“Start spreading the news, I’m leaving today“, esordisce Frank Sinatra nella sua New York, New York (1979), inno semi-ufficiale della Grande Mela. Nell’iconico brano – scritto originariamente da John Kander e Fred Ebb per Liza Minnelli – destinazione del partente è proprio la città sull’Hudson, una vera e propria Mecca per giovani ambiziosi “che vogliono svegliarsi in una città che non dorme mai”.
Quasi mezzo secolo dopo, tuttavia, in molti hanno deciso di intraprendere il percorso inverso. Nel suo censimento demografico ufficiale del 2021, lo U.S. Census Bureau quantifica in 328.000 i residenti di New York City che hanno lasciato i cinque boroughs per trasferirsi altrove. Spesso si tratta di traslochi in qualche sobborgo vicino all’area metropolitana newyorkese, che conta in totale 18.867.000 abitanti. Ma sono sempre meno rari trasferimenti radicali più a sud, in Texas o Arizona.
Il dato consegna alla Grande Mela il poco decantabile primato di metropoli statunitense con il maggior calo di residenti nel periodo di riferimento (dalla metà del 2020 alla metà del 2021). Al secondo posto c’è l’area di Los Angeles, che ne ha persi quasi 176.000; a seguire San Francisco (-116.000) e Chicago (-91.000). Non va troppo meglio nemmeno per San Jose, Boston, Miami e Washington DC, che hanno tutte registrato una perdita di decine di migliaia di residenti.

A pesare sull’esodo di residenti da New York c’è innanzitutto un costo della vita per molti proibitivo, quasi doppio rispetto alla media nazionale: la spesa media per acquistare un appartamento nella Grande Mela è di $654.300, rispetto a una media ponderata statunitense di poco inferiore ai $300.000; per un posto letto, invece, si deve sborsare il triplo rispetto a quanto si spenderebbe nel resto degli States.
Si è di fronte a una “fuga da New York come quella preconizzata nel celebre film sci-fi 1997: Fuga da New York? Nella pellicola cult, l’aumento incontrollato del crimine violento nella Grande Mela aveva spinto la Casa Bianca a isolare Manhattan dal resto del mondo, rendendola una zona franca per ergastolani.
Le cose fortunatamente vanno meglio sia rispetto alla distopia immaginata da John Carpenter sia all’anno in cui fu realizzata (il 1981). Tuttavia, il recente dilagare di episodi di violenza in metropolitana e per le strade newyorkesi è uno dei tanti fattori che, sommati, hanno determinato una battuta d’arresto nella crescita demografica di New York.

A pesare sul calo demografico c’è anche un dato tecnico, ossia l’invecchiamento generale della popolazione statunitense, che fa il paio con una minore natalità. Una “tempesta perfetta” – come la definisce Kenneth Johnson, demografo dell’Università del New Hampshire – in cui si è inserito anche il Covid-19 e la tendenza a lavorare da remoto senza doversi per forza trasferire nelle grandi città d’affari.
In netta controtendenza rispetto al calo demografico delle metropoli ci sono gli Stati del Sud: l’area metropolitana di Dallas, in Texas, ha accolto più di 97.000 residenti, Phoenix in Arizona 78.000, Houston quasi 70.000. Un processo di ri-popolazione ha coinvolto inoltre le città con meno di 50.000 abitanti, specialmente in Montana e Georgia.
Ciononostante, gli esperti credono che con lo scemare dell’emergenza pandemica, le metropoli torneranno a ruggire, con il ripopolarsi degli uffici, il riaprire dei negozi e l’afflusso di nuovi immigrati. Non sarà certo il Covid-19 ad assopire il richiamo della città che non dorme mai.
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