Non ce l’hanno fatta. Per il secondo anno di fila Simone Bolelli e Andrea Vavassori arrivano a un passo dal titolo senza riuscire a tagliare il traguardo in volata: il trofeo dell’Australian Open va a Harry Heliovaara e Henry Patten, un finlandese e un inglese che si sono messi insieme dodici mesi fa quasi per caso, scoprendosi squadra a cinque stelle nel trionfo inatteso a Wimbledon del luglio scorso. Ma è un peccato davvero perché i nostri, teste di serie numero tre, si presentavano come favoriti per l’eliminazione precoce dei tedeschi Krawietz-Puetz, le loro bestie nere. La delusione è grande. I Bolessori, così si fanno chiamare, erano convinti di rifarsi dopo aver perso amaramente nel 2024 due finali Slam. Speravano finalmente di aggiungersi nell’albo d’oro ad altre due formazioni italiane: Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola, che nel 1959 superarono i leggendari australiani Emerson-Fraser sul rosso del Roland Garros, e i gemelli diversi Bolelli (ancora lui) e Fabio Fognini, vincitori proprio sul cemento di Melbourne dieci anni orsono. E’ andata diversamente e la sconfitta fa male.
E’ stata una partita mostruosamente lunga, oltre tre ore e altrettanti set per un punteggio che sottolinea lo straordinario equilibrio: 6-7, 7-6, 6-3. Emozionante soprattutto nell’interminabile prima frazione, vissuta attraverso mille saliscendi, decisioni del Var, ripetuti colpi di scena. E decisa dal tiebreak più pazzo del mondo: una maratona di 25 minuti in cui gli azzurri hanno avventurosamente annullato dieci palle partita ai rivali, prima di chiudere la pratica 18 punti a 16, alla sesta opportunità utile. Quella roulette era stato il naturale epilogo di un set vissuto pericolosamente attorno al break iniziale, messo a segno dai nostri e difeso in tre occasioni con molto affanno. Dopo tanti salvataggi, il più pareva fatto. Quando però Bolelli è andato a battere sul 5-4 è accaduto qualcosa che si vede raramente o mai. Due punti di Vavassori sono stati cancellati – su richiesta di Heliovaara – dalla revisione elettronica, che ha rilevato due falli d’invasione di Vavassori: il primo con il piede che ha toccato la rete, il secondo per aver colpito la palla con la racchetta nella metà campo avversaria. La conseguenza è stata il cinque pari che rimesso la vicenda in discussione, fino al fatidico tiebreak.
Il primo set arraffato rocambolescamente pareva comunque aver aperto le porte alla vittoria di Bolleli e Vavassori, formazione collaudata che gioca a occhi chiusi: Simone, 39 anni, regista riflessivo; Andrea, trent’anni a maggio, guastatore appostato a rete con l’elmetto. L’occasione del break che avrebbe verosimilmente indirizzato l’incontro è arrivata in avvio di seconda frazione, ma il colosso mancino Patten ha scansato il pericolo. Nell’alternanza dei servizi si è giunti così all’altro tiebreak di giornata, meno drammatico del precedente e stavolta smarrito dagli azzurri per sette punti a cinque dietro un dritto lungo di Bolelli. E’ stata la svolta. Nella terzo set la formazione rivale ha preso il largo, resistendo al tentativo di rientro degli italiani – due palle per il controbreak non trasformate all’ultimo metro. Una beffa e la conferma del tabù Slam.
Chi invece è riuscita a sfatare la propria personale maledizione è stata Madison Keys, che all’undicesimo tentativo ha conquistato l’Australian Open piegando 6-3, 2-6, 7-5 la prima testa di serie Aryna Sabalenka. E’ il lieto fine di una bella favola, inseguita a lungo e diventata realtà fuori tempo massimo: l’americana, quasi trentenne, entra nel gruppetto delle campionesse Slam più anziane assieme a Flavia Pennetta (33 anni), l’inglese Ann Jones (30), Francesca Schiavone (29). Successo strameritato, visto che ha fatto fuori nell’ordine Ribakyna, Svitolina e Swiatek, tutte top ten con una classifica superiore alla sua.

Keys ha aggredito il match colpendo fortissimo al servizio, per proseguire il lavoro con il suo dritto-bomba e i rovesci ad alta precisione. Stesse armi messe in campo dalla tigre bielorussa, però con una minor capacità di fare le giuste scelte nei momenti chiave. Il primo set è così scivolato via velocemente, mentre il secondo è stato uguale e contrario: la reazione violenta di Sabalenka ha riportato la sfida in parità. Pareva a quel punto che la numero uno del mondo si avviasse al successo, anche perché Madison portava i segni delle precedenti battaglie: la coscia sinistra fasciata presagire una resa imminente. Non è stato così. La ragazza dell’Illinois ha continuato a crederci, scrollandosi di dosso le delusioni passate. E nello sprint finale non ha tremato. Il suo sorriso durante la premiazione, accompagnato dal bacio al marito e coach Fratangelo, valeva il prezzo del biglietto: “Infortuni, sconfitte dolorose, il tempo che passa. E’ stata dura conservare la fiducia intatta. Ora sono qui e sto per piangere di felicità”, le sue parole commosse.
Detto fatto. Ha pianto anche Aryna per il tris a Melbourne svanito, mentre correva negli spogliatoi. Ne è riemersa con ritrovato spirito per congratularsi con la vincitrice, atleta molto amata dalle avversarie, e una frase rivolta alla grande coppa passata di mano: “Ciao, ci rivedremo l’anno prossimo”. E’ una promessa e una minaccia.