E menomale che a Melbourne si gioca anche a tennis. Perché l’intreccio Clostebol e dintorni continua a tenere banco sui mass media, offuscando il bello dell’Australian Open. I riflettori si concentrano sui sussurri e le grida che arrivano dagli spogliatoi, e sugli interventi di ex campioni oggi autorevoli commentatori. L’ultimo è un boato, l’atto d’accusa clamoroso di Martina Navratilova. Cioè la signora, nata in Cecoslovacchia e naturalizzata statunitense in spregio ai lacci del regime comunista, che nel borsone ha infilato 59 Slam tra singolare, doppio e doppio misto. Soprattutto la paladina dei diritti e delle libertà, anticonformista e barricadera, che non ha mai avuto paura di dire quel che pensa (oltre a pensare quel che dice).
Partecipando alla trasmissione TC Live, Martina è apparsa furibonda. In difesa di Sinner e contro la Wada, l’Agenzia mondiale antidoping che il 16 e 17 aprile chiederà la condanna del Wonder Boy azzurro davanti al Tribunale dello Sport di Losanna. Senza mezzi termini, la leggenda del tennis ha attaccato come ai bei tempi sull’erba di Wimbledon. Mettendo all’angolo l’ente di controllo nella lotta alle sostanze illecite, tacciato di giocare sporco: “Non sarò diplomatica sull’argomento – ha cominciato – perché quel che sta accadendo puzza. L’intero sistema è marcio e va fatto saltare in aria: bisogna azzerarlo e