Caro Direttore,
Ieri mattina, mentre ero immersa nella rassegna stampa fresca di giornata, mi sono detta ad alta voce: “Strano, sono almeno un paio di giorni che non escono nuove accuse di molestie nei confronti del Governatore”. Non ho fatto in tempo a terminare la frase che il New York Times, tramite la penna del suo scagnozzo perennemente alle calcagna di Cuomo, mi fa sapere, da Albany, che tale Alyssa McGrath, attualmente impiegata presso l’ufficio governatoriale, si aggiunge alla coda delle donne suppostamente da lui molestate. A quanto siamo: sette, otto? E soprattutto: definisci molestia.
Quest’ultima lamenta il fatto che Andrew Cuomo la saluterebbe spesso con l’espressione “ciao, bella!”. “Non c’è bisogno che chieda ai miei genitori cosa vuol dire ciao bella. Lo capisco benissimo da me”, lasciando sottintendere chissà quale cripto-significato nel saluto più popolare di Italia. Ma davvero? Naturalmente non manca di riferire simpatici ammiccamenti e battute sulla mancanza della fede al dito e leggerezze simili.
Ditemi quello che volete, a me sembra proprio un capo cool e queste accuse, l’ultima delle quali mossa da una donna che lavora tutt’oggi per l’ufficio del Luv Gov, come è stato soprannominato durante la pandemia proprio per questi suoi modi simpatici e affettuosi, e dove non è certo prigioniera, si aggiunge a una serie di attacchi poco credibili, inconsistenti e goffi. Non che non voglia credere alle donne. Sono una donna anche io e sono spinta da fuoco vivo per combattere la giusta causa, ma in questo caso, oltre a una campagna di diffamazione e di linciaggio mediatico, ci vedo anche i risultati della “cancel culture” a cui faceva riferimento lo stesso Cuomo durante un audio conferenza qualche giorno fa: “Non mi piegherò alla cultura della cancellazione”. E io, di questo ostracismo, non voglio essere vittima. Io assieme al mio paese, perché oggi, come italiana, mi sento presa in causa.
Perciò, cari americani, questa lettera è per voi. Vorrei spiegarvi che cosa è un italiano. Non nel suo profondo, non nelle mille sfumature e differenze proprie di ogni essere umano in ogni parte del mondo, ma di quel marchio e di quella forma che prendi quando nasci da genitori italiani, soprattutto del sud. L’italiano ha una seconda lingua, che a volte mi domando se non sia la prima: quella dei gesti. Le nostre mani. Ludwig Wittgenstein con il suo “Filosofia del Linguaggio” lo avrebbe senz’altro spiegato meglio di me, ma eccovi i miei “two cents”. Muoviamo le mani, tanto. Con loro disegniamo lo spazio tra noi e l’altra persona, non tracciamo una linea. Con loro cadenziamo la frase, le diamo un’intonazione. Queste mani, molto spesso sono un saluto toccato che diventa una pacca, sono un “sono qua per te”, “ti capisco” che diventa una carezza, spesso un abbraccio. Ci baciamo anche spesso, perché anche le nostre bocche amano il contatto, come amano parlare e parlare. Ci sono sì gli italiani taciturni, ma così taciturni che non sembrano neppure italiani. Se ti trovi in un bar qualsiasi della periferia di Roma, per esempio, alle 6 del mattino, ci troverai lì un operaio che sarà naturalmente incazzatissimo per doversi recare al lavoro a quell’ora, ma che, prendendo il caffè, in mezzo a sconosciuti, tirerà fuori a un certo punto una battuta che farà ridere tutti.

Abbiamo uno sguardo mediterraneo che potrebbe intimidire: lo abbiamo ereditato da secoli nell’osservare il mare all’orizzonte per potere essere pronti a combattere in caso venissero stranieri a prendere la nostra terra. E ne abbiamo avuti tanti. Noi guardiamo dritto negli occhi, è uno sguardo del sud, degli scugnizzi di Napoli. È uno sguardo sveglio e fiero. Quindi, se vi guardiamo, per favore, non abbiate paura: vi stiamo solo guardando. E qui mi rivolgo alla giornalista Valerie Bauman che se ne è uscita su Twitter (è quello il luogo dell’inchiesta no?) parlando dello sguardo insistente che Cuomo le avrebbe rivolto dieci anni fa, durante una conferenza, prima di presentarsi a lei educatamente.
