In una Sicilia abbandonata al suo destino da una classe politica (regionale e nazionale) più interessata agli affari e alle carriere che alle sorti del territorio, la Chiesa, in alcune realtà, riesce a sopperire a questa drammatica insufficienza di rappresentanza democratica. A ben pensare, però, più che di Chiesa, sarebbe più opportuno parlare di singoli preti il cui impegno civile non sempre è apprezzato dai vertici ecclesiali. Come nel caso di cui ci occupiamo oggi: don Palmiro Prisutto parroco di Augusta.
Parliamo della cittadina in provincia di Siracusa, dove una folle politica industriale di matrice coloniale, ha piazzato un polo petrolchimico che, negli anni, ha prodotto devastazioni ambientali che hanno causato, a loro volta, un incremento drammatico nell’incidenza di malattie mortali. A quest’area siciliana (che include anche Priolo e Melilli) spetta il triste primato di tumori e malformazioni neo-natali con tassi ben più alti della media nazionale.
Un territorio questo che, come altri in Sicilia (la Valle del Mela, ad esempio, di cui vi parleremo nel ritratto di un altro prete coraggioso), registra la più totale indifferenza della classe politica siciliana che, tra la salute dei cittadini e quella delle grandi compagnie nazionali che gestiscono gli impianti inquinanti, ha scelto da tempo la seconda.
Don Palmiro Prisutto di Augusta da anni si batte contro quello che definisce un vero e proprio “olocausto industriale”. Sono anni che, ogni mese, dedica una messa alle vittime del petrolchimico, dando loro un nome, un cognome, un volto, una storia. Sono anni che urla contro il silenzio di media e delle istituzioni. In una lettera inviata alle redazioni dei giornali ha scritto senza indugi che quello a cui stiamo assistendo in quell’area di Sicilia “è una strage di Stato”. Leggiamo qualche passo di quella missiva per capire di chi stiamo parlando: “Dobbiamo morire, sì; ma non essere assassinati dalle istituzioni! Io – ha scritto Don Prisutto – sono un cittadino di Augusta, quarantamila abitanti, una città tra Catania e Siracusa, dove c’era anche Marina di Melilli. Il nome di Augusta, di solito, ormai, si trova unito a Priolo e Melilli, con le quali condivide un destino amaro: l’olocausto industriale. Forse, un giorno, questa tragedia entrerà a pieno titolo nei libri di storia come Bhopal, Chernobyl, Minamata, Seveso, Hiroshima, Auschwitz. Sono poche, credo, in Italia, – prosegue Don Prisutto nella lettera – le città che come Augusta, si trovano esposte a ben tre rischi: sismico, chimico-industriale e militare. Ma di questa città e del suo triste destino si preferisce non parlare”. E poi la chiosa, altrettanto amara: “Se mettessimo insieme il numero dei morti e dei feriti degli incidenti industriali, degli infortuni sul lavoro, e se unissimo ad essi il numero di morti per tumori ed il numero dei bambini malformati, potremmo parlare, senza alcuna retorica, di strage: ma di una strage di stato. Forse un giorno – chiosa il sacerdote – verranno le telecamere a documentare l’ennesimo disastro, ad innescare polemiche, dibattiti e passerelle. Ma non sarebbe opportuno che le telecamere venissero ora per evitare ulteriori disastri?”
Questo è don Palmiro Prisutto. Al quale sono andati diversi riconoscimenti da parte della società civile (come il Premio Nenni 2015) e che il movimento Terra e Liberazione definisce “prete combattente, un siciliano vero al quale si deve il censimento dell’olocausto petrolchimico e affini, giunto a circa 800 nomi e cognomi”.
Anche l’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto una sua lettera in cui il parroco di Augusta parla di “una strage silenziosa che ha fatto più vittime dell’incidente di Marcinelle e delle Fosse Ardeatine che lei da presidente, ha recentemente visitato. L’assassino silenzioso è il cancro, provocato dall’inquinamento industriale che dura pressochè impunito da oltre sessant’anni. Quella Repubblica – scrive Padre Prisutto a Mattarella – di cui lei è capo da qualche giorno, ha abbandonato al suo triste destino questa città, la Costituzione sulla quale lei ha giurato e che in teoria avrebbe dovuto tutelare la salute, la vita, il lavoro, il territorio e gli stessi abitanti di questa città, qui, è palesemente violata da chi ritiene che col denaro si può fare tutto: dalla corruzione delle istituzioni che ci dovrebbero difendere fino a comprare il silenzio delle vittime e delle loro famiglie. Una logica aberrante – ha aggiunto – il ricatto occupazionale, la monetizzazione del rischio, da oltre mezzo secolo unitamente all’inquinamento generale di tutto l’ecosistema costringe gli abitanti di Augusta e dintorni ad affermare che è meglio morire di cancro che di fame”.
Ebbene, nonostante lo straordinario esempio di impegno civile e cristiano, per Don Prisutto non sono in arrivo riconoscimenti da parte della Chiesa. Al contrario, il vescovo, Salvatore Pappalardo, ne ha chiesto le dimissioni. Ufficialmente si parla di dissapori con le confraternite locali, ma non ci crede nessuno. Tant’è che i cittadini di quel territorio si sono mobilitati e hanno protestato, sia attraverso i social che con sit-in davanti la parrocchia di Don Prisutto.
“Per chi non è di Augusta, Don Palmiro Prisutto, sacerdote augustano, da circa trent’anni, combatte contro la piaga dell’inquinamento ambientale, nel ‘triangolo della morte’ di Augusta-Priolo-Melilli, l’alta mortalità di cancro e l’alta incidenza di natalità con malformazioni- – si legge sulla pagina Facebook Io sto con Don Palmiro Prisutto – Quindi, per i poteri forti, e nella Chiesa ce ne sono e come, sin dai tempi del sommo sacerdote del tempio, Kaifa, risulta essere un personaggio scomodo”.
“Una scusa – dice Mara Nicotra in rappresentanza del gruppo Il popolo inquinato – E’ chiaro che la battaglia di don Prisutto tocca interessi forti. Lui si batte per la vita da 35 anni in un territorio massacrato dall’inquinamento industriale. E noi siamo con lui: la sua battaglia e la nostra”.
La speranza di questa gente è che il caso arrivi fino alle orecchie di Papa Francesco che, a giudicare dallo spirito con cui sta portando avanti il suo ruolo pontificio, mai consentirebbe una ingiustizia simile ai danni di un prete che meglio di altri sa portare avanti il suo messaggio.
Non tranquillizza, infatti, la notizia di un ripensamento da parte del Vescovo Pappalardo che ha ritirato la richiesta di dimissioni. Ufficialmente perché che Don Prisutto avrebbe “fatto pace” con le confraternite con cui sarebbe entrato in conflitto. Ma questa è solo la versione ufficiale. L’altra versione, parla, invece, di una retromarcia dovuta alla mobilitazione e all’attenzione mediatica che ha suscitato la notizia del siluramento di Don Prisutto e che avrebbe consigliato a Pappalardo di fare calmare le acque. Poi, chissà…. In vista potrebbe esserci anche una bella promozione per il prete combattente: promoveatur ut amoveatur?