Di città come Parigi, Venezia, ma anche Roma e Verona si dice che siano località dell’amore. Di New York, difficilmente si potrebbe affermare lo stesso. Il senso comune vuole che la Grande Mela sia la città perfetta per chi desidera concentrarsi sulla carriera, e magari, nel tempo libero, dilettarsi in incontri un po’ veloci e superficiali, appuntamenti spesso da una notte e via, che poi, il giorno dopo, “liberi tutti” e il gioco ricomincia. Di New York, in genere, si ha un’idea piuttosto cinica in tema di relazioni, la si considera una città libertaria e libertina, piena di persone che rifuggono da legami stabili e che, tra un meeting di lavoro e l’altro, inanellano dates che si esauriscono, se va bene, nel giro di qualche ora. Ma è davvero così? Una domanda, questa, che abbiamo voluto porre a vari ventenni italiani, che a New York si sono trasferiti per studio o lavoro. E che, insieme agli amici, alla famiglia e alle lasagne di mammà, dietro di sé hanno lasciato anche una cultura più legata ai valori tradizionali della famiglia e delle relazioni stabili, secondo alcuni, più provinciale e “bacchettona”, direbbero altri. Ma soprattutto – ci siamo chiesti – come un giovane italiano si adatta a questo cambio di mentalità? Si lascia sedurre dall’istantaneità (anche sentimentale) newyorkese, o resta ancorato ai principi patri?
N.B. Per rispetto della privacy degli intervistati, abbiamo utilizzato nomi di fantasia.

Come va la tua vita sentimentale qui a New York? Quante frequentazioni hai avuto e, di queste, quante hanno portato a legami più significativi e duraturi?
Le persone con cui abbiamo parlato – tra i 20 e i 30 anni, nella Grande Mela da un minimo di un anno e un massimo di otto – da quando sono qui hanno avuto in media tra i 5 e i 30 incontri fisici, ma davvero poche di queste frequentazioni hanno portato a una relazione più duratura. C’è anche chi si mostra ancora piuttosto “morigerato”: come Leonardo, 22 anni, di Vicenza, che afferma di aver avuto, nel corso di un anno e due mesi trascorsi a New York, “solo un paio di appuntamenti, ho conosciuto qualche ragazza alle feste, ma nessuno di questi incontri ha portato a un legame romantico”. Anche Aurora, ventenne al primo anno della Columbia, parla di due soli incontri fisici, che non hanno portato a “nulla di più sostanzioso”. Per il resto, le frequentazioni sono state in media più numerose, ma in davvero pochi casi il legame è stato approfondito. Filippo, 22 anni, romano, che frequenta l’NYU, è tra i più “fortunati”: “Penso di aver avuto tra i 20 e i 30 incontri fisici-sentimentali, di cui una decina ha portato a qualcosa di più strettamente romantico, durato un po’ di tempo. Adesso ho una ragazza da due mesi”. Come lui, Giovanni, 24 anni, siciliano, un lavoro a Wall Street da due, e una ventina di relazioni sessuali alle spalle prima di trovare la sua attuale ragazza, con cui sta da 6 mesi. Anche Alberto, 30 anni, qui da quattro per studio e lavoro, ha conosciuto la ragazza con cui sta ora dopo diverse avventure.
Tanti, però, sono quelli che, pur avendo tanto cercato, sono rimasti a bocca asciutta. Pietro, 20 anni di Firenze, al primo anno della Columbia University, conta sette incontri, e mai nessun legame più approfondito. Laura, 20 anni, piemontese, al penultimo anno della NYU, preferisce non rivelare il numero di frequentazioni estemporanee avute: “Come potete capire, un bel po’. Solo una, tra tutte, ha portato a quello che posso chiamare un legame romantico: era un bel ragazzo, pure italiano, poi però ha lasciato New York”. “Incontri sentimentali ne ho avuti penso una decina, di questi forse due si possano definire legami romantici, perlomeno da parte mia”, ci risponde Giacomo, milanese di 22 anni laureatosi a Boston e appena trasferitosi a New York. Carla, 28enne napoletana nella Grande Mela per lavoro da un anno ci confessa: “Ho avuto più di dieci incontri fisici. Nessuno di questi ha portato a un legame romantico, tranne uno, che però è durato solo una settimana. Io, comunque, ci penso ancora”. Una decina di incontri sentimentali anche per Camilla, 23 anni, di Roma, laureata ad NYU e ora con un lavoro a Midtown: “Ho avuto anche un ragazzo per un annetto, ma ormai è da un po’ che sono single”, ci spiega. Marco, 26 anni di Roma, all’ultimo anno della PACE University, a New York non ha mai trovato una relazione significativa: “Ho avuto tanti incontri, più di quanti vorrei ammettere. Nessuno, purtroppo, è mai diventato qualcosa di concreto, tranne uno, che poi però si è rivelato un’illusione”. Più particolare il caso di Paola, 28enne di Padova, qui da otto anni e un lavoro come fashion designer. Pur avendo avuto parecchie frequentazioni, la ragazza ha tendenzialmente evitato esperienze puramente da “una notte e via”: “Ho avuto 6 incontri che hanno portato tutti ad una frequentazione, più o meno duratura. In due casi è durata qualche mese, una volta 6 mesi, poi ho avuto tre relazioni serie: due anni, tre anni e la mia attuale, iniziata 6 mesi fa”.

