“Grazie a Dio il Chelsea Hotel non è mai stato rispettabile, e con l’attuale gestione non lo sarà mai”. Una tale recensione avrebbe causato la chiusura di qualsiasi albergo, ma questo non era un albergo qualunque, né chi espresse tale commento era un cliente qualunque. Eppure, la descrizione che Arthur Miller fece del Chelsea Hotel, dove visse dopo aver divorziato da Marilyn Monroe, fu la recensione più accurata e, a modo suo lusinghiera.
“God Save the Queen”. Questo bellissimo hotel, stile Queen Ann e Gotico, con una facciata adorna di mattoni rossi, venne eretto nel 1884 al 222 West 23rd street, che era all’epoca l’epicentro del distretto teatrale di New York. Originariamente il Chelsea hotel era composto da appartamenti posseduti in cooperativa, ma divenne successivamente un hotel con camere eleganti, camini, finestre con traverse di vetro colorato e caratteristici balconi a motivi floreali in ferro battuto e con un’intricata scala interna in ghisa che partiva dal dodicesimo (e ultimo) piano e finiva nella lobby.

Con lo spostamento dei teatri a Times Square, il Chelsea andò però in bancarotta e nel 1939 venne successivamente rilevato e gestito fino al 2007 dalla famiglia Bard. L’ultimo piano era occupato da quindici studi d’arte e, nel corso degli anni, i Bard permisero agli artisti in difficoltà di soggiornare gratuitamente o di pagare l’affitto con le loro opere d’arte, trasformando così il Chelsea in un utopico e creativo paese delle meraviglie. Stanley Bard una volta disse: “Non c’è un altro edificio al mondo che raggruppi così tante persone creative; c’è qualcosa di mistico tra queste mura che aiuta la gente a produrre arte”.
Il mio primo appartamento a New York negli anni ’90, era un piccolo studio sulla 22esima strada, che ho condiviso con il mio amico Carmine Marotta, dal quale ho imparato “tutto ciò che volevo e non volevo sapere della cruda New York”, compreso che l’adorno edificio, abitato da eccentrici personaggi, e che gettava ombra sul nostro già buio cortile, era in realtà il mitico Chelsea Hotel. Entrando nella sua hall all’olezzo di marijuana, rimasi sbalordito dalla quantità di stravaganti pezzi d’arte mescolati in una specie di ordine sparso dettato forse “dall’LSD” che pendevano dal soffitto e da ogni muro e rimasi strabiliato dal pensiero che artisti come Jackson Pollock, Christo, (che rubò le maniglie dell’hotel per una mostra) Diego Rivera, Willem De Kooning, Robert Mapplethorpe, Cartier-Bresson, e molti altri dello stesso calibro, a un certo punto, avessero abitato qui.
Le storie di chi ha vissuto al Chelsea hotel non potevano essere inventate nemmeno da uno scrittore creativo come Arthur Clarke che, visse al Chelsea hotel per vent’anni, e da dove scrisse il fantascientifico “2001-Odissea nello spazio”. Per i lettori di Clarke è stato probabilmente più facile accettare come realistico il suo libro di fantascienza, che non se avesse scritto un romanzo sulla vita quotidiana al Chelsea hotel.
Solo l’Algonquin e l’Albert hotel avevano una simile varietà di clienti creativi, ma il Chelsea Hotel era decisamente il “gemello diabolico” e, pur apparendo sempre trasandato, era invece quello il suo stato naturale. Alcuni dei geni letterari e musicali più creativi del XX secolo, come Mark Twain, Charles Bukowski, Tennessee Williams e Jean-Paul Sartre, abitarono e spesso crearono le loro opere al Chelsea Hotel, seduti nella hall tra i loro pari, unica eccezione forse per lo scrittore O. Henry che si registrava spesso con pseudonimi per evitare i creditori. Thomas Wolfe scrisse il libro You Can’t Go Home Again, e chissà che non abbia avuto l’ispirazione per il titolo dopo aver vissuto al Chelsea Hotel.
“Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi” quando, a partire dagli anni ’60, New York precipitò in turbolenti decadi mentre al Chelsea Hotel, sesso, droga e rock’n’roll iniziarono un’intima relazione con arte, musica e poesia, dando vita a un’esplosione di creatività. Una varietà di residenti, privi di pregiudizi, eterogenei e quasi-savant, creò un impensabile microcosmo di una New York bohémien. Stormè DeLarverie, una lesbica cross-dresser veterana degli Stonewall Riots, era un’inquilina, così come un novantaduenne che si lasciò morire di fame, ma non prima di aver calcolato la sua morte di venerdì cosicché il suo necrologio potesse apparire sul Sunday New York Times. Il compositore George Kleinsinger custodiva una varietà di animali nel suo appartamento: una lucertola della Patagonia, una scimmia, diverse tartarughe e una selezione assortita di serpenti che occasionalmente si avventuravano giù per le scale per mescolarsi con gli scarafaggi locali di New York che vagavano per l’hotel.

