Alla soglia degli 85 anni, Avati propone un gotico dalle tinte soprannaturali e autobiografiche, ambientato tra un’Italia devastata dal dopoguerra e una rurale America. Il film segue le vicende di un giovane aspirante scrittore (interpretato da Filippo Scotti), che si innamora follemente di Barbara, una bellissima infermiera dell’esercito americano.
L’anno successivo, lo scrittore si reca nel Midwest americano nel tentativo di raggiungerla e si stabilisce in una casa vicina a quella della sua amata. Nel frattempo, la madre della ragazza (interpretata da Rita Tushingham) vive in un’angosciosa disperazione, poiché non ha più avuto notizie della figlia da quando questa aveva annunciato l’intenzione di sposarsi. Filippo si imbarca in un’avventura tormentata quando scopre, nell’orto americano, una teca contenente resti umani femminili, che potrebbero essere legati a un pericoloso serial killer. La sua ricerca ossessiva lo condurrà a una spirale di ansia e drammaticità, il cui epilogo si consumerà in Italia.
Il film gioca con il concetto di confine, non solo geografico, ma soprattutto mentale. L’orto, elemento centrale del film, separa le due case – quella di Filippo e quella della madre di Barbara – diventando un simbolo di abisso psicologico. “L’orto non è solo uno spazio fisico – ha spiegato il regista, – ma la rappresentazione di una mente frantumata, incapace di distinguere tra reale e immaginario”.
Avati ha raccontato a lungo la sua scelta di contaminare il gotico con elementi storici reali. “Abbiamo voluto dilatare i confini del gotico – ha affermato, – portando una parte del racconto in America e l’altra nel delta del Po, una sorta di Midwest italiano”. Se gli Stati Uniti rappresentano una promessa di ordine e stabilità, l’Italia, devastata dal dopoguerra affamata, disillusa, che cercava disperatamente di ritrovare se stessa, diventa una metafora del caos interiore del protagonista.
L’utilizzo del bianco e nero riesce a ricreare la sensazione di vivere in una dimensione sospesa tra realtà e fantasia. “Ti permette di sospendere l’incredulità e di accettare che ciò che accade sullo schermo possa non avere riscontro nella realtà”, dice il regista che così ha voluto anche rendere omaggio al cinema classico americano, che ha tanto influenzato il suo lavoro.
Avati ha anche raccontato le difficoltà incontrate durante le riprese in Iowa, dove la troupe italiana è stata accolta con curiosità dagli abitanti locali. “Sembravamo degli alieni – ha scherzato il regista, – ma alla fine ci hanno adottato”. Al contrario, le riprese nel delta del Po hanno restituito un senso di desolazione perfetto per la trama, in cui acqua e nebbia diventano protagoniste tanto quanto i personaggi.
Al centro di questa storia di ossessione e solitudine si trova la straordinaria performance di Filippo Scotti, scelto fortemente da Avati che descrive il suo personaggio come un uomo incapace di liberarsi dai suoi demoni, prigioniero di un amore che esiste solo nella sua mente.
“Questo è un film di tracce – ha concluso il regista, – di ciò che lasciamo e di ciò che ci portiamo dietro, specialmente quando sentiamo soli”.