In che modo le relazioni qui sono diverse da quelle in Italia? New York ha cambiato il tuo modo di intendere le relazioni? Se sì, come?
Alcuni dei ventenni con cui abbiamo parlato hanno ammesso che l’impatto con New York ha modificato il loro modo di rapportarsi con eventuali partner. “New York ha cambiato decisamente le mie relazioni sentimentali. Intanto, perché in Italia ero fidanzata da 4 anni e questa relazione è finita dopo 5-6 mesi che ero qui: la vita era talmente frenetica che per me era difficile mantenere una relazione a distanza”, ci racconta Carla. Inoltre, l’atteggiamento molto più libero da un lato ma più restio a legami a lungo termine dall’altro “mi ha resa più cinica. Dopo vari tentativi, non mi importa più niente di cercare una relazione a New York, ma penso a divertirmi”, ammette. Secondo Alberto, “in questa città le persone non devono nascondersi per fare ciò che vogliono, perché ognuno è libero di gestire la propria vita come meglio crede, senza preoccuparsi dei giudizi”. Alberto si definisce “molto cambiato nella mia visione dell’amore e delle relazioni: vivo il rapporto di coppia con meno taboo, meno problemi, meno gelosie, a differenza di quello che ho sperimentato in Italia e a Napoli”. Secondo Michele, 23 anni, a New York da uno, “in Italia non abbiamo la cultura del date che esiste qui”, e le stesse relazioni interpersonali, nella Grande Mela, vengono in qualche misura “monetizzate”: “Incontrare qualcuno significa avere un impegno in agenda, spendere denaro e tempo (che qui è sempre limitato) per trovare una persona che condivida le tue passioni e sia adatta alle tue esigenze. Investire sulle altre persone serve soltanto ad avere un ritorno affettivo e delle conferme”.
“Essendomi trasferita a 21 anni, dopo il liceo, non ho mai avuto una vita indipendente in Italia”, ci spiega invece Paola. “Ho avuto il fidanzato storico dai 16 ai 21 anni conosciuto al liceo”. Eppure, dopo tante frequentazioni nella Grande Mela, Paola è giunta a una conclusione: “New York non è casa, New York è un posto di passaggio. Tanti, quindi, non vogliono mettere radici, e le persone fanno fatica a pensare a lungo termine”. La città perfetta, insomma, per esperienze estemporanee su cui investire poco dal punto di vista romantico. A Giacomo, invece, New York fa pensare “più in grande, anche nelle relazioni: ti fa venir voglia di cercare con più attenzione qualcuno che sia perfetto per te. C’è molta meno pressione sociale sul fatto di essere fidanzati o in coppia”. Anche il ruolo della donna e dell’uomo, a New York, è meno tradizionalista che in Italia. Aurora, ad esempio, da quando vive qui ha imparato che l’iniziativa non la devono prendere necessariamente i ragazzi. Un’impressione confermata da Filippo: “Ho trovato più sicurezza in me stesso. Qui non devi essere per forza tu a fare la prima mossa, e stare in un ambiente dove tutto è più alla pari è bello”. Anche Marco, qui, si sente più libero di “interagire con le ragazze, anche quando sono da solo. Comunque”, aggiunge, “penso che New York sia il posto migliore per sentirsi rispettati nelle proprie visioni sentimentali”. Dal canto suo, Pietro è molto felice del cambiamento che hanno avuto le sue relazioni da quando è approdato nella Grande Mela: “Alle superiori ero molto timido con le ragazze, e pensavo non mi si filasse mai nessuno, ma venendo qua mi sono accorto che tutto d’un tratto si filano anche me… pazzesco”.
