New York ospita una delle più grandi e importanti comunità LGBTQ di tutto il mondo. La cultura gay è parte dell’identità della città quanto lo sono i taxi gialli, i grattacieli e i teatri di Broadway.
A partire dal 2005 è stata la sede di 272.493 gay e bisessuali che hanno fatto coming out. La città ha una stima di residenti GLB consci della loro identità di genere pari a 568.903. Ed è anche il luogo più vasto della popolazione transgender degli Stati Uniti con 8,5 milioni di lesbiche che vivono nel paese e che oggi sono costretti a vivere un cambiamento rivoluzionario: la scomparsa dei bar lesbici di New York. Da anni si piange la morte di questi spazi e oggi si contano solo tre locali in città e meno di due dozzine in tutti gli Stati Uniti. Il bilancio della pandemia non ha aiutato e infatti molte istituzioni LGBTQ hanno chiuso nella primavera del 2020.
Chi ha appreso la natura del pericolo è stata la regista Erica Rose. Una giovane e intraprendente donna ebrea ashkenaziti e queer che ha fondato la campagna “The Lesbian Bar Project”.
Nata con lo scopo di salvare l’estinzione dei luoghi d’incontro delle donne lesbiche della Grande Mela e della nazione, ha raccolto oltre $ 117.000, tanto da diventare un inaspettato progetto a lungo termine, con filmati d’archivio e docuserie che testimoniano le storie di questa rivoluzione culturale newyorkese. È lei che ci racconta di come sia riuscita nell’impresa del cambiamento che si vive rispetto all’inebriante boom della vita notturna lesbica iniziato negli anni ’50 e ’60, dell’importanza di preservare gli iconici spazi queer e di come l’amore sia un tesoro variegato e gentile, una scoperta entusiasmante, un batticuore senza tabù e una libertà di cui tutti hanno diritto.
Come è nato questo progetto?
“Come reazione alla pandemia quando con la mia collega regista Alina Street ho scoperto che nel paese erano rimasti solo 20 bar per lesbiche e nonostante ci considerassimo ben radicate nella comunità LGBTQ i numeri ci sono apparsi terribilmente negativi. Quindi abbiamo deciso di organizzare una raccolta fondi -finanziata dalla campagna Save the Night di Jagermeister- per salvare questi luoghi e abbiamo raccolto una cifra inaspettata. Dopodiché non ci siamo più fermate e ho messo in pratica quello che so fare meglio: raccontare questa realtà attraverso la produzione di un documentario con la preziosa assistenza di Lea DeLaria, la produttrice esecutiva della serie Netflix, Orange is the New Black (oltre che uno dei personaggi). Inoltre, abbiamo realizzato un film di 20 minuti con l’obiettivo di personalizzare questa tremenda statistica e umanizzarla”.

In che modo?
“Semplice. L’unica cosa che conoscevamo era il dato sbalorditivo dei soli 20 bar per lesbiche superstiti nel paese. Ma chi sono le persone che si nascondono dietro queste grandi imprese e chi li frequenta? Raccontare le storie dei proprietari dei bar per lesbiche di New York e di tutte le persone che gli ruotano intorno (attivisti, archivisti, clienti) è stata una voce importante per mantenere le luci accese dentro questi spazi sacri e rimettere al centro le difficoltà che vivono le donne lesbiche in città. La risposta -oltre un miliardo di visualizzazioni- ha confermato che c’è fame di questi temi. È stato fenomenale quello che un film è riuscito a smuovere per la comunità”.
I luoghi di ritrovo LGBTQ-friendly, includevano 206 bar per lesbiche (e 699 bar gay) negli Stati Uniti solo nel 1987. Fin dall’inizio degli anni ’90, Brooklyn era piena di bar per lesbiche e altri spazi queer. Oggi a New York, i pochi bar per lesbiche rimasti hanno chiuso e la pandemia ha accelerato questo fenomeno. Perché stanno scomparendo?
“La scomparsa dipende da un paio di ragioni: da un lato c’è la gentrificazione che modifica la composizione sociale e sta spazzando via molti spazi storici della comunità lesbica, dall’altro c’è l’assimilazione. Da quando – grazie all’incredibile lavoro degli attivisti – è stato legalizzato il matrimonio gay nel 2011, la borghesia della comunità -composta per lo più da bianchi- è diventata compiacente verso gli omosessuali. Questa conquista ha portato a non preoccuparsi della chiusura degli spazi per omosessuali, fino a compiacersene, ma ciò ha significato diventare complici di un fenomeno senza realmente volerlo. Inoltre le persone LGBTQ vivono più liberamente il loro orientamento sessuale grazie all’aumento delle protezioni legali e questo fa apparire i club per lesbiche meno essenziali. E poi c’è tanta discriminazione contro le imprese di proprietà delle donne. È molto più difficile ottenere un prestito”.
Cosa definisce un bar per lesbiche e in che modo si differenzia da un bar per gay?
“È uno spazio che dà la priorità ai generi emarginati all’interno della comunità LBGTQIA, quindi sono tutte le donne queer -cis e trans- persone non binarie e uomini trans. Entrare in uno spazio che sia adatto a una persona che si identifica come lesbica è molto diverso dall’entrare in un bar per soli gay. La misoginia è ancora dilagante e gli uomini gay occupano luoghi diversi rispetto alle persone che non si identificano come uomini gay cis. Molti bar lesbici non si chiamano così, è sottinteso. Naturalmente tutti sono i benvenuti”.

