Non sarà mai una partita banale. Non potrà mai esserlo per l’inestricabile intreccio fra sport e politica, per i condizionamenti della storia e per gli interessi petroliferi, per gli odi pregressi e lo stato di tensione internazionale provocato dalla rivoluzione del velo. Usa-Iran, un frammento di guerra fredda più che un match di pallone. Con in più, in questi mondiali in Qatar, anche lo stimolo almeno per l’Iran di un prestigioso obiettivo: la possibilità per la prima volta di qualificarsi agli ottavi. Gli Usa, che nel calcio non sono mai stati una superpotenza, i traguardi intermedi li ha già centrati. Senza contare il terzo posto conquistato – grazie soprattutto a un gruppo di calciatori inglesi emigrati – ai primi mondiali del 1930 in Uruguay (in un periodo che appartiene ormai alla preistoria), si sono conquistati gli ottavi nel 1994 (quando ospitarono i mondiali in casa) e addirittura i quarti nel 2002 in Giappone-Corea quando furono eliminati per 1-0 dalla Germania che poi perse la finale con il Brasile. A conferma del crescente interesse che ormai anche gli scettici americani nutrono per il soccer il prossimo megamondiale del 2026 (48 squadre) avrà l’epicentro (finale inclusa) proprio negli Stati Uniti, anche se estenderà i suoi tentacoli pure in Messico e in Canada.
Le due Nazionali si sono incontrate in precedenza solo una volta. Nel torneo ai gironi del mondiale in Francia (1998). Vinse l’Iran per 2-1 ma la vittoria non gli consentì di passare il turno. Il match fu preceduto da roventi polemiche. Che risalivano addirittura al 1952, l’anno del colpo di Stato che anche per i maneggi della Cia estromise dal potere a Teheran Mohammed Mossadeq che intendeva nazionalizzare le risorse petrolifere. Passando per la crisi scoppiata in seguito all’occupazione dell’ambasciata statunitense nel novembre 1979 a Teheran ad opera di un gruppo di studenti khomeinisti, Con la cattura di 52 ostaggi americani che furono liberati solo nel gennaio 1981. Una plateale violazione di ogni principio diplomatico che portò alla rottura fra i due Stati e costò la rielezione alla Casa Bianca a Jimmy Carter dopo il fallito blitz aereo che avrebbe dovuto mettere in salvo i prigionieri.
L’Iran era risentito anche per l’appoggio successivamente fornito dal Pentagono nella lunga guerra contro l’Iraq all’esercito di Saddam Hussein che agli occhi degli americani sarebbe diventato a sua volta un nemico mortale dopo l’invasione del Kuwait. Per gli ayatollah gli Stati Uniti erano il “grande Satana”. E con questo spirito i giocatori iraniani li affrontarono anche sul campo di calcio, per “vendicare i loro martiri”. Anche se prima del fischio avevano cercato di stemperare le tensioni offrendo mazzi di fiori agli avversari per i quali il match (la propaganda soffiava forte anche negli Usa) era pure diventato “la madre di tutte le partite”. Dopo la vittoria, riferirono le cronache, gli iraniani a Teheran danzarono e bevvero alcolici tutta la notte. Alle donne fu perfino consentito togliersi il velo. Chiusero gli occhi, ebbri di soddisfazione, pure i più esagitati fra i pasdaran.
Anche questa vigilia è stata preceduta da acute tensioni. Dovute alla condanna americana per la feroce repressione delle donne che impavide sfidano la teocrazia con la rivoluzione del velo. Ma anche per i micidiali droni forniti dalla Guida Suprema Ali Khamenei a Putin per i suoi devastanti attacchi aerei contro l’Ucraina. Un’avversione che si incrocia con le divisioni interne del Team Melli (soprannome della Nazionale iraniana) dove i calciatori nella prima partita si rifiutarono di cantare l’inno ma nella seconda per ordini superiori furono costretti a farlo. Alcune allarmanti indiscrezioni segnalano che i calciatori iraniani avrebbero ricevuto severe minacce di persecuzioni e torture contro i familiari se in campo non sputeranno il sangue per battere di nuovo “il grande Satana”. Solo con una prestazione super i calciatori iraniani possono ottenere indulgenza per le manifestazioni di dissenso che li avevano resi eroi agli occhi delle connazionali e sommamente irritato il regime. Con l’Iran agli ottavi la stessa crudeltà della teocrazia si mitigherebbe, annacquata dall’orgoglio nazionalistico. Come dimostrano i 700 prigionieri liberati dopo la vittoria del Team Melli sul Galles.
A gettare ulteriore benzina sul fuoco c’è intanto lo schiaffo inflitto dalla Federazione americana che, presentando la partita sui propri social, ha tolto il simbolo del regime islamico dalla bandiera dei rivali per solidarietà alle donne iraniane. Apriti cielo. Di rimando l’Iran, già irritato per alcune critiche rivolte a Teheran da Klinsmann (ex campione e membro in Qatar del gruppo dello studio tecnico) ha chiesto subito alla Fifa l’espulsione degli Usa dai mondiali. Poi gli americani hanno fatto retromarcia e il conflitto si è stemperato. Ma l’atmosfera rimane incandescente.