Non sarà un maggio tranquillo, quello di Jeff Bezos. Il fondatore di Amazon, dopo essere stato scalzato dalla vetta della classifica degli uomini più ricchi del mondo da Elon Musk, si trova ora a dover fronteggiare un sindacato dei lavoratori anche negli Stati Uniti. Un movimento che oltreoceano arriva con qualche mese di ritardo rispetto all’Italia, dove già nel settembre 2021 Amazon Italia Logistica e i sindacati hanno sottoscritto al ministero del Lavoro un protocollo di relazioni industriali.
Negli USA, invece, i primi sono stati quelli di Staten Island, a New York, che con 2.654 voti a favore e 2.131 contrari hanno dato alla luce la Amazon Labor Union.
Un “sì”, quello dei dipendenti della terza azienda più grande del mondo (dietro soltanto ad Apple e Microsoft), che in pochi si aspettavano. Nessun sindacato ufficiale sosteneva la proposta e la stessa società si era più volte dichiarata contraria.
All’origine di tutto c’è Christian Smalls, un 32enne che qualche mese fa ha deciso di mettersi in gioco in prima persona per affrontare la sfida più grande della sua vita. Nato e cresciuto a Hackensack, nel New Jersey, da adolescente ha frequentato la Hackensack High School dove si è distinto in particolare per un talento cristallino nel basket. Sperava di arrivare alla National Basketball Association, ne aveva i mezzi, fino a quando non è stato investito mentre lavorava come assistente meccanico.

Ha poi provato la carriera di rapper, ma, diventato padre, ha dovuto rinunciare per sostenere i figli con una serie di lavori tra Walmart, Home Depot e MetLife Stadium. Infine l’approdo ad Amazon, dove per qualche anno è rimasto fisso fino a quando, in piena pandemia, è stato ingiustamente licenziato.
L’ennesimo smacco di una vita piena di sacrifici lo ha allora convinto a dire “basta”. Ha raggruppato migliaia di ex colleghi e gli ha dato un motivo per lottare insieme.
L’idea è arrivata dopo che un tentativo del genere era fallito in marzo a Bessemer, in Alabama, dove i lavoratori, pur con un risultato contestato, si erano espressi in maggioranza contro un sindacato interno. Ma New York è diversa da qualsiasi altra città degli Stati Uniti e Smalls lo sapeva bene.
“Avremo successo – diceva – siamo in una città sindacale. Gli autisti degli autobus, gli operatori sanitari, la polizia, i vigili del fuoco: tutti sono sindacalizzati. Chiunque qui è imparentato o conosce qualcuno che fa parte di un sindacato”.
Così, allestendo una tenda accanto alla fermata dell’autobus fuori dal magazzino di Staten Island, ha iniziato a reclutare colleghi. Scrivendo su un cartello “Firma qui le tue carte di autorizzazione”, da settimane trascorre anche 10 ore al giorno per convincere le persone ad ascoltarlo.
Prophetic words from @Shut_downAmazon on May Day exactly 1 year ago:
“We’re gonna win this fight. The chief Union buster Jeff Bezos ain’t gonna beat us.”
What a year it’s been for workers. pic.twitter.com/HfDhLb4kNu
— Chai Dingari (@chaidingari) May 1, 2022
La sua strategia si è rivelata vincente e, nel giro di qualche giorno, due grandi magazzini nascosti nelle paludi del nord-ovest di Staten Island sono diventati gli edifici più famosi del movimento operaio.
Dal primo gruppo di 8.000 lavoratori, che ha preso il nome, JFK8, dallo stabile in cui si è formato, ne è poi nato spontaneamente un altro, LDJ5, che ne impiega 1.800. I voti per ufficializzarlo, però, non sono arrivati: 618 contro e solo 380 a favore.
Forse il merito, stavolta, è proprio di Amazon. Il colosso dell’e-commerce non è abituato a perdere e nella settimana precedente al voto è sembrato intenzionata a non ripetere gli errori di qualche settimana prima.
In precedenza aveva usato la stessa strategia che tradizionalmente viene applicata dai sindacati contro i datori di lavoro ostili: un’interruzione completa delle strutture alla fine di ogni turno, più volte al giorno. “I nastri trasportatori si fermavano – racconta Julian Mitchell-Israel, direttore sul campo dell’Amazon Labor Union e lavoratore di LDJ5 – le macchine si sono letteralmente spente”.

L’obiettivo? “Imprigionare” i dipendenti negli stanzoni delle fabbriche, interrompendo il loro lavoro per obbligarli ad ascoltare riunioni in cui consulenti e manager dell’azienda esaltavano le virtù di Amazon denunciando invece l’attività del sindacato.
“I manager – racconta Mitchell-Israel – dicevano che sarebbe stato soltanto un incontro con il vicepresidente delle risorse umane, che avrebbe parlato il direttore generale”. Invece, una volta radunata la manodopera, partiva la propaganda.
Tutto ciò, però, non ha portato i frutti sperati e gli alti vertici della multinazionale da oltre 380 miliardi di dollari di fatturato hanno cambiato approccio. Nei giorni antecedenti al voto per LDJ5 sono stati meno aggressivi, più attenti a non rendere nervosi i dipendenti.

Gli incontri da obbligatori sono stati resi facoltativi ed è intervenuto persino Jeff Bezos per provare a ristabilire la calma. Ha inviato ai magazzini dei donuts della Krispy Kreme, ma il gesto non è piaciuto a tutti. “Ci ha trattati come se fossimo degli animali – ha raccontato un dipendente rimasto anonimo – che raccolgono le briciole e pensano ‘Amazon ci tratta bene, quindi non c’è motivo di costruire un sindacato’”.
Chi della vittoria a Staten Island sembra aver gioito è invece Joe Biden. Jen Psaki, la portavoce della Casa Bianca, ha reso noto la felicità del presidente nel sapere “che i dipendenti possono essere ascoltati. È sempre stato un sostenitore del diritto degli impiegati di organizzarsi per un lavoro e una vita migliore. I lavoratori di Amazon hanno fatto la loro scelta”.
Lo slogan di Amazon è “Work hard. Have fun. Make history”. Lavora sodo, divertiti e fai la storia. I dipendenti lo hanno preso alla lettera.