Perché è importante che questi bar continuino ad esistere a New York?
“Non possono esistere solo spazi eteronormativi semplicemente perché non riflettono la nostra società. La popolazione non è solo etero. Abbiamo bisogno di spazi che rispecchiano ogni aspetto della nostra comunità, del resto è quello che rende il nostro paese così unico. I club conoscono la tua identità sessuale prima che tu l’abbia scoperta”.
E cosa si prova emotivamente quando chiudono?
“È particolarmente sconcertante per tutti coloro che li frequentano. È dove si celebra la nostra identità. Vengono strappati dalle nostre vite e il messaggio di ritorno è quello che non siamo abbastanza importanti. È fondamentale che questi spazi rimangano, sono santuari, sono capsule del tempo pieni di storia”.
Labyris, dove è stato coniato lo slogan “The Future is Female”, è stata la prima libreria femminista di New York che fungeva da spazio di ritrovo femminista lesbico radicale. Il negozio prende il nome dai labrys, un’ascia a doppia faccia usata dalle guerriere amazzoniche che divenne un simbolo di forza e autosufficienza lesbica negli anni ’70. Per il pieno riconoscimento della soggettività lesbica e dei diritti civili delle donne lesbiche quanto sono importanti spazi ideologico femministi?
“Il movimento femminista è portatore di dinamismo ed è servito, ma non è stato monolitico e nonostante l’ atteggiamento risoluto non è mancata l’ esclusione. Una storia per molti versi sfortunata. Ora le cose stanno cambiando, ma non si possono dimenticare tutte quelle donne che hanno discriminato il lesbismo e come, oggi, le donne lesbiche nere discriminano le bianche e viceversa. La storia del movimento femminista è ciclica e spesso indossa gli abiti della gerarchia”.

Sta alla sua resa dei conti?
“Questo non lo so. Quello che penso sia davvero importante è rivendicare la parola femminismo così come il lesbismo e tutto quello che rappresentano, ma non si deve essere militanti sulla definizione di cosa significa essere lesbica, o almeno non più”.
Negli ultimi tempi, in città, c‘è più enfasi sulla fluidità di genere, identità di genere e politica di genere.
“Sì, negli ultimi tempi, c’è decisamente maggiore enfasi su questi temi. New York incarna la cultura queer, gli statunitensi LGBT di New York costituiscono una delle più grandi e significative comunità di auto-identificazione di lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Dobbiamo essere d’esempio per il mondo”.
Come?
“Praticando l’inclusività. La comunità queer e lesbica hanno bisogno di sentirsi protette, la vulnerabilità non deve essere estromessa ma accettata. Davanti al nuovo c’è sempre una certa resistenza — ma il linguaggio può portare a una comunità più unita e profonda. Parlare nel modo giusto e utilizzare parole che non alienino le persone è una rivoluzione. Un linguaggio inclusivo permette di stare al passo con i tempi e assicura che tutti si sentano al sicuro, visti e riconosciuti”.
E New York riesce a stare al passo con le esigenze dell’attuale generazione?
“Si, quando abbraccia la fragilità”.

Negli Stati Uniti la comunità lesbica è radicata sul territorio e rivendica i propri diritti, la realtà Italiana in materia è relativamente più recente. Il Lesbian Herstory Archives di New York è il più grande archivio storico al mondo della comunità lesbica. Pensi che conservare la storia è uno strumento che rende la società più tollerante?
“Assolutamente. Gli archivi Herstory, sono fenomenali. La società non può progredire se non conosce da dove viene. È indispensabile preservare la storia e comprenderla. La consapevolezza di chi ha guidato il movimento per il cambiamento è la stessa che guida i passi da compiere oggi”.
Come immagini il futuro della comunità lesbica di New York?
“Non lo so. Il successo del progetto genera una forte eccitazione che ci permette di continuare a lavorare per una rinascita degli spazi per la comunità lesbica. C’è elettricità nell’aria. Le persone sono pronte per realtà nuove e più sfrontate. Abbiamo ricevuto molte e-mail propositive per aprire nuovi bar in tutto il paese (si contano 25 nuovi bar). Sono davvero entusiasta del futuro che stiamo costruendo. Ho sempre saputo che c’era un pubblico che ci aspettava, ma non sapevo quanto fosse grande e a quante persone questi luoghi avessero toccato il cuore”.
Cos’è l’amore?
“L’amore è riconoscimento e accettazione”.