La nazionale femminile di calcio torna trionfante negli Stati Uniti dopo aver conquistato il secondo titolo mondiale consecutivo, il quarto nella sua storia.
Tra le prese di posizione della co-capitana Megan Rapinoe (“I am not going to the fucking White House”, Non andrò alla fottuta Casa Bianca) e le polemiche sull’azione legale avviata a marzo contro la Federazione per discriminazione di genere, le ventitré calciatrici hanno sfilato stamattina su Broadway dal Canyon of Heroes di Battery Park al City Hall, dove si è tenuta una cerimonia di premiazione alla presenza del sindaco De Blasio.
Proprio De Blasio, in corsa per le primarie del partito democratico in un momento di bassissima popolarità nel suo elettorato, ha annunciato il calendario dei festeggiamenti pochi minuti dopo il triplice fischio dell’arbitro nella finale della scorsa domenica.
Per New York e per il primo cittadino è stata un’occasione imperdibile di cavalcare l’onda dell’entusiasmo. I tanti presenti, giunti persino dal New Jersey e da Upstate, hanno agitato cartelli con gli slogan “We won’t stop watching” (Non smetteremo di guardare) e hanno intonato cori di “Equal pay!”, mentre dai palazzi circostanti la folla veniva ricoperta di coriandoli.
“Imagine Equality” è stato il motivo ricorrente della maestosa parata, che si è aperta con la corsa delle motociclette e con la musica della banda.
Quindi il momento più atteso al passaggio di Rapinoe e, letteralmente saltato sul carro del vincitore, DeBlasio con la First Lady (solo a seguire il governatore Cuomo, chissà con quale senso di inferiorità rispetto all’odiato collega).
Come previsto, Rapinoe ha dominato la scena, rubando i microfoni ai cronisti e versando champagne direttamente nella bocca delle compagne, con buona pace di Trump che due settimane fa l’aveva redarguita in un tweet: “Megan dovrebbe vincere prima di parlare! Finisci il lavoro!”
Il presidente USA non sarà l’unico al mondo a provare forte irritazione per questa vittoria. Le critiche hanno accompagnato la squadra durante tutta la durata del torneo, sin dalle vituperate esultanze nel 13 a 0 all’esordio contro la Thailandia.
Alex Morgan, co-capitana, è stata distrutta dalla stampa per aver mimato il gesto di bere il tè dopo la rete contro l’Inghilterra. Inutile notare che i siparietti volgari dei calciatori non sono quasi mai oggetto di un simile trattamento mediatico.
Cosa dà fastidio? Che nonostante gli ostacoli e la disparità di condizioni salariali, le donne raggiungano risultati più importanti degli uomini, sia in Italia, dove Tavecchio le definiva “handicappate”, sia in America. E poiché nel calcio non è possibile accusarle di essere arrivate a quei livelli per favori sessuali dei superiori, allora si inizia a spettegolare del loro aspetto o del loro orientamento, come se pure essere omosessuali o avere i capelli corti fosse una colpa.
Intanto, però, la Grande Mela si è riunita alle 9:30 di un mercoledì estivo per ribadire: siamo noi la vera capitale degli Stati Uniti, e al resto del pianeta: non importa che Trump abbia vinto la presidenza, New York combatterà sempre a favore dei diritti LGBTQIA, delle donne e delle minoranze.
L’evento conclusivo al City Hall non ha fatto che ribadire questo messaggio: prima delle presentazioni del team, il discorso di DeBlasio ha toccato i temi dell’inclusività (one nation, one team) e dell’uguaglianza (di nuovo, equal pay).
Tra i mormorii del pubblico, il presidente della US Soccer Federation ha invece sottolineato che gli Stati Uniti investono nel calcio femminile più di ogni altro paese e che la Federazione farà il possibile per venire incontro alle richieste delle giocatrici.