Il 24 ottobre 1945, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, nacquero le Nazioni Unite come organizzazione intergovernativa per il salvataggio delle generazioni future dalla devastazione di un conflitto internazionale. La Dichiarazione Dei Diritti Umani fu formalmente redatta dall’ONU il 10 dicembre 1948 ed è il documento sui diritti umani universali che delinea i fondamenti per formare le basi di una società democratica. La Dichiarazione è un documento concreto, anche se si può purtroppo concordare sul fatto che settant’anni dopo la sua pubblicazione essa rappresenti ancora un sogno più che una realtà, esistendone violazioni in ogni parte del mondo.
Il Human Rights Watch Film Festival, che si terrà al Lincoln Center di New York dal 13 al 20 giugno 2019, presenterà al pubblico tredici film provocatori, che daranno luce a temi importanti come il coraggio e la resistenza di uomini e donne di tutto il globo al problema dei diritti umani violati.
Il Festival è co-presentato dal “Film at Lincoln Center” e dall’”IFC Center”.
“Film at Lincoln Center” è un’organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1969 e svolge la sua missione attraverso la programmazione di festival, serie, retrospettive, conferenze, eventi speciali; ha portato alla celebrazione di film americani e internazionali al Lincoln Center, trasformando la discussione e l’apprezzamento del cinema accessibili a un vasto pubblico e rendendolo una forma d’arte essenziale per gli anni a venire.
L’”IFC Center” è un cinema all’avanguardia a cinque schermi nel cuore del Greenwich Village di New York, inaugurato nel giugno del 2005 a seguito di un ampio rinnovamento dello storico Waverly Theatre e noto per le sue serie e festival di repertorio innovativi, tra cui l’acclamato “DOC NYC”, una vetrina di altissimo profilo che celebra la regia cinematografica.
Mentre il razzismo e la xenofobia continuano a dilagare ovunque nelle più alte sfere del potere di ogni nazione, le opere che saranno proiettate quest’anno raccontano e umanizzano casi di oppressione legalizzata e legittimata che richiedono urgentemente l’attenzione di tutti. La stessa etica del Festival, che celebra la diversità di contenuti e di prospettive, rimarca la necessità di fornire un confronto pubblico per quelle voci che sono spesso messe a tacere o emarginate dai media tradizionali e, a prova dell’esistenza di questo forte bisogno di raccontare, metà dei film di questa edizione sono stati diretti da registi nati e cresciuti nelle regioni in cui i film sono ambientati, metà sono stati diretti o co-diretti da donne e la maggior parte di essi da registi di colore. Concentrandosi intensamente sull’ascesa della tirannia e dell’oppressione nel mondo, spesso politicamente accettata, l’HRWFF presenterà storie dalle prime linee di battaglia per i diritti umani in Venezuela, Cina, Filippine, Palestina, Sud Africa, Stati Uniti e altre nazioni.
“La capacità delle persone di lottare e di farlo con coraggio di fronte alla paura e persino alla violenza è a volte offuscata dai regimi e dai pregiudizi contro cui combattono”, ha dichiarato John Biaggi, direttore del Festival. “I film di quest’anno mettono in luce persone di tutto il mondo che continuano a resistere sia ai movimenti politici estremi che ai singoli casi di discriminazione. Lottano contro i leader mondiali che alimentano paura e odio e si oppongono alle persone che ostacolano l’uguaglianza nelle loro stesse comunità. Non dovremmo solo celebrare le voci di questi coraggiosi individui, ma anche riconoscerne il valore e la dignità”.
A queste affermazioni, Lesli Klainberg, direttore esecutivo di FLC, ha aggiunto: ”Celebriamo quest’anno il cinquantesimo anniversario di “Film at Lincoln Center” e i trent’anni del “Human Rights Watch Film Festival”. Siamo molto orgogliosi di continuare a collaborare con questa essenziale realtà. I film sui diritti umani sono stati una parte integrante della storia e della missione della nostra organizzazione e offrono una piattaforma fondamentale per diffondere la voce su questi importanti temi”.
La serata di apertura ospita la proiezione di “Advocate”, di Rachel Leah Jones e Philippe Bellaiche, che documenta le sfide affrontate dall’avvocata ebrea israeliana Lea Tsemel e dai suoi colleghi nei loro sforzi di rappresentare clienti palestinesi – da dimostranti non violenti a militanti armati – in un Israele sempre più conservatore, in cui governo, tribunali e media sembrano allineati contro di loro. L’edizione di quest’anno include “Accept the Call” di Eunice Lau, che traccia le battaglie di una gioventù islamica cresciuta negli Stati Uniti che si confronta con il razzismo, il pregiudizio e le operazioni di controspionaggio dell’FBI. “On the President’s Orders”, di James Jones e Olivier Sarbil, è un’inchiesta scioccante e illuminante sull’incredibile funzionamento interno della brutale “guerra alla droga” del presidente Rodrigo Duterte nelle Filippine. “Screwdriver” di Bassam Jarbawi (Mafak), girato interamente in Cisgiordania, che segue i passi di un ragazzo che torna a casa dopo aver trascorso 15 anni in una prigione israeliana, immerge gli spettatori in una storia distintamente palestinese, mentre affronta il trauma universale della reintegrazione dopo il carcere.
Advocate – A film by Rachel Leah Jones & Philippe Bellaiche – Official Trailer from Filmoption International on Vimeo.