Musica, storie d’amore, sesso e poesia, tra titani; “Chelsea Morning” di Joni Mitchel ispirò ai Clinton il nome per la figlia. Leonard Cohen che amoreggiava con Janis Joplin al Chelsea hotel scrisse la canzone “Chelsea Hotel #2”. Bob Dylan compose “Sad-Eyed Lady of the Lowlands” e racconto’ di “essere rimasto sveglio per giorni al Chelsea Hotel”. Jack Kerouac mentre viveva al Chelsea hotel scrisse “On the Road” ed ebbe un’avventura di una notte con Gore Vidal. Patti Smith visse li una relazione con il fotografo Robert Mapplethorpe e Jimi Hendrix fu scambiato per un facchino da un’anziana inquilina che gli chiese di portarle le valigie (cosa che lui gentilmente fece). Al Chelsea Hotel, i cartoncini di benvenuto avrebbero dovuto riportare il monito: un hotel sregolato dove nessuno è troppo strano o troppo eccentrico, e dove regna solo una squilibrata creatività.
Il Chelsea Hotel ebbe la condanna e la benedizione di avere molteplici personalità che coesistevano in un’unica entità senza uccidersi a vicenda, beh… non esattamente.
Andy Warhol girò il film “Chelsea Girls” solo per venire poi “impallinato” lui stesso. Sopravvisse, grazie a Dio, la tiratrice mirò solo ai testicoli. Il poeta gallese Dylan Thomas si ubriacò a morte bevendo 18 bicchieri di scotch e, brutti tiri a parte, droga e rock’n’roll non riuscivano a eludere il Chelsea Hotel, tanto che Keith Richards, dei Rolling Stones, descrisse il Chelsea hotel in una frase: “Dovevi essere uno spacciatore patentato per ottenere un lavoro come facchino”. Ma dopo ogni sballo arriva il crollo e il Chelsea hotel fu di nuovo al centro dell’attenzione quando Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols uccise la sua ragazza Nancy Spungen nel 1978, ed evitò la giustizia morendo per un overdose di eroina.
Nel 1992, la “Material Girl” Madonna, con un po’ di senso degli affari ma nessun senso dell’ironia, fece scattare le foto per il suo libro patinato “Sex” al Chelsea Hotel, tra quelle storiche mura che avevano già vissuto una vita di vero sesso sfrenato e perverso. Infatti, negli anni ’70 il primo piano dell’hotel era “riservato” a papponi e prostitute e, negli anni a venire la signora Palagia gestì per un decennio, una volta al mese, il sex party “One Leg Up”, dove cortesemente, anche i manager dell’hotel erano invitati a partecipare.

Arthur Miller disse: “Questo hotel non appartiene in America; non ci sono aspirapolvere, né regole né vergogna”. Aveva ragione, il Chelsea Hotel non appartiene in America, appartiene a New York. In quale altro posto è possibile trovare Stanley Kubrick, Ethan Hawke, Uma Thurman, Elliott Gould, i Grateful Dead, Chet Baker, Iggy Pop, Jim Morrison, Pink Floyd, Jane Fonda e molti altri artisti, accomunati tutti oltre che dal loro genio, dal Chelsea Hotel.
Sette sopravvissuti del Titanic alloggiarono al Chelsea Hotel, che è stato poi a sua volta affondato da avidità e conformismo. L’Hotel è infatti al momento chiuso per ristrutturazione e, una volta riaperto, sarà rispettabile e avrà camere elegantemente monotone e sovraccariche di amenità. Ma lo spirito del Chelsea Hotel non è mai stato il suo décor o le sue amenità, ma la creatività e la disponibilità ad accogliere persone e artisti di tutti i ceti sociali, che è poi il vero significato dell’ospitalità. Andy Warhol ha quasi perso le palle per la sua visione, gli albergatori dovrebbero almeno cercare di salvaguardare le loro e sentire il dovere morale di creare una filosofia, che incoraggi a ospitare e sostenere giovani artisti emergenti, iniziando insieme loro una nuova tradizione che continui la legacy della famiglia Bard.
Abbiamo tutti un debito di riconoscenza verso il Chelsea hotel e, concludendo con una canzone dei Sex Pistols “What are you going to do about it?”.