Ci sono ancora posti all’Arthur Ashe Stadium, a Flushing, nel Queens, per chi volesse vivere di persona il tentativo di Jannik Sinner di entrare nella storia: primo italiano a vincere gli US Open di Tennis. Pesante mano al portafoglio ovviamente: il biglietto più economico è ormai di 450 dollari, tasse incluse, per una seduta che è più vicina al cielo che al campo di gioco, su, nell’ultimo anello. Arrivano invece a 13 mila dollari le prime file, subito dietro le panchine di Sinner e dell’americano Taylor Fritz, l’avversario.

Se tutte le finali sono speciali, quella di domani a New York lo sarà un pochino di più, per gli italiani ovviamente che aspettano questo momento da tutta la vita, ma anche per gli americani che ritornano ad avere un loro giocatore a lottare per il titolo di un Gran Slam dopo quindici anni.

Un assaggio di felicità noi, in realtà, lo abbiamo già avuto con la vittoria – anche questa storica – del doppio misto composto da Sara Errani e Andrea Vavassori, ma ora i tifosi non conoscono limiti ai sogni.
“Lo abbiamo seguito in tutte le sue avventure americane – ha raccontato ieri Emanuela, all’uscita dallo stadio subito dopo l’impresa dell’altoatesino in semifinale contro l’inglese Jack Draper. – Vorrei provare a non perdermi l’atto finale”. La t-shirt, che non lascia spazio a dubbi, “Best Jannik ever”, è quella che ha indossato anche a Miami, quando Sinner, conquistando il secondo Master 1000 della carriera, si era assicurato la seconda posizione nel ranking mondiale (oggi è il numero uno) lo scorso marzo. “La mia maglietta gli ha portato fortuna”, ha scherzato Emanuela, ora alla ricerca di un posto per la finale di New York. “Avendo speso tantissimo per questa partita, aspetterò fino all’ultimo minuto prima di comprarlo. Spero in un colpaccio. Capita, a volte che persone impossibilitate ad andare, svendano i biglietti pur di non perdere tutta la cifra”. Ed è proprio grazie a un affare simile, con i posti comprati due ore prima della partita da un sito di rivendite, che John Franco e il padre Carlo, residenti a Long Island, ma originari di Frosinone, sono riusciti a non perdersi la semifinale. “Se non ci fosse stato un italiano tra i giocatori, non saremmo venuti – dice John. – Tifare per Sinner, invece, ci ha fatto sentire più vicini alle nostre radici. Non parliamo benissimo italiano, ma le due frasi principali “Forza Jannik” e “Dai, dai, dai” le abbiamo sapute urlare bene”.


Chi non mancherà di sicuro alla finale di domani è JL e la sua amica, arrivate rispettivamente dalla California e dal Dakota del Nord per seguire il loro beniamino durante tutta la seconda settimana del torneo. “Il tennis è il nostro sport preferito, ci ha detto JL, mentre è ancora seduta in quarta fila e Sinner a pochi passi sta firmando cappellini e palline dopo la sudata vittoria contro Draper. “Lo seguiamo da tanto tempo. Per me non è importante la sua nazionalità, ma l’eleganza che mostra dentro e fuori dal campo, il suo approccio sempre composto, mai urlato. C’è bisogno di persone come lui nello sport”.
Domani il tennista italiano avrà contro tutto lo stadio, compatto nello spingere verso la vittoria il californiano Taylor Fritz, dodicesimo nel ranking mondiale e primo in classifica tra i tennisti americani. Un po’ però “Fox” c’è abituato. Sin dagli ottavi di finale, l’Arthur Ashe non ha mai tifato per lui perché “New York is an underdog city”, la città tiferà sempre per lo sfavorito di turno, ragiona Steve, veterano degli US Open. Anche se in minoranza, però, i tifosi di Sinner faranno sentire il loro calore. E lo faranno anche vedere. Proprio come ieri, quando lo stadio per qualche ora è stato un po’ più arancione del solito grazie ai “carota boys”, come vengono chiamati i supporter, che hanno indossato una maglietta o un cappellino arancione in onore del loro campione.
