È vero. Quest’anno l’albero di Natale più famoso al mondo è arrivato al Rockefeller Center tutto spennacchiato, con i rami mezzi rotti ed è apparso a tutti noi come un vero e proprio obbrobrio. Abituati ai maestosi alberi degli anni passati con la pista di pattinaggio da sfondo e il vociare chiassoso dei turisti capace di sovrastare anche l’ininterrotto schiamazzo dei taxi, questo è sembrato ai newyorkesi quasi un ridicolo scherzo, oltretutto poco divertente. In molti lo hanno addirittura visto come la metafora di un anno, il 2020, triste ed acciaccato.
“Ci mancava pure l’albero a farci ricordare questo brutto anno!” ho sentito dire da molti amici americani che non aspettavano altro che portare i loro figli al Rockefeller Center per celebrare l’arrivo del vero protagonista del Natale newyorkese. Tra addobbi, luci e l’immancabile stella posizionata sulla sua cima, l’albero più amato della big Apple simboleggia da sempre l’inizio delle festività natalizie. La sua accensione ripresa in diretta televisiva è percepita dagli americani, come uno dei momenti cult dell’anno. Immaginate quindi la delusione nel vedere al posto di un pino rigoglioso e forte, un albero mezzo sbilenco che a fatica gli operai sono riusciti a mettere in piedi.

Poi però come nelle più belle storie di Natale accade qualcosa di magico. Tra le fronde spelacchiate di quest’albero malconcio, un operaio in bilico su una scala, sente muoversi qualcosa di strano. Quasi si spaventa. Non capisce cosa possa essere. Sposta un po’ le foglie con i suoi guantoni da lavoro e trova tutto rannicchiato nel suo batuffoloso piumaggio, un minuscolo gufo.
È un esemplare di northen saw- whet owl, una delle specie di gufo più piccole al mondo. Solitamente non sono uccelli stanziali ma si spostano facilmente da un albero all’altro con due battiti di ali. Invece quel gufetto in totale silenzio aveva deciso di restare lì fino all’arrivo al Rockefeller Center. L’operaio con lo sguardo sbalordito e allo stesso tempo commosso, lo prende fra le mani e, dopo aver messo dei rametti di albero in una scatola di cartone, lo mette al sicuro. Lo avvolge in una sciarpa per fargli sentire meno freddo possibile. Poi, chiama sua moglie e le chiede di avvisare il Ravensbeard Wildlife Center, l’associazione no profit che si occupa della salvaguardia degli animali selvaggi. Gli operatori arrivano subito. Lo visitano e capiscono dal suo sguardo vivo e attento che è in ottime condizioni. Gli danno subito da mangiare e da bere.

Ora non so se volete trovare una morale in questa storia. So solo che il gufo simboleggia da sempre la saggezza e la natura da proteggere e in molte leggende nord-europee ha addirittura il significato, opposto da quello italiano, di portafortuna. Il centro per la difesa degli animali ha ringraziato pubblicamente tutti quegli operai che lavorano quotidianamente “behind the scenes”, ossia, dietro le quinte. Al gufetto in questione è stato dato il nome Rockfeller ed è già diventato una celebrità ma nessuno potrà più rivederlo perché presto tornerà alla sua vita da foresta.
Io resto qui a riflettere sul fatto che quel piccolo gufo sia rimasto per tre giorni, senza cibo e senza acqua, nascosto tra le poche foglie fitte di un albero che a tutti noi è sembrato brutto e che invece custodiva la cosa più preziosa al mondo: la vita. In un attimo realizzo che questo è l’albero più bello che New York potesse avere quest’anno.