Mafia Balorda è un libro del giornalista Josè Trovato che parla della mafia in provincia di Enna. E’ la risposta a chi guarda all’entroterra siciliano come una parte dell’Isola in cui il fenomeno è poco diffuso o, addirittura, inesistente, ma che di fatto ha radici profonde nella realtà siciliana tutta. L’opera – aperta a tutte le fasce socioculturali per la semplicità della tecnica narrativa utilizzata – racconta quanto la criminalità sia, tra giri d’affari lucrosi, intrecci di favore, lotte di potere, ben radicata nel territorio e di come agisca e si alimenti.
L’autore, prendendo spunto dai processi a cui ha assistito personalmente, fa un excursus delle operazioni antimafia che, a partire dal 2007, si sono susseguite fino a oggi; e non risparmia nomi e cognomi di vecchi gregari e boss di vario tipo. Parti del libro si dilatano in romanzo. Ci si addentra nel vivo del modus operandi dei personaggi, degli ambienti in cui vivono, degli usi e dei costumi che sembrano parlarci di scene di un film. Alla narrazione cronachistica degli avvenimenti fanno da sfondo gli stati d’animo vissuti dall’autore stesso nel corso della sua professione giornalistica.
Josè Trovato si apre con i lettori. Confida loro gli episodi che lo hanno profondamente colpito; svela chi e cosa lo spinse a intraprendere la strada di giornalista di cronaca nera. Sorprendente la capacità di trasportarci nelle aule di tribunale come se assistessimo dal vivo ai processi narrati. Il lettore si identifica nelle aspettative di chi, con coraggio e determinazione, ogni giorno sottrae potere alla mafia.
L’autore, inoltre, riporta alla luce storie di vecchi omicidi, come quello del dottore Giovanni Mungiovino, politico di spicco della Democrazia Cristiana ennese ucciso nell’agosto del 1983; e il delitto “dei fidanzatini” di Leonforte, in cui rimasero vittime Filippo Musica, trentenne, e la sua fidanzata Elisa Valenti, 24 anni, colpevole solo di essere con la vittima predestinata, quando i sicari sono entrati in azione.
Mafia Balorda è un chiaro contributo alla lotta contro il sistema omertoso su cui si regge il potere della mafia. Il lettore acquista piena consapevolezza della realtà circostante rendendosi conto di quanto sia ancora forte il legame mafia-territorio. L’opera si rivela uno strumento educativo prezioso per le nuove generazioni. Lo ribadisce Baldassare Daidone, Tenente Colonnello provinciale dei Carabinieri che conclude la prefazione scrivendo: “Auguro all’autore che il libro possa confermarsi tra le opere di riscatto e di coraggiosa informazione dei fatti di Sicilia e che venga divulgato e presentato in tutte le scuole a vantaggio della crescita civile delle nuove generazioni ennesi.”
Di questo libro parliamo con l’autore.
Come nasce l’idea di scrivere Mafia Balorda?
“Avevo scritto un libro su Cosa Nostra ennese nel 2008, dal titolo: La mafia in provincia di ennese. Una storia negata. È quello un libro d’esclusiva ispirazione giudiziaria, basato su carte processuali, in cui venivano riportati quasi testualmente gli atti giudiziari. Più tardi pensai che si potesse fare di meglio, raccontando la mafia con il linguaggio della strada e della cronaca. E così ho fatto. Ho cercato di raccontare la mafia in prima persona e poi ho deciso un’ulteriore virata, rispetto al primo libro. Nel primo ho raccontato una mafia storica. Storie vecchie, insomma. In Mafia Balorda narro fatti più recenti, a parte alcuni capitoli. Raccontarla, per me, è la migliore maniera per combattere la mafia. È il mio piccolo gesto antimafia!”.
Mafia Balorda è un libro denuncia?
“E’un libro-denuncia sull’assenza totale di attività antimafia al di fuori dei Tribunali e delle sedi delle forze dell’ordine. In provincia di Enna si parla di mafia solamente in questi ambienti. Ed è quello che cerco di combattere da quando ho incominciato a scrivere di mafia, cioè dal 2005 a oggi. Ho scritto di mafia dopo avere seguito un processo, accorgendomi che nessuno avrebbe raccontato quello che era successo in aula. Accadeva non perché i cronisti avessero paura di scrivere di mafia, ma perché si era convinti che quella ennese fosse una mafia meno importante della mafia di altre province della Sicilia. Una mafia che non faceva notizia. Invece è importantissima, tant’è che sono state organizzate qui a Enna le stragi di via d’Amelio e di Capaci”.
Per certi versi, parte del libro è autobiografico, in quanto alla narrazione dei fatti unisce gli stati d’animo di chi vive la lotta alla mafia. Il suo “no” contro la mafia parte da un singolare episodio che l’ha indotto a combatterla facendo cronaca in maniera dignitosa. Quanto si sente orgoglioso di questa scelta e quanto appagato?
