Non era necessario. Non era necessario lo sfottò a fine partita di Novak Djokovic, che dopo aver chiuso il match ha mimato il gesto del telefono, l’esultanza che in questi dieci giorni di torneo ha reso celebre il suo avversario Ben Shelton.
Una sfida dominata 6-3 6-2 7-6 rovinata da una reazione che ha sdegnato la sala stampa incollata ai televisori. Novak macina record su record, ma non riesce a farsi amare dal pubblico. E questo è il motivo.
Per il resto, l’incontro ha avuto poco da raccontare. I numeri su tutti gli aspetti del gioco parlano chiaro: Nole ha vinto l’84% dei punti con la prima di servizio (contro il 60% di Shelton), 112 punti complessivi contro gli 89 dell’americano e nessun errore gratuito in risposta. Statistiche che parlano la lingua del serbo, che su partite di questo genere ha costruito un’intera carriera.

Ben è stato, a vent’anni, il più giovane americano a raggiungere il penultimo atto a Flushing Meadows dal 1992. Trentuno anni fa, in un tabellone maschile dominato dagli Stati Uniti che in semifinale portarono tre giocatori su quattro, fu Michael Chang, anche lui ventenne, a segnare il record. Quell’anno vinse Edberg, che con il suo delicato serve and volley superò Pete Sampras quando bacheca aveva ancora un solo Slam.
Nell’intervista post partita, Novak prova a smorzare la tensione. Sorride forzato, cerca la battuta, parla del suo prossimo avversario (uno tra Alcaraz e Medvedev) dicendo che guarderà il loro match “con i piedi per aria e i popcorn in mano”.
In pochi ridono alle parole del serbo e tra questi di sicuro non c’è Sheldon, che poco prima ha visto il giocatore più vincente di sempre imitarlo davanti al pubblico di casa. Un gesto che a Ben non è piaciuto e che la freddissima stretta di mano, molto diversa dalla pacca sulla spalla con cui si sono salutati a inizio partita, ha dimostrato chiaramente.
“Non mi piace quando le persone mi dicono come posso o non posso esultare – spiega Shelton in conferenza stampa – quindi non sarò certo io a farlo, ma credo che l’imitazione alla fine sia una forma di lusinga”. Poche parole accompagnate da un sorriso ironico.
“Semplicemente mi piace molto la sua esultanza – la risposta di Nole – mi piace e ho deciso di rubargliela. Tutto qui”.
Con la vittoria di oggi Djokovic raggiunge la 37ª finale Slam, la decima agli Us Open dove già tre volte ha alzato la coppa al cielo. Per il quarto titolo troverà di fronte un giocatore che su un palcoscenico del genere lo ha già sconfitto. Alcaraz di recente, a Wimbledon: una ferita probabilmente ancora aperta nella testa di Nole.
Medvedev proprio qui, sul cemento blu del Queens, due anni fa, negandogli sul più bello il Grande Slam che tutti pensavano avesse già tra le mani.