E chi la ferma più. Federica Brignone ricuce uno strappo lungo ventotto anni conquistando da dominatrice il titolo ai Mondiali di Saalbach nel gigante. Il suo gigante. La specialità che rappresenta l’università dello sci e che la lega indissolubilmente a una delle fuoriclasse assolute dello sport italiano: Deborah Compagnoni, vittoriosa a Sestiere nel 1997. Dopo di lei, vicino a lei, adesso c’è Federica. Certo, Deborah resta inarrivabile. Tre ori in tre diverse edizioni dei Giochi fra Albertville, Lillehammer e Nagano – nessun’altra c’è riuscita sul pianeta Terra – e altrettanti nelle rassegne iridate mettono paura. Ma fa impressione anche il palmares della signora Brignone, milanese di nascita e montanara valdostana di sci e sentimento, 35 anni il prossimo luglio, alta 168 centimetri per 57 chili di peso: molto diversa dalle gigantesse che aggrediscono la discesa con la potenza degli ultracorpi. Il suo bottino è di tre medaglie olimpiche e cinque mondiali, con l’oro di oggi a bissare quello nella combinata di Meribel 2023. Oltre alla Coppa del Mondo portata a casa nel 2020, l’unico trofeo che manca nella bacheca di Compagnoni.
Il suo successo è fragoroso. La campionessa azzurra ha messo le basi nella prima manche che è stato esercizio purissimo di stile, lasciando indietro le avversarie più pericolose. Una distanza ribadita nella seconda discesa, malgrado la pista segnata presentasse più di una trappola. Non per lei, lei è diversa. “Le sue curve sono pennellate”, dice la rivale e ora non più nemica Sofia Goggia, che fatica a riprendere il ritmo dopo lo spaventoso incidente dello scorso anno (la rivedremo con ben altra faccia a Cortina 2026). Trentesima e ultima al cancelletto di partenza con il pettorale numero quattro, Federica ha messo giù la testa mostrando alle telecamere il volto della tigre disegnato sul casco. Il suo marchio di fabbrica: che belva si sente? Lo skiman Mauro Sbardellotto, lo stesso che curava gli attrezzi di Deborah, le ha infilato qualche grano di ghiaccio nella tuta, lungo la schiena, per darle la piccola scossa che serve ad attivare la reattività. Poi giù nel canalone, sulla neve primaverile che predilige. Alla fine l’ha descritta così: “Sapevo di aver un bel vantaggio, però niente è scontato. Dalle urla della gente ho capito che dovevo rischiare ancora, mi stavo un po’ addormentando. I Mondiali sono una gara da tutto o niente. Mi sono detta: datti una mossa e spingi più che puoi. Ho fatto la seconda metà di gara in apnea ed è andata bene”.
Il successo più bello – “lo sognavo da bambina” – ha proporzioni straordinarie considerato il livello della competizione: 9 decimi sulla neozelandese Robinson, argento, 2 secondi e 62 centesimi rifilati all’americana Moltzan, bronzo. Distacchi da fantascienza per un’atleta arrivata al momento di massimo splendore tecnico, fisico e psicologico. “Mi sono sentita perfettamente a mio agio. Non dico che fossi rilassata, direi piuttosto concentrata: avevo ben chiare le cose da fare”. La maturità raggiunta è il segreto di Pulcinella che rende quasi impossibile batterla. Merito anche del gruppo che le sta attorno: i primati di Brignone sono un affare di famiglia. Figlia di Ninna Quario, primattrice della valanga rosa, e di Domenico maestro di sci, è seguita come un’ombra dal fratello Davide: coach, motivatore e amico. “Formiamo una coppia collaudata, anche da piccoli siamo sempre andati d’accordo. Lavoriamo assieme da otto anni: Federica è tosta e perfezionista”, racconta lui.
La stagione non finisce qui. C’è da ritoccare il conto delle 32 vittorie di tappa nel Circo Bianco. E soprattutto iI pensiero va alla Coppa del Mondo dove Brignone è prima in classifica: è la sola italiana ad averla vinta, raddoppiare sarebbe l’ennesimo record. E pazienza se tra le avversarie che le contendono il globo di cristallo non c’è l’americana Shiffrin, alle prese con paure e fantasmi. Gli assenti hanno sempre torno. Quanto alle altre, la Tigre vuole sbranarle tutte.