Da dove cominciamo a spiegarvi l’italiano? L’italiano non è che non sia professionale, ma è pigro e ingenuo allo stesso tempo nella misura in cui si chiede: “perché devo comportarmi in maniera totalmente diversa al lavoro. Perché cambiare? Perché mettere questa maschera? (ovviamente non mi riferisco alla maschera COVID) A cosa serve?”.
Io ho vissuto per un periodo in Germania. Ho amato e amo i tedeschi, come i francesi e come gli americani (perché sia chiaro: io vi amo americani e vi amo newyorkesi), ho vissuto nelle loro nazioni e ho amato a imparare dalle differenze e a riderci assieme. Dicevo, in Germania al lavoro erano tutti super seri e super zitti. A volte mi facevo le battute da sola, dalla solitudine. Non appena finito l’orario di lavoro, i miei colleghi si fiondavano al pub. Una volta sono andata con loro: appena varcata la porta del locale si sono trasformati: «ma sei tu Dirk? È lei Herr Poggemeier?».
Ecco qua, noi tra donne ci chiamiamo ciao bella, e gli uomini ci salutano con ciao bella. Anche il nostro capo, e questo non fa di lui un porco. È un saluto. Punto. Non è che “addio” voglia dire letteralmente “ci vediamo da Dio”! Santa pazienza! Cari americani, sono sinceramente spaventata da questo vostro atteggiamento. Come donna e come italiana. Che io non riesca a capirvi più? Che a 48 anni io sia diventata troppo vecchia? Mio padre, che era siciliano come me, scherzando mi diceva sempre: “Irene, se quando ti stringono la mano, te la danno moscia, tiragliela indietro!”.

Ecco, la prima accusatrice del Governatore, Lindsey Boylan, candidata per il distretto di Manhattan, tirandosi la zappa sui piedi e contribuendo a rendere poco credibile anche tutto il resto delle supposizioni, ha pubblicato una foto di Andrew Cuomo che stringe vigorosamente la mano di una donna, commentando che tutto di questo mostro è creepy, persino la sua stretta di mano, che sostiene essere parte della “rape culture”. Ora basta. Io rabbrividisco, il mio cervello rabbrividisce, la mia griglia interpretativa del reale non riesce a inquadrare questa follia.
A chi mi dirà che è una giustificazione culturale, dico che il vostro è un attacco alla nostra cultura e vi invito a conoscerci meglio.
Intanto vorrei rivolgermi direttamente con questo mio scritto a lei, Governatore Andrew Cuomo, e augurale una limpida e scorrevole indagine che porti ai risultati che lei si aspetta. Che vinca con una sentenza ferma e chiara. E che dunque, se lo desidera, si possa ricandidare nel 2022 stramazzandoli tutti, repubblicani e democratici fratricidi. Ma sempre con amore. Che questo avvenga o no, voglio lei sappia che desidero che lei possa avere la cittadinanza italiana e dirle che l’Italia è la sua casa, che qui può essere se stesso, che anche se fa il boss un po’ duro (lo vorrei vedere un piagnone come me a fare il Governatore dello Stato di New York dove mi mangerebbero viva un giorno sì e un giorno no) che a noi va bene, che le cose gliele diremo in faccia e che qua piace la gente laboriosa. Potremmo avere molto da imparare dall’aspetto migliore che la rende americano. Come la sua straordinaria leadership durante la pandemia: i suoi briefing erano l’unica fonte di informazione affidabile, passo dopo passo. Non ha mai detto alle gente di sapere qualcosa che non sapeva, ed è raro. Sì, potremmo aver bisogno del suo aiuto, perché siamo stati colpiti molto duramente anche in Italia. Anche gli occupanti delle nostre case di cura hanno pagato un caro prezzo, come in molte parti del mondo, perché questa è la bestia, questo è il COVID. Se viene qui, anche per una visita, la ripagheremo con spaghetti con le meatballs fatti bene e un’altra concezione del tempo. Quando vuole, “Andrea”. Sono benvenute anche la Signora Matilda e le sue figlie Cara, Mariah e Michaela. Siamo qui per voi.