Nei anni ’90 del secolo passato, quando la Banca d’Italia decretò la morte del Banco di Sicilia, i quattro Hotel più famosi dell’Isola – il Villa Igiea e l’Hotel delle Palme (entrambi a Palermo), il San Domenico di Taormina e l’Excelsior di Catania – fino ad allora di proprietà della più grande banca dell’Isola, passarono, non senza qualche ombra, sotto le bandiere del gruppo Acqua Marcia di Francesco Caltagirone Bellavista. Oggi questi quattro ‘gioielli’ (con l’aggiunta dell’Excelsior Hilton di Palermo e dell’Hotel Des Etrangers & Spa di Siracusa, dislocato nell’isola di Ortigia) sono di nuovo in vendita. A quanto pare, il gruppo Caltagirone è indebitato con le banche. Così i sei Hotel tra i più famosi della Sicilia (il Villa Igiea, le Palme e il San Domenico di Taormina sono di certo, come vedremo, i più noti e i più ricchi di storia) sono di nuovo sul mercato internazionale, pronti per essere rilevati.
Il bando è apparso su tre quotidiani: il Financial Times, Il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera. A metterli in vendita è la sezione fallimentare del Tribunale di Roma. Da quello che si capisce, si sta provando a tutelare i posti di lavoro. Chi acquisterà gli alberghi, infatti, prenderà anche le rispettive aziende che fino ad oggi li hanno gestiti. Il valore di questi sei Hotel è stato calcolato in circa 240 milioni di euro. La migliore valutazione riguarda il San Domenico di Taormina, 5 stelle, 108 camere (quasi 73 milioni di euro). Segue il Villa Igiea, 5 stelle, 124 camere (circa 67 milioni di euro). Poi l’Hotel Des Etrangers di Siracusa, 5 stelle, 76 camere (poco più di 24 milioni di euro); l’Excelsior Gran Hotel di Catania, 4 stelle, 176 camere (circa 30 milioni di euro); l’Excelsior Hilton di Palermo, 4 stelle, 115 camere (circa 23 milioni di euro); il Grand Hotel et Des Palmes di Palermo, 4 stelle, 178 camere (circa 30 milioni di euro).

San Domenico, Taormina
La vendita si annuncia come un’operazione un po’ complessa. Gli eventuali acquirenti potranno presentare le offerte per uno o più Hotel. O per l’intero blocco di sei alberghi. Le buste con le offerte verranno aperte il prossimo 1 luglio alla presenza di un notaio. Non è da escludere che si arrivi ai cosiddetti ‘rilanci’. Perché alcuni di questi Hotel sono piuttosto ambiti e i prezzi di partenza, alla fine, sembrano contenuti. Insomma, i gruppi interessati all’acquisto potrebbero essere tanti. Si parla, ad esempio, dell’Item dello sceicco Hamed, della famiglia reale di Abu Dhabi. Si dice che avrebbe già opzionato quattro dei sei Hotel in vendita con un’offerta di circa 100 milioni di euro (l’offerta riguarderebbe il San Domenico di Taormina, il Villa Igiea e le Palme di Palermo e l’Excelsior di Catania). All’acquisizione sembrano interessati anche gli americani della Starwood. Ma si parla anche di qualche gruppo italiano. Si vedrà.
Che dire? Che con la fine della cosiddetta Prima Repubblica quattro di questi noti Hotel siciliani, forse, non hanno avuto la fortuna che meritano. Per la cronaca, il Villa Igiea, l’Hotel delle Palme e l’Excelsior di Palermo, il San Domenico di Taormina e l’Excelsior di Catania facevano capo alla Sgas, Società grandi alberghi siciliani controllata negli anni della Prima Repubblica dal Banco di Sicilia. Quando si decise che tutto il Sud Italia – quindi Sicilia compresa – sarebbe rimasto senza un sistema creditizio di riferimento, i cinque Hotel della Sgas vennero messi in vendita. Questo è accaduto tra il 1996 e il 2001, quando ormai il Banco di Sicilia non era più siciliano.
Negli anni ’90 l’acquisto di questi cinque Hotel siciliani da parte del gruppo Acqua Marcia di Caltagirone suscitò non poche polemiche. Compravendita un po’ strana, quella andata in scena circa vent’anni fa. Che fu oggetto pure di un’inchiesta della magistratura. In pratica, chi acquistò i cinque Hotel della Sgas – il gruppo Acqua Marcia – ebbe la possibilità di contrarre un mutuo di 58 e 660 milioni di vecchie lire. Si trattò di un mutuo chirografaro, cioè privo di garanzie reali. Ottenuto grazie a una semplice lettera di patronage o con una fidejussione bancaria. In quest’operazione, che risale al 1998, intervennero la Banca Antoniana Popolare (48 miliardi di vecchie lire circa) e la Gedeam Investiment Groups Inc. (per circa 10 miliardi di vecchie lire). Insomma, il Banco di Sicilia, che già allora aveva poco di siciliano, finanziò l’acquirente dei cinque Hotel.

Excelsior Catania
Di quegli anni ricordiamo una bella inchiesta pubblicata da Euromediterraneo, che allora era il mensile dell’Assemblea regionale siciliana (così in Sicilia si chiama il Parlamento siciliano), in quegli anni diretto da Salvatore Parlagreco. Oggi Parlagreco è fondatore e direttore del quotidiano on linea Siciliainformazioni.com. Proprio su questo giornale on line rintracciamo un articolo che risale al settembre del 2012. Un passo di tale articolo ci sembra molto interessante. Scrive il giornale diretto da Parlagreco: “Riassumiamo: Acqua Marcia ha pagato venti miliardi e ottocento milioni in contanti, e la restante somma – circa sessanta miliardi – con una rateizzazione decennale. La somma complessiva, settantanove miliardi (cinquanta in meno del valore di bilancio), è in realtà inferiore: l’attualizzazione di questo credito ai tassi in vigore nei dieci anni, infatti, riduce ulteriormente l’importo della vendita. Acqua Marcia ha quindi venduto una partecipazione di minoranza del pacchetto azionario appena acquistato dal Banco ad una agenzia pubblica, la Itainvest (ex Gepi), per diciotto miliardi in contanti e per un finanziamento di altri sessanta miliardi. II signor Francesco Bellavista Caltagirone, presidente della società romana Acqua Marcia, ha speso venti miliardi subito e si è impegnato a spenderne altri sessanta nel tempo, ma ha ottenuto diciotto miliardi in contanti e sessanta nel tempo da una merchant bank pubblica ed altri cinquantotto miliardi e seicentosessanta milioni in prestito dal Banco. Fosse vera la ricostruzione si sarebbe fatto dare dal venditore i soldi per comprare i cinque migliori alberghi siciliani, li avrebbe pagati ad un prezzo molto conveniente a rate e poi avrebbe rivenduto per una bella cifra una quota degli immobili, mantenendo il potere di decidere sul da farsi. È possibile affermare che sia stato pagato per comprare gli alberghi? L’incentivo a comperare non avrebbe potuto essere migliore. Il Banco di Sicilia ha prestato al signor Caltagirone i denari, la Turin International Hotel si è presa l’onere della gestione, l’Itainvest ha acquistato una quota della proprietà”.
“Gli acquirenti non avevano concorrenti? – leggiamo sempre su Siciliainformazioni -. Quanti imprenditori intenzionati a comperare gli alberghi siciliani furono messi nelle condizioni di avere – e conoscere – gli incentivi offerti all’Acqua Marcia? Se ci fosse stato offerto di acquistare gli alberghi con i soldi del Banco, lo confessiamo, un pensierino lo avremmo fatto anche noi. Se ci avessero promesso un prestito congruo senza dover offrire garanzie reali, se ci avessero detto che avremmo potuto pagare con comodo i gioielli di famiglia del Banco, che una importante azienda avrebbe gestito gli alberghi assumendosi l’onere della promozione e dell’immagine, che un’altra pioggia di miliardi sarebbe arrivata da un’agenzia pubblica in cambio di una quota di minoranza della proprietà, ci saremmo iscritti alla Camera di Commercio come imprenditori alberghieri ed avremmo rinunciato volentieri al nostro mestiere, perché l’occasione l’avremmo colta al volo”.
Ma due di questi Hotel, in Sicilia, sono noti per altre storie. Il Villa Igiea nasce come villa

Grand Hotel Villa Igiea
privata. La storia di questo edificio, costruito alla fine dell'Ottocento a picco sul mare, nel quartiere dell’Acquasanta, antica borgata marinara di Palermo, è legata all'ammiraglio inglese Cecil Domville. Venne acquistato da Ignazio Florio, imprenditore di successo nella Sicilia di quegli anni, che diede alla villa il nome della figlia, Igiea. La villa era molto diversa da quella che si può ammirare oggi. La famiglia Florio la fece ristrutturare chiamando i grandi nomi dell’architettura, dell’artigianato e dell’arte di quegli anni: l’architetto Ernesto Basile, il pittore Ettore De Maria Bergler, mentre per i mobili arrivò Vittorio Ducrot. Attenzione: stiamo parlando dei protagonisti della cosiddetta Bella Epoque (forse ci vorrebbe l’accento sulla prima ‘E’, ma noi non sappiamo come metterlo). Ernesto Basile è stato l’architetto del Liberty, Bergeler un pittore di grande successo, mentre Vittorio Ducrot, per la cronaca, è il fondatore dello ‘Studio Ducrot’, anno di grazia 1902, un’industria tra le prime in Europa nella produzione di mobili di grande fattura artistica. Oggi di quegli anni restano solo le macerie. E Villa Igiea. Passata, poi, sotto le bandiere del Banco di Sicilia.
Prima di passare al gruppo Acqua Marcia, il Villa Igiea è stato gestito dal gruppo Ata Hotels di Salvatore Ligresti, l’imprenditore catanese ‘milanesizzato’ oggi caduto un po’ in disgrazia. Ma negli anni ’80, quando brillava la stella socialista di Bettino Craxi, Ligresti era sulla cresta dell’onda. E il leader socialista, quando veniva a Palermo, alloggiava proprio al Villa Igiea.
L’Hotel delle Palme venne costruito da Benjamin Ingham, un imprenditore inglese che si era trasferito in Sicilia. Siamo sempre negli anni in cui Palermo era una Capitale europea e non la città ciabattona e sfasciata che è oggi. Ingham è lo zio dei Whitaker, altra famiglia inglese prestigiosa che ha lasciato a Palermo e in Sicilia importanti testimonianze (basti pensare a Villa Malfitano, a Palermo, oggi sede di una Fondazione finita, purtroppo, a una Regione siciliana ormai mezza fallita). Nasce come abitazione privata. La casa era collegata da un passaggio segreto alla Chiesa anglicana che si trova proprio di fronte. In quegli anni l’edificio era a due piani e c’era anche un giardino d’inverno che arrivava fino al mare.
Alla fine del’800 l’edificio viene acquistato dal cavaliere Enrico Ragusa che, nel 1907, lo trasforma nel Grande albergo della Palme (o all'Hotel des Palmes ) con un progetto dell’architetto Ernesto Basile. Questo Hotel non può essere paragonato al Villa Igiea o al San Domenico di Taormina. Ma da questo luogo sono passati personaggi importanti. E, sempre in questo luogo, sono accaduti fatti importanti. Chi scrive ha avuto la fortuna di conoscere due personaggi che di questo Hotel conoscevano tante storie. E alcune di queste storie le avevano vissute di presenza, quindi da testimoni. Parliamo di Alessandro ‘Sandro’ Attanasio, un catanese che, forse, è stato addirittura direttore dell’Hotel delle Palme. E di Tonino Zito, un indimenticabile amico e collega che ha vissuto quella che è passata alla storia come l’ ‘Operazione Milazzo’, una controversa fase della vita politica siciliana consumatasi anche nella stanze di questo Hotel.
Tra il 1957 e il 1960, insomma, all’Hotel delle Palme di Palermo, vanno in scena due accadimenti che rimarranno nella storia. Nel ’57 si tiene proprio a Palermo, e proprio nei saloni dell’Hotel della Palme, un summit tra i capi della mafia siciliana e di Cosa nostra americana. C’era l’indiscusso capo della mafia siciliana, Giuseppe Genco Russo, che aveva preso il posto di Don Calogero Vizzini, morto nel 1954, e poi altri mafiosi siciliani: Domenico La Fata, Calcedonio Di Pisa, Vincenzo Rimi, Cesare Manzella. La delegazione americana era capeggiata da Giuseppe Bonanno, meglio conosciuto a Brooklyn come Joe Bananas. Assieme a lui c'erano Joe Di Bella, Vito Vitale, Camillo Carmine Galante, Santo Sorge, Giovanni Bonventre, Charles Orlando, John Priziola. E c’era, soprattutto, Lucky Luciano, che 15 anni prima aveva avuto un certo ruolo nella sbarco degli americani in Sicilia (cosa, questa, che alcuni storici oggi negano, forse per cercare di dare dell’Italia un’immagine più seria…).
Nel 1957 Luciano è uno degli indiscussi protagonisti della mafia americana e siciliana. L’unico in grado di esercitare un grande ascendente su Cosa nostra. In quegli anni Luciano si è trasferito a Napoli. E' stato liberato dagli americani nel 1943, si dice per preparare, in Sicilia, lo sbarco delle truppe americane. Ribadiamo: oggi alcuni storici provano a smentire tale tesi. Ma a parte il fatto che ci sono altri storici che dicono l’esatto contrario, ci sono anche tante testimonianze che provano il ruolo della mafia in quegli anni. Lo stesso Sandro Attanasio ha scritto un libro: “Sicilia senza Italia”, dove si dimostra che gli americani sbarcarono in Sicilia quasi senza colpo ferire.

Interni Hotel delle Palme
Per non parlare dello scrittore e drammaturgo statunintense Eugene Luther Gore Vidal: “La liberazione – scrive – fu l'operazione militare meno sanguinosa di tutta la seconda guerra mondiale. A ungerla con l'olio d'oliva, in modo che non s'inceppasse, ci pensarono i picciotti, che controllavano tutto il territorio, appena arrivò il segnale prestabilito: il lancio dagli aerei americani di migliaia di fazzoletti di seta con una L come monogramma, che stava per Luciano”. Dei fazzoletti con la L lanciati dagli aerei parla anche Pantaleone nel già citato libro ‘Mafia e politica’.
Luciano, siciliano di Lercara Friddi, una volta fuori dalla galera americana, torna in Italia per riorganizzare gli ‘affari’. E’ lui l’artefice del summit dell’Hotel delle Palme di Palermo. L’incontro ha luogo fra il 10 e il 14 ottobre 1957. Chi racconta i particolari del summit è lo scrittore e giornalista Michele Pantaleone nel suo celebre libro 'Mafia e politica' (Einaudi 1962). Pantaleone scrive anche alcuni articoli sul giornale L'Ora di Palermo, uno dei pochi organi di stampa che, in quegli anni, parlava di mafia. Secondo Pantaleone, il programma dei lavori era il seguente. Primo: far cessare le guerre di mafia in Sicilia e in America (in quegli anni a Palermo si contavano centinaia di morti). Secondo: i capi della mafia siciliana avrebbero ‘garantito’ i rapporti con Cosa nostra americana. Terzo: accreditare i corrieri siciliani nel traffico di droga. Quarto: separare dal traffico della droga dal contrabbando di sigarette, che gli americani consideravano ininfluente rispetto al business degli stupefacenti.
Si racconta che, sempre a Palermo, e sempre nei saloni dell’Hotel delle Palme, si decide la sorte del boss Albert Anastasia, considerato troppo ‘rumoroso’, cioè violento. E non è un caso se il 25 ottobre Anastasia viene trucidato da colpi di mitra mentre si sbarbava nello Sheraton Park Hotel, nel centro di New York. Per la cronaca, quel giorno, tra i personaggi che presero parte all’incontro dell’Hotel delle Palme, seduto in un angolo nella Sala del caminetto, c’era un giovane avvocato siciliano di Patti, che negli anni successivi farà molto parlare di sé: Michele Sindona.
All’Hotel delle Palme si consuma anche la già citata ‘Operazione Milazzo’. Nel Parlamento siciliano di quegli anni, nell'autunno del 1958, Silvio Milazzo, tra gli allievi prediletti di don Luigi Sturzo, il prete di Caltagirone fondatore del Cattolicesimo sociale italiano, è un deputato democristiano ribelle. Milazzo ha dato vita a un Governo regionale che ha spedito all'opposizione la Dc ufficiale. Negli anni della ‘Guerra Fredda’ il passo compiuto da Milazzo era considerato politicamente eretico. In pratica, una follia. Dietro questo governo regionale che si ribellava alla Dc e, per certi versi, anche alle ‘Sette sorelle’ (le multinazionali del petrolio che avevano gettato gli occhi sul mare siciliano alla ricerca degli idrocarburi: un po’ quello che sta succedendo di nuovo oggi) c’era l’allora presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Dietro Milazzo,

Grand Hotel delle Palme, Palermo
almeno in una prima fase, c’era anche don Luigi Sturzo, che voleva impartire una bella lezione ad Amintore Fanfani, in quegli anni uomo forte della politica italiana, visto che ricopriva, contemporaneamente, tre posti di grande potere: segretario nazionale della Dc, capo del Governo e ministro degli Esteri con l’interim. Insomma, Fanfani era a capo di tutto.
Esautorato Fanfani, Sturzo si illude di convincere Milazzo a staccare la spina del governo regionale. Ma non sarà così. Dpo il primo governo, Milazzo darà vita ad altri due governi appoggiati da uno schieramento eterogeneo di politici, massoni e mafiosi. Il Pci appoggia il governo. E lo fa con la ‘benedizione’ di Palmiro Togliatti, all’epoca segretario del Partito comunista italiano. Anche Togliatti coltiva un’illusione: spezzare l’unità dei cattolici in politica a partire dalla Sicilia, dove è nata la Dc. Per perseguire questo (e forse altri obiettivi meno nobili), il Pci non esita a finire nel cuore di un’operazione avversata dai servizi segreti di mezzo mondo e appoggiata dalla mafia siciliana (qualche deputato che si rifiutava di votare il governo Milazzo veniva preso a schiaffi dai capi mafia). Contro il governo Milazzo erano due dirigenti del Pci: Girolamo Li Causi e un allora giovane Pio La Torre. Il primo venne costretto al silenzio, il secondo contava poco o nulla. L'operazione Milazzo si concluderà proprio nei saloni dell'Hotel delle Palme. Con i deputati milazziani che proveranno a 'comprare' i voti di un paio di deputati democristiani del Parlamento siciliano. Ma verranno ingannati e sputtanati a Palazzo Reale, la sede del Parlamento dell'Isola.
Ma l’Hotel delle Palme è stato anche altro. Tra gli ospiti di questo albergo si ricorda Richard Wagner, che proprio a Palermo conclude la partitura del "Parsifal". Wagner alloggiava con la seconda moglie, Cosima Listz, e con uno stuolo di accompagnatori. Si fermerà all’Hotel della Palme, nella suite 124, dal 5 novembre 1881 all'1 febbraio 1882. Le cronache del tempo raccontano dei pessimi rapporti tra il titolare dell’Hotel, il cavaliere Ragusa, e lo stesso Wagner. Pare che il musicista andrà via senza saldare il conto. Parlando molto male del cavaliere Ragusa.
Un altro personaggio che frequentava abitualmente l’Hotel delle Palme è stato Francesco Crispi, siciliano in bilico tra Ribera, provincia di Agrigento, e Palazzo Adriano, provincia di Palermo. Crispi, che sarà anche Presidente del Consiglio, veniva eletto a Palermo.
Un altro illustre ospite di questo Hotel di Palermo è Camilo Josè Enrique Rodò Pineyro, giornalista e filosofo uruguaiano, un pensatore liberale piuttosto noto nel suo tempo. Rodò arriva a Palermo il 3 aprile del 1917. E a Palermo morirà, la mattina del Primo Maggio 1917. Il filosofo era di salute cagionevole. Nella notte era stato male ed era finito all'ospedale ‘San Saverio’, che oggi non esiste più. Morte normale o ci potrebbe essere stato altro? Allora si parlò anche di avvelenamento. Il filosofo verrà imbalsamato e finirà al cimitero dei Rotoli dentro una speciale cassa. Nel 1920 la sua salma verrà rimpatriata in Uruguay.
Nella notte tra il 13 e il 14 luglio, anno 1933, nella stanza 224 viene trovato morto lo scrittore surrealista francese Raymond Roussel. Leonardo Sciascia scriverà un celebre saggio: “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel”. In questo racconto-inchiesta, pubblicato nel 1971 dalla casa editrice Sellerio (e tradotto in francese), Sciascia prova a smentire l'ipotesi del suicidio, anche se la vicenda rimane avvolta nel mistero.
Nel 1943 il tenente colonnello Charles Poletti, capo dell'Amgot (Allied military government of occupied territory), piazza all’Hotel delle Palme il proprio quartiere generale. L’occasione, si dirà, per trafugare qualche opera d'arte.
Tra i personaggi particolari che hanno alloggiato all’Hotel delle Palme c’è anche il barone Agostino La Lomia, originario di Canicattì, provincia di Agrigento, che occupava stabilmente la stanza numero 124. Il barone si scriveva le lettere e se le spediva. Facendosele consegnare alla reception, alla presenza di molta gente.
La suite 204 è stata, per oltre mezzo secolo, la casa del barone Giuseppe Di Stefano, originario di Castelvetrano, provincia di Trapani, morto il 5 aprile 1998 all'età di 92 anni. Si racconta che il barone si era auto-esiliato per sfuggire a una vendetta di mafia. Vero? Falso? Chissà.
Foto di Villa Igiea tratta da splendia.com