C’è però anche chi afferma, con un pizzico di orgoglio, di non sentirsi cambiato o influenzato dal contesto: come Leonardo, che tuttavia si rende conto di essere “atipico”, perché “qui la mentalità è sicuramente molto più disinibita e aperta”. Neppure Laura si sente modificata: al massimo, afferma, New York “mi fa venire più voglia di provare tutto quello che posso. C’è tanta gente, qui, che non ha voglia di relazioni: è molto facile volerli conoscere tutti”. Giovanni risponde fieramente che neppure le seduzioni della Grande Mela sono riuscite a incrinare la sua capacità d’innamorarsi. “La mia visione dell’amore non è cambiata di una virgola. La città mi ha dato una mano, però, a mettere le cose in prospettiva, vedendo come si comportano le ragazze qui”. Anche Camilla ritiene di essere rimasta salda sui suoi valori, anche se ammette che la sua permanenza qui l’ha aiutata a “capire come differiscono gli atteggiamenti sia delle femmine che dei maschi in America piuttosto che in Italia”, e ad acquisire un’ottica meno provinciale sulle relazioni.

È più facile allacciare relazioni amorose qui o in Italia?
Quasi tutti concordano che a New York sia estremamente più facile conoscere persone, ma più difficile instaurare qualcosa di duraturo. Carla, ad esempio, si è fatta un’idea precisa della situazione: “Qui c’è un sacco di scelta, e questo ti porta a interfacciarti con una persona che nel frattempo ne sta già frequentando altre 10 (sembra di stare in programmi come “Uomini e Donne” o “The Bachelor”)!”. Per Carla, “la stragrande maggioranza dei giovani, qui, usa le app di incontri e non si accontenta mai di frequentare un solo partner, ma continua a cercarne”. Il risultato? “I newyorkesi sono molto più liberi, ma anche molto più spaventati dalle relazioni, e quindi la maggior parte delle persone tende a sparire, non scriverti più”. Ma questo non è l’unico ostacolo: “Le persone, qui, sono molto impegnate con la carriera, ed è davvero difficile coordinarsi per avere un appuntamento. Noi italiani, in genere, siamo un po’ più spontanei”. Secondo Alberto, queste difficoltà si incontrano anche nello stringere amicizie: “Il tipico amico di infanzia che frequenti da venticinque anni in Italia è difficilissimo da trovare qui. Molti ti considerano un conoscente, mentre tu, da italiano, li reputi amici stretti e nel momento del bisogno non si dimostrano tali”.
Paola vede invece nell’attitudine newyorkese degli aspetti positivi: “Da noi, in città come Padova, si pensa a sistemarsi presto”. La ragazza considera tale tendenza un segno di “monotonia culturale e sociale”, che tende a dettare tappe della vita prestabilite in cui è caldamente raccomandabile “sposarsi prima dei 30”. Invece, “chi si trasferisce qui fa un cambiamento di percorso di vita talmente drastico che nulla è più prevedibile”. Giacomo sintetizza: “Incontrare ragazze è molto più semplice, ma trovare l’amore è molto più difficile”. Idem per Marco: “Qui è più facile incontrare gente e portarla a letto, più complicato innamorarsi di qualcuno”. Aurora ammette che, da quando è nella Grande Mela, trovare un ragazzo è diventata una mission impossible: “Io sono una che ha bisogno di una relazione, di qualcosa di stabile, ma qui è come se tutti cercassero di evitare legami a lungo termine. Da una parte è divertente, però molte volte è assolutamente deprimente”. Pietro ha trovato il motto perfetto per New York: “Qui si prova finché si trova”, cosa che definisce “uno spasso” e “l’esatto opposto di quello che avviene in Italia”.
C’è però anche chi – una minoranza – ritiene che nella Grande Mela sia più facile sviluppare relazioni, anche durature. Secondo Leonardo, il fatto che in una città come New York ci si concentri sulla carriera non è per forza negativo: perché questo “incoraggia a mantenere una indipendenza e un proprio spazio anche quando si è in coppia”, cosa utile per mantenere una relazione sana. Leonardo non è l’unico a pensarla così: per chi è sempre stato molto timido, le tante occasioni di incontro e il clima di libertà che si respira sono un’opportunità. “Sviluppare una relazione, per me, è difficile sempre, ma mi viene più difficile in Italia”, dice Laura. Perché, spiega, nel Belpaese c’è più pressione sugli sviluppi, mentre l’atteggiamento disimpegnato americano “paradossalmente, rende il tutto più semplice, e anche più divertente”. C’è poi chi, nella Grande Mela, ha trovato l’amore, come Filippo: “Ho conosciuto la mia ragazza proprio qua, all’università: ormai stiamo insieme da un po’”. A suo avviso, “questo mito dell’impossibilità di avere una fidanzata a New York è una gran cavolata. Ci sono così tante belle ragazze intelligenti, che c’è solo l’imbarazzo della scelta. Innamorarsi è bello, ed è facilissimo, tutti vogliono scappare dalla negatività a volte opprimente della città e sperare in qualcosa di un pochino più romantico”.

