Dopo tredici anni dai fatti verificatisi il 20 luglio 2001 a Genova in occasione del G8 è stata emessa la sentenza sulle vicende avvenute. Ad essere stati dichiarati colpevoli non sono stati né (ci mancherebbe altro) le vittime dei pestaggi e dei maltrattamenti, né i reali autori di un simile comportamento (i procedimenti si sono chiusi con assoluzioni o condanne inutili a causa della prescrizione): ad essere stata giudicata colpevole è stata l’Italia, dato che l’intervento compiuto dalle forze dell'ordine durante l'irruzione alla scuola Diaz "deve essere qualificato come tortura".
A dirlo è la Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo che ha condannato il nostro Paese per un reato, quello di “tortura”, che nell'ordinamento italiano ancora non c'è. Ma, come ora diremo, l’Italia non è il solo Paese europeo e, in generale, del mondo dove si registrano casi di tortura. Ci sono altre realtà, denunciate ad esempio da Amnesty International, delle quali non si parla.
Tonando all’Italia, la verità è che proposte di legge per l'introduzione del reato di tortura nella legislazione del nostro Paese dormono sepolte dalle scartoffie in Parlamento da oltre vent’anni, ovvero dal lontano 1989. E anche il disegno di legge sulla tortura attualmente in discussione, sebbene già approvato dal Senato poco più di un anno fa, il 5 marzo 2014, dopo un dibattito durato 8 mesi, è ancora attesa della rilettura alla Camera. Poi dovrà tornare al Senato. Il provvedimento, più volte rimaneggiato e spesso oggetto di divisioni anche all'interno della stessa maggioranza, introduce di fatto il reato di tortura nell'ordinamento italiano che resta però un reato comune (il fatto che venga commesso da un pubblico ufficiale è considerato solo come un'aggravante).
Tempi lunghi, anzi lunghissimi per una legge necessaria, anzi indispensabile. Tempi troppo lunghi per i giudici della Corte europea per i diritti dell'uomo che hanno stabilito che, durante il G8 di Genova, l'Italia violò il divieto di infliggere torture e trattamenti inumani. Negli atti della Corte europea si legge: "I poliziotti che hanno aggredito Cestaro [la persona che ha presentato ricorso a Strasburgo, n.d.r.] non sono mai stati identificati, non sono stati oggetto di un'inchiesta e sono rimasti dunque impuniti". Ma non basta. I giudici di Strasburgo hanno detto che "deplorano che la Polizia italiana abbia potuto impunemente rifiutarsi di fornire alle autorità competenti la cooperazione necessaria all'identificazione degli agenti che avrebbero potuto essere implicati negli atti di tortura", e che "sono stati prescritti in appello i delitti di calunnia, abuso della pubblica autorità, lesioni".
Secondo la Corte europea per i diritti dell’uomo le forze dell’ordine italiane avrebbero violato l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ("Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti"). La sentenza ha sottolineato che, nel Belpaese, esiste un problema "strutturale", essendo la normativa vigente "inadeguata nei riguardi dell'esigenza di sanzionare gli atti di tortura e priva di effetti dissuasivi per prevenire efficacemente il loro reiterarsi".
A ben vedere, però, il “problema” rilevato dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, non è affatto “italiano”. Anzi. A trent’anni dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti (ratificata da ben 155 Paesi), infatti, sono molti i Paesi che, anche quando hanno inserito, con leggi apposite, la tortura tra i reati punibili, l'hanno permessa e tollerata: solo lo scorso anno sono stati ben 79 i Paesi che hanno praticato la tortura.
“Presunti” criminali, persone “solo sospettate” di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, “semplici” dissidenti o rivali politici sono stati pestati, frustati, soffocati, annegati, stuprati e sottoposti a ogni forma di tortura (le principali tecniche di tortura classificate da Amnesty International sono una trentina). E questo non in qualche sperduto Paese africano o mediorientale, ma anche nella “civilissima” Europa. Se, da un lato, è vero che nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea la tortura e gli altri maltrattamenti sono relativamente rari, è anche vero che, dato il contesto di segretezza nel quale la tortura viene praticata, è probabile che il numero reale dei casi sia ben maggiore. Ciò fa sì che quasi sempre gli autori rimangano impuniti. Negli ultimi anni, Amnesty International ha registrato numerosi casi di comportamenti abusivi e illegali da parte degli esponenti delle forze dell’ordine nel corso delle proteste contro le misure di austerità in diversi Paesi europei: oltre che in Italia, anche in Romania, in Spagna e, soprattutto, in Grecia.
Ma anche in America le leggi d’amnistia e l’assenza della volontà politica d’indagare su alcuni crimini del passato spesso hanno impedito di fare giustizia. Il governo degli USA, infatti, è spesso venuto meno al dovere d’indagare sulle torture inflitte nei confronti di presunti terroristi nella cosiddetta “guerra al terrore”. Ad oggi, si continuano ad adoperare tecniche di interrogatorio equivalenti alla tortura (mediante privazione del sonno, obbligo di rimanere in posizioni dolorose per lunghi periodi di tempo e il “waterboarding”). E, come se non bastasse, si sta diffondendo l’abitudine di legittimare il ricorso alla tortura e agli altri maltrattamenti come risposta “giustificata” o “giustificabile” per contrastare gli alti tassi di criminalità. “In alcune prigioni di massima sicurezza degli Usa, molte migliaia di detenuti si trovano in isolamento, in piccole celle, da 22 a 24 ore al giorno. Lo scarso accesso alla luce naturale o a luoghi esterni alle celle costituiscono trattamento crudele, disumano e degradante.
La tortura è usata anche come metodo di punizione nei confronti dei detenuti o per estorcere “confessioni” a presunti criminali comuni”. È questa l’accusa di Amnesty International nel rapporto dal titolo: “La tortura oggi: 30 anni di impegni non mantenuti”.
La verità è che da gennaio 2009 a marzo 2014, sono stati ha registrati torture e altri maltrattamenti in ben 141 Paesi (dati Amnesty International). E molti di questi avevano aderito alla Convezione o l’avevano sottoscritta. Eppure molti di questi Paesi avevano inserito, nel proprio codice di procedura penale, il reato di “tortura”. Stranamente, però, nessuno di questi Paesi è stato citato presso la Corte europea per i diritti dell'uomo o presso altri organismi analoghi.