La bomba a sorpresa scoppia a metà mattina in Italia con il fragore di un boato. E finisce subito in prima pagina sui giornali di mezzo mondo. Il caso Sinner è chiuso: l’azzurro e la Wada hanno trovato l’accordo per una squalifica di tre mesi, partita il 9 febbraio per concludersi il 4 maggio. I quattro giorni che mancano all’appello sono stati già scontati con la sospensione dello scorso anno, quando la vicenda non era ancora diventata pubblica. Nessun doping, ammette la Wada, ma c’è comunque un coinvolgimento indiretto per gli errori commessi dallo staff. E’ una decisione politica che pone fine al calvario del campione, da mesi in attesa di conoscere il proprio destino.
Il compromesso è un male minore che però costa molto caro. Jannik guarderà alla tivù, ammesso che ne abbia voglia, cinque tornei di primo livello: da Doha dov’era appena arrivato fino al Masters 1000 di Madrid. In mezzo il Sunshine Double a Indian Wells (2-16 marzo) e Miami (19-30 marzo), seguiti da Montecarlo in programma dal 5 al 13 aprile. Quest’ultima data è già uno spartiacque: dal 13 aprile l’azzurro potrà riprendere gli allenamenti ufficiali, in vista degli Internazionali di Roma e dello Slam al Roland Garros. Tornei a cui potrà partecipare, con quale grado di preparazione fisica e mentale dopo lo stop prolungato è tutto da vedere.
La soluzione è evidentemente scritta a quattro mani. Da una parte si riconosce che Sinner e il doping non si sono mai incontrati, dall’altra viene dato atto che “le rigide regole della Wada siano una protezione importante per lo sport”. L’affare Clostebol è dunque arrivato al capolinea senza passare per il Tribunale sportivo di Losanna e le udienze fissate al 16 e 17 aprile. Accordo equo e appropriato, recita la nota dell’Agenzia mondiale antidoping. E su questo ci sarebbe da discutere all’infinito. Ma se il fuoriclasse altoatesino non è responsabile di aver assunto sostanze proibite allo scopo di barare, se la sua versione dei fatti è stata accettata, se non ha avuto alcun beneficio in termini di prestazioni – è ciò che letteralmente esprime la nota – qual è il motivo della sospensione? La risposta è: “Secondo il Codice e in base ai precedenti del Tas, un atleta è ritenuto responsabile della negligenza del proprio entourage”. Dunque si tratta di responsabilità oggettiva, Jannik paga per gli errori del preparatore atletico e del fisioterapista: il primo teneva nella borsa un farmaco da banco vietato agli atleti; il secondo ha usato quello spray cicatrizzante sul mignolo ferito da un bisturi, prima di trattare i muscoli del campione.
“Considerando l’unicità dei fatti di questo caso, è stata ritenuta appropriata una sospensione di tre mesi”, spiega la Wada che ha ritirato il ricorso al Tas. Giustizia è fatta? La logica e tanto altro dicono che la risposta è un no. Il perché Sinner abbia firmato l’accordo è palese nelle sue parole, affidate a un comunicato: “Questo caso incombeva su di me ormai da quasi un anno e il processo era ancora in corso, si sarebbe arrivati a una conclusione forse solo a fine anno”. Dunque basta così, non si può resistere un solo attimo di più sulla graticola. Sentimento espresso a chiare lettere da Angelo Binaghi, presidente dell’Italtennis: “È la prima volta che una vergognosa ingiustizia ci rende felici, perché il primo pensiero è per il ragazzo che vede finire un incubo”. E ancora: “Se non altro, questo sarà forse l’ultimo grande errore della Wada che ha già deciso di cambiare le regole. Jannik è stato costretto ad accettare un compromesso veramente ingiusto”. In sostanza, non sei un dopato ma ti condanno lo stesso. Le cose stanno così, che piaccia o meno.
Un’incongruità ben rilevata dall’Itia, L’Agenzia per l’integrità del tennis che aveva scagionato Sinner in tre gradi di giudizio precedenti affidati a un tribunale indipendente, incluso il parere dei laboratori accreditati dalla Wada. La nota diramata dice: “Eravamo soddisfatti del fatto che il giocatore avesse dimostrato l’origine della sostanza vietata e che la violazione fosse involontaria. L’esito odierno conferma questa conclusione. Nessuna colpa o negligenza e, di conseguenza, nessuna squalifica, sulla base dei fatti e dell’applicazione delle regole”. La sottolineatura finale dice tutto: “La sospensione di tre mesi è figlia solo dell’accordo tra la Wada e il giocatore”. Ovvero: Jannik ha temuto di rimanere incastrato in un meccanismo distruttivo e ha preferito transare. E’ una scelta legittima e comprensibile che però collide con la giustizia, un responso amarissimo da metabolizzare in fretta per ripartire. Aggrappandosi a una consapevolezza: “Sinner può finalmente lasciarsi alle spalle questa straziante esperienza. La Wada ha confermato i fatti accertati dal Tribunale Indipendente. Questo è chiaro, non aveva alcuna intenzione, nessuna conoscenza dei fatti e non ha ottenuto alcun vantaggio competitivo. Purtroppo gli errori commessi dai membri del suo team hanno portato a questa situazione”. Parole di Jamie Singer di Onside Law, l’avvocato del fuoriclasse altoatesino.
Sul piano sportivo, la sospensione è un danno grosso. Jannik ha appena fatto il biglietto di ritorno da Doha, dove si presentava da favorito. Salterà poi Indian Wells: l’anno scorso era stato sconfitto da Alcaraz in semifinale, ma i punti (e il montepremi) relativi al torneo erano già stati cancellati per la positività al Clostebol. A Miami invece aveva trionfato, e a Montecarlo aveva raggiunto la semifinale. Disertando Madrid perderà poco: nel 2024 si era ritirato dopo gli ottavi per il problema all’anca. In totale sono 1600 punti buttati nel cestino, che possono costargli la testa della classifica. Alla fine della squalifica avrà 9.730 punti nel ranking Atp. Per superarlo, Alexander Zverev dovrà raccogliere 2545 punti entro la fine del Masters 1000 di Madrid. Ne serviranno invece 3720 a Carlos Alcaraz per tornare numero uno. Quasi certamente Jan perderà il primato nella race che stabilisce i magnifici otto per le Finals. La caccia alla Volpe Rossa è cominciata, lui può solo stare a guardare. Il suo stato d’animo è facile da immaginare.