Perché alla Columbia University di New York, studenti nemmeno specializzati nell’ambito delle Humanities hanno la possibilità di andare così oltre il canone letterario italiano, mentre noi italiani ci rimaniamo ancora così impigliati? Perché ci è così difficile apprezzare quello che dall’altra parte del mondo apprezzano di noi, solo per il fatto che lo consideriamo di consumo e, quindi, dispregiativo? Perché nell’ambito americano la nostra letteratura è di tendenza, ma noi non siamo ancora riusciti a scoprirla davvero? E perché non andiamo finalmente oltre un canone che rispecchia una supremazia maschile?
Le risposte sono complesse almeno quanto le domande, che non intendono essere in alcun modo giudicanti quanto, piuttosto, provocatorie, per riflettere, da futura docente, su quanto lo sguardo si possa ampliare, senza offendere la sacralità della nostra letteratura. A tal proposito, abbiamo certamente qualcosa da imparare da una delle Lezioni americane calviniane, analizzata a chiusura del corso “Introduction to Italian Literature“: perché Dobbiamo salvare l’immaginazione?