Il fatto di essere italiani è un vantaggio o uno svantaggio?
Quasi per tutti, il marchio made in Italy, anche nelle relazioni, è motivo di grande interesse. Forse, suggerisce Camilla, più per i ragazzi che per le ragazze: perché il maschio “latin lover”, si sa, fa strage di cuori. Marco, in effetti, conferma il paradigma: “Per me, specie all’inizio, poter dire di essere italiano è stato fondamentale. Il modo più semplice che avessi per attaccare bottone e far nutrire dell’interesse nei miei confronti”. Secondo Pietro, il fascino deriva anche dal modo di parlare: “Ascoltano l’accento e impazziscono”, racconta. Qualcuno, in maniera più politicamente corretta, sostiene invece che non faccia alcuna differenza, come Paola. Ma, secondo Carla, è un’arma a doppio taglio: “È un vantaggio, perché fa colpo, ma anche uno svantaggio, perché quello che ci aspettiamo noi dagli altri non viene sempre corrisposto”. Come a dire che noi italici, abituati a relazioni più profonde e durature dei newyorkesi, abbiamo molte più probabilità di rimanere delusi. Ad avviso di Leonardo, però, non è soltanto la nazionalità a contare, quanto il fatto di essere stranieri: perché l’esotico, qui – lungi dallo spaventare – incuriosisce e cattura.
Ci racconti un’esperienza che ritieni significativa per te ed esemplificativa dei rapporti che si instaurano qui?
“Tutte le relazioni che ho avuto mi hanno insegnato tantissimo sulla persona che sono”, ci risponde Paola. “Mi hanno aiutata a conoscermi e a capire quali sono le caratteristiche che cerco in un uomo, i compromessi che non voglio più fare, ma soprattutto che devo mettere avanti me stessa e mai l’altra persona”, spiega. “Da italiana che crede al grande amore sono sempre stata troppo disponibile sentimentalmente, quando invece dall’altra parte c’era un atteggiamento tutto newyorkese, del cuore con i freni”, argomenta. Paola non riesce a scegliere un’esperienza in particolare da raccontare: è convinta che, “se non avessi avuto tante relazioni con persone totalmente diverse l’una dall’altra, ma accomunate da quell’atteggiamento, non avrei mai capito e maturato la consapevolezza di ciò che mi merito davvero”.
C’è invece chi, sull’esperienza da riferire, non ha dubbi: “Ho conosciuto un ragazzo molto bello, professionista, della mia età, famiglia ebrea del New Jersey, apparentemente normale”, ricorda Carla. “Con lui ho passato una serata divertente, ma il giorno dopo mi sono accorta che aveva lasciato la giacca a casa mia. Giacca di pelle vera, del valore di 900 dollari circa: questa persona, pur di non scrivermi, l’ha lasciata per diverso tempo a casa mia. Alla fine, l’ho contattato io per restituirgliela”. Ad ogni modo, la “fuga” dopo l’incontro è un classico: “Una sera ho conosciuto una ragazza in biblioteca che studiava per il mio stesso esame”, racconta Giacomo. “Abbiamo studiato un po’, quindi ce ne siamo andati a casa sua. Poi, però, non si è fatta più viva: all’esame non l’ho più vista, e ci sono rimasto un po’ come un allocco”. Aurora conferma la tendenza: “Conta il non venir mai richiamati, anche se te l’hanno promesso?”, ci chiede. Qualcuno, qui a New York, è rimasto addirittura scottato da esperienze con connazionali: “Una ragazza italiana che mi piaceva tantissimo mi ha piantato dopo due settimane perché ‘le ricordavo troppo di casa’ e dei suoi amici. Non ho mai capito cosa ci fosse di male”, confessa Filippo.
Da quando sei qui ti sei iscritto a qualche app di incontri, o preferisci affidarti al destino?

Tra i giovani italiani, l’atteggiamento verso piattaforme di incontri resta mediamente diffidente. Tanti sono coloro che affermano di non averle, oppure di averle ma di utilizzarle molto poco. Secondo Pietro, le feste funzionano molto meglio dei siti. Aurora, nonostante le pressioni, continua a preferire gli approcci di persona: “La mia roommate mi ha chiesto di scaricare Tinder, lei è infognata di quella roba”, racconta. “A me fa un po’ strano, quindi ancora non l’ho fatto”. Giacomo afferma di avere Tinder, ma di non utilizzarlo: “Mi affido alla City, che è molto meglio”. Carla si è iscritta una sera per gioco, ma dopo le prime conversazioni è rimasta annoiata e ha deciso di cancellarla. Quanto a Paola, la ragazza ha utilizzato un’app solo in due periodi: “Così”, racconta, “ho conosciuto due delle persone che ho frequentato. Ero convinta che non ci fosse altro modo per me di conoscere persone nuove a New York, per via dei ritmi pressanti del mio lavoro e per una scena sociale troppo dispersiva”. Eppure, poco dopo, Paola ha capito che quelle modalità non facevano per lei: “Le persone con cui sono stata insieme e che avevo conosciuto online erano forse arrivate nella mia vita perché ‘cercate’, e con nessuna ha funzionato”, ci spiega. Non a caso, il suo attuale ragazzo l’ha conosciuto casualmente, durante una passeggiata a Soho: “Questa cosa mi ha fatto credere che il destino possa ancora compiersi a New York”.
Tra le app più usate dagli italiani che si sono fatti tentare dall’amore 2.0, al primo posto c’è Tinder, che, secondo Laura, è il “meglio del meglio”. Camilla, invece, utilizza anche Bumble, che passa per essere un’opzione più adatta a chi, più che un’avventura da una notte, vuole trovare l’amore. Leonardo è iscritto anche a Hinge, che è più scientifico perché connette persone che hanno amici in comune su Facebook. C’è anche chi, dall’app di incontri, è rimasto deluso: “Ho conosciuto una ragazza su Tinder”, racconta Michele. “Io ci uscivo per conoscerla ed ero interessato alla sua storia personale, ma lei è diventata ossessiva perché, pur non sapendo nulla di me, dopo tre volte che ci siamo visti ha iniziato a dirmi che era adulta, che era seria e che voleva soltanto una storia importante”.

Che fine fanno le relazioni amorose intraprese in Italia, quando uno dei due si trasferisce a New York?
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Domanda da un milione di dollari. I classici rapporti stabili all’italiana reggono all’onda d’urto newyorkese? Carla ci ha già raccontato che, dopo alcuni mesi di permanenza nella Grande Mela, il suo rapporto è andato a rotoli. Marta, 24enne qui da settembre per uno scambio alla Columbia University, è invece ancora ottimista: “Sono fidanzata da marzo 2018 e a noi la distanza non ha messo per niente in difficoltà. Finora sembra andare tutto bene: riusciamo a sentirci molto, siamo entrambi ragionevoli se non riusciamo a parlare e abbiamo litigato pochissime volte”. Marta, da quando è qui, racconta di non essere mai caduta in tentazione. “Sinceramente, qui non ho mai visto nessuno che mi piacesse, anche perché io ho un prototipo di ragazzo molto definito, olandese/tedesco, occhi azzurri, alto”.
Per Gianna, 29 anni, qui da più di uno e un lavoro in campo digital, le cose si sono fatte invece più complicate: “Sono arrivata qui fidanzata da anni, ora non ho ancora capito se lo sono più”. E New York è stata una componente importante nella crisi: “Da quando sono qui, do molta più importanza alla mia carriera. Ho iniziato a vedere tutte le opportunità che questa città offre, ho iniziato a pensare molto più in grande rispetto all’Italia perché qui ci sono più opzioni a livello professionale e un’atmosfera ideale”. Gianna era partita con l’idea di tornare in Italia, ma ora comincia a nutrire dubbi. E il suo ragazzo non condivide la sua dedizione al lavoro. “Abbiamo due modi di concepire la vita diversi ed è difficilissimo portare avanti una relazione a distanza quando non ti vedi per lunghi periodi”. La ragazza confessa che la libertà che si respira nella Grande Mela l’ha in qualche modo fatta traballare: “In una città come New York, dove passano così tante persone, spesso ti domandi se per caso non ce ne sia una più ‘giusta’ per te, più simile nel modo di pensare”. Ma anche Gianna vede, nel modo newyorkese di affrontare le relazioni, tanta superficialità in più: “Qui i rapporti sono come prodotti del mercato che assaggi e continui a cambiare per capire se c’è qualcosa di meglio. Questo mi affascina ma al contempo mi spaventa, perché si rischia di perdere di vista le cose più importanti, come la stabilità sentimentale e l’idea romantica dell’amore che noi in Italia abbiamo ancora. Mi affascina l’altro modo di vivere, ma ho paura che questa città mi snaturi”.