La rassegna poi esplora intimamente le esperienze personali, in un’ottica narrativa fortemente al femminile, di registe che affrontano questioni relative ai diritti umani riguardanti nello specifico le donne. “One Child Nation” di Nanfu Wang e Jialing Zhang è un’indagine sulla politica cinese del figlio unico, in cui si parla di sterilizzazioni forzate e aborti, di trauma collettivo e dell’impatto generazionale che ha avuto sui cittadini cinesi. Nel commovente “Born in Evin” Maryam Zaree, nata all’interno della famigerata prigione di Evin in Iran, esamina gli effetti permanenti della detenzione su una generazione di ex prigionieri politici e dei loro figli. La cineasta Beryl Magoko intraprende un viaggio verso l’auto-accettazione in “In Search …”, vincitore del premio Nestor Almendros, film sul ruolo della vergogna nella pratica imposta della mutilazione genitale femminile. Il bellissimo “No box for me. An intersex story”, di Floriane Devigne, descrive, in modo molto poetico, i giovani coraggiosi che cercano di riappropriarsi dei loro corpi ed esplorare le loro identità, rivelando sia i limiti delle visioni binarie di sesso e genere sia l’irreversibile impatto fisico e psicologico di interventi non consensuali sui neonati intersessuali. Presente anche il newyorchese Jason DaSilva, con il suo straziante “When we walk”. Affrontando una forma di sclerosi multipla in veloce evoluzione e sperimentando un rapido declino delle sue capacità motorie, DaSilva apprende presto che le severe restrizioni del sistema Medicaid americano gli impedirebbero di accedere ai servizi di cui ha bisogno per vivere una vita il più dignitosa possibile e di essere il papà che vorrebbe essere per suo figlio. L’autentica esperienza di una persona disabile in una prospettiva essenziale per i diritti che ogni giorno cerchiamo di raggiungere. “Everything Must Fall”, di Rehad Desai, sfida la presenza di una discriminazione radicata in Sud Africa, dove le proteste studentesche si uniscono in un movimento nazionale per chiedere la fine dell’esclusione nel sistema di istruzione superiore. “Está Todo Bien – It’s all good”, di Tuki Jencquel, è uno sguardo incisivo sull’attuale crollo delle istituzioni venezuelane e su come il fallimento dei sistemo sanitaro rifletta le sfide a lungo termine di una popolazione che lotta per sopravvivere. Il Festival si chiude infine con l’esplosivo e avvincente “Bellingcat – Truth in a Post-Truth World” di Hans Pool, che segue l’ascesa del controverso collettivo “Citizen Investigative Journalist”, noto come Bellingcat, dedicato a ridefinire il sistema dell’informazione rendendone accessibili e trasparenti le inchieste, per mostrare la verità dietro alle notizie del mondo.
Repressione del dissenso. Pena di morte. Attacchi ai difensori dei diritti umani e ai giornalisti. Conflitti armati. Violenze. Torture e impunità. E persino pulizia etnica, odio, stupro. Una panoramica impietosa. Con una crescente quantità di persone ignare dei propri diritti più basilari, chi si assicurerà che i diritti umani vengano promossi, protetti e resi effettivi? Anche negli Stati Uniti il gesto dell’amministrazione USA che nel gennaio 2017 ha impedito l’ingresso nel paese a persone provenienti da alcuni stati a maggioranza musulmana ha dato il la a un periodo storico in cui i leader hanno portato le politiche dell’odio alle loro più pericolose conclusioni. E oggi viviamo anche in Italia e in Europa un vento di ingiustizie sociali che corrispondono a violazioni di diritto inserite in leggi statuali; un vero e proprio corto-circuito del progredire dell’umanità quando in Italia si parla di sovranismo e in Europa non si riesce a trovare una sponda capace di essere davvero una buona guardiana del rispetto di quei principi che hanno una instancabile sacralità. La maggior parte dei capi di stato è riluttante per esempio ad affrontare la grande sfida di disciplinare la migrazione in modo sicuro e legale e ha deciso che, in pratica, niente è vietato nell’intento di tenere i rifugiati lontani da casa propria. E sempre in tema di migranti l’Italia è finita sotto accusa: per il codice di condotta imposto alle organizzazioni non governative che si occupano di salvataggi in mare, per i porti chiusi, le nuove procedure d’asilo che non hanno fatto chiarezza sul funzionamento degli hotspot, la gestione dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Inoltre l’impatto delle fake news come mezzo per manipolare l’opinione pubblica ha portato a un esponenziale incitamento all’odio e alla violenza, praticamente senza controllo.
Non è difficile trovare numeri che raccontino come stanno le cose nel mondo in tema di diritti umani, ma i casi concreti contano più di tutto. Per questo Human Rights Watch lavora da sempre con tenacia per gettare le fondamenta legali e morali di un cambiamento radicato e lotta per portare maggiore giustizia e sicurezza alle persone in tutto il mondo; soprattutto è attraverso il Human Rights Watch Film Festival che testimonia l’inosservanza dei diritti e crea un forum aperto per dare al pubblico il potere della consapevolezza che l’impegno personale possa fare la differenza. Tutte le proiezioni saranno seguite da dibattiti d’approfondimento con i registi, con ricercatori di Human Rights Watch e con ospiti speciali. Il Festival sfida ogni individuo ad entrare in empatia ed esigere giustizia per tutte le persone. E l’appuntamento dell’HRWFF al Lincoln Center serve a capire quanto sia importante restituire, nel nostro piccolo, significato alla parola umanità, per provare a consegnare ai nostri figli un mondo che sia possibilmente migliore di quello che abbiamo trovato, osservando che un diritto non è ciò che ti viene dato da qualcuno, ma ciò che nessuno dovrebbe mai toglierti, perché possiamo definirci liberi solo se liberi lo siamo tutti.