“Non lo faccio per denaro, questo è ovvio! Raccontare la mafia ennese è un gesto culturalmente importante, ma non è redditizio. Mi sento molto soddisfatto, perché sono quelle cose che chiunque poteva fare, ma che nessuno aveva trovato il coraggio o il tempo di fare. L’apprezzamento di molte istituzioni che combattono la mafia in prima fila è la risposta che mi aspettavo e che più di tutto che mi soddisfa”.
Nel libro si parla di episodi spietati e di una struttura mafiosa fortemente aggregata a quella di Trapani, di Palermo e via continuando. Quali le difficoltà riscontrate nel portare avanti il progetto?
“Ci sono tanti momenti difficili, soprattutto quando ti rendi conto di essere pressoché isolato, perché in tanti pensano, appunto, che la mafia qua è soltanto un elemento ulteriore del contesto circostante, un qualcosa di pressoché inesistente. La verità è che in questi anni, da quando ho cominciato a fare cronaca, la mafia ennese è cresciuta ulteriormente rispetto al passato. È cresciuta in pericolosità, ma anche per quanto riguarda la percezione sociale. Prima era una mafia rurale, che compiva estorsioni e basta. Oggi è qualcosa di più invasivo. Basta vedere quello che è successo a Troina, dov’è stato sgominato un clan che voleva sbaragliare un’amministrazione comunale. Queste sono circostanze da mafia metropolitana che stanno prendendo piede anche a Enna. Altri momenti di sconforto ci sono stati, quando la gente non rispondeva alle sollecitazioni. Raccontavo la mafia nelle scuole e i ragazzi mi guardavano con un’aria sconvolta, convinti che la loro realtà fosse diversa. E invece fa parte anche delle loro vite, anche se non lo sanno”.
Cosa Nostra si inserisce nella struttura sociale economica e finanziaria del Paese. A suo parere come andrebbe combattuta?
“Secondo me in provincia di Enna non si è ancora fatto abbastanza per combattere il reimpiego dei capitali illeciti della criminalità organizzata. Questo non perché le forze dell’ordine non ci abbiano lavorato, anzi! Sono stati sequestrati molti patrimoni illegali ai boss, tuttavia troppo spesso personaggi di secondo e terzo piano riciclano denaro illecito senza rendersene neanche conto. Denaro sporco viene re-immesso nell’economia legale, senza che si possa fare abbastanza. Secondo me è questo che manca. La lotta alla mafia militare in provincia di Enna ha assunto un grado di professionalità totale: ormai non può neanche provare ad effettuare un’estorsione senza che nel giro di due mesi i protagonisti finiscano in galera”.
Cosa pensa del binomio mafia-politica?
“Penso che non esiste più un terzo livello. Probabilmente esisteva quando lo ipotizzò Rocco Chinnici. Oggi la mafia è diventata qualcosa di diverso. Oggi non scenderebbe mai a patti con la politica, perché i personaggi di spicco di oggi si sentono superiori alla politica. L’idea stessa di presentare un piattaforma di richieste, un ‘papello’, non verrebbe mai in testa ai nuovi boss. La mafia oggi comanda sulla politica”.
Qual è la vera forza di Cosa Nostra?
“La straordinaria capacità di rigenerazione. Una capacità di appeal nei confronti dei giovani, approfittando del contesto generale – contrassegnato spesso, ma non sempre, da miseria – che non dà loro opportunità migliori. E inoltre il fatto che non si sia mai posto il problema di combattere la mafia attraverso la cultura. Manca una cultura antimafia”.
Quanto contribuisce l’ignoranza ad alimentare il fenomeno mafioso?
“Contribuisce tantissimo. L’ignoranza dei fenomeni produce nuovi affiliati a Cosa Nostra”.
Cosa pensano i giovani di Mafia Balorda?
“Ci sono giovani che hanno letto le oltre duecento pagine del libro tutte d’un fiato e poi mi hanno chiesto l’amicizia su Facebook per congratularsi. Ma la stragrande maggioranza ignora, crogiolandosi in un’illusoria realtà secondo cui, tanto, a Enna la mafia non esiste. Sono ancora in tanti gli imbecilli che ci credono, e solo una minima parte di loro sono giovani. E’ questo che mi preoccupa: non aver sufficientemente risvegliato le coscienze di chi, nella propria ignoranza, crede di vivere in una zona tranquilla, una sorta di isola felice”.
Questo è il suo secondo libro in cui si parla di mafia. Che valore assume un’opera letteraria nella prevenzione contro la criminalità organizzata?
“Lo dicevo prima. La letteratura, la cultura, possono fare la differenza nella lotta alla mafia. Se boss, picciotti e imbecilli di vario tipo vengono ricondotti alla loro reale dimensione, di persone senza arte né parte, allora il potere di ricatto che avranno sulla società si ridurrà in maniera esponenziale. Se non ci rendiamo conto che sono quattro cretini, tutto diventa più complicato”.
Cosa augura ai giovani che vivono in un ambiente sterile come l’entroterra siciliano?
“Di aprire gli occhi”.