Il Qatargate è un scandalo di inaudita gravità perché colpisce il cuore della democrazia. Scoperchia il marciume che può annidarsi anche in un’istituzione prestigiosa e rispettabile come l’Europarlamento. Ma, fra i miserabili scenari delle mazzette accumulate a rotoli, c’è anche un comico risvolto da commedia all’italiana che richiama le gag di Totò e Peppino De Filippo nell’esilarante film “I soliti ignoti”.
Purtroppo la corruzione messa in atto, in difesa di una reputazione compromessa, dal Qatar e dal Marocco (chiamato in causa paradossalmente nel momento di massima gloria calcistica per la durissima repressione nel Sahara Occidentale), macchia fortemente pure l’immagine del nostro paese. Nel gruppo dei presunti corrotti ci sono in prevalenza italiani. I giornali stranieri parlano di “Italian connection”, rispolverando vecchi e abusati cliché sul luogo comune di un’inclinazione nazionale all’imbroglio. Capace di trasformare perfino le associazioni di volontariato in calamite di fondi ad uso privato. Gli stessi organi di stampa italiani accostano lo scandalo al ricordo di Tangentopoli, il ciclone che 30 anni fa sconvolse il panorama politico, e dissertano sulla questione morale. Che ai tempi di Berlinguer era un totem della sinistra e che in epoche di modernità le tentazioni del soldo facile hanno poi relegato nel dimenticatoio.
La sensazione è che il Qatargate sia ancora alle prime battute. E se sembra appurato che al comitato di affari che faceva capo all’ex eurodeputato del Pd e di Articolo 1 Antonio Panzeri l’operazione lobbistica è fruttata un milione e mezzo di euro, è probabile che con l’ausilio dei pentiti altre sentine di corruttela verranno alla luce. E non è detto che in un’istituzione dove confluiscono 27 paesi l’avidità di danaro sia un’esclusiva quasi tutta italiana.
In tempi di criptovalute e di transazioni internazionali poco tracciabili ciò che non è ben chiaro è perché il Qatar e il Marocco abbiano deciso di elargire queste somme in contanti, con le antiche tecniche degli spalloni. Certo, soprattutto per il Qatar che vanta le seconde riserve di gas del mondo, si trattava di bruscolini. Una mancetta versata per centrare un obiettivo tutto sommato marginale.

La difficile riabilitazione dell’immagine fortemente indebolita dall’opacità con cui aveva ottenuto l’assegnazione dei mondiali e dall’insensibilità tuttora persistente in fatto di diritti umani. La stampa aveva ampiamente documentato le manovre messe in atto da Tamin Al Thani, oggi emiro e allora erede al trono qatarino, per aggiudicarsi l’organizzazione della Coppa. Rievocando nei dettagli un pranzo all’Eliseo del 23 novembre 2010 in cui il presidente Nicolas Sarkozy, alla presenza di Al Thani e di Michel Platini (presidente dell’Uefa), diede personalmente la benedizione all’operazione che fu poi avallata senza obiezioni da Sepp Blatter (presidente della Fifa). In cambio la Francia ottenne forniture di gas a condizioni favorevoli e l’acquisto da parte del Qatar di alcune forniture di Airbus.
In più si stabilì di consentire a Nasser Al Khelaifi, presidente del fondo sovrano del Qatar, di acquisire il Paris Saint Germain trasformandolo in una nuova corazzata del calcio europeo. Doha, grazie alla potenza finanziaria, si è ingraziata così anche i vertici del football, dopo i giganteschi investimenti concentrati in Europa nel settore immobiliare (in Italia, soprattutto a Milano e in Costa Smeralda), nella moda (l’acquisizione fra l’altro di parte di LVMH e di Valentino) e della comunicazione (Al Jazeera e BeIN).
Il Qatar ha l’ossessione di scalzare gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita dalla leadership nel Golfo. Essendo un paese ricchissimo ma piccolo (solo tre milioni di abitanti) cerca di farlo nel terreno più sostenibile del software. Ma, nel contempo, è molto attivo anche sul piano ideologico, in difesa di un integralismo islamico che lo spinge ad assecondare i Fratelli Musulmani in Egitto e in Libia e a conservare chiusure medievali sul fronte dell’evoluzione dei costumi. Esemplare, in questo senso, la totale avversione verso l’omosessualità.
Muovendosi incoerentemente fra modernità lussuosamente ostentata e passatismo oscurantista il Qatar fa ancora affidamento sulle enormi risorse finanziarie per smacchiare le sue pecche. Ma in maniera decisamente ingenua se si affida a personaggi di seconda fila dell’Europarlamento per tentare di rifarsi il trucco con qualche risibile applauso alla sua volontà riformista. Una manovra che non poteva mai occultare l’indignazione per il trattamento schiavistico riservato alla manodopera asiatica impiegata nella costruzione delle opere dei mondiali. Di fronte all’agghiacciante bilancio, sia pur non ufficiale, di oltre 6 mila morti non c’è riforma che possa riscattare sul piano etico una reputazione tanto scadente.
Certo, i mondiali sono quasi già andati. Negli ultimi giorni il clamore dello scandalo sarà in parte attenuato dagli echi delle emozioni sportive. Ma il Qatargate è una mina che già affossa la proclamata aspirazione del Qatar a organizzare anche un’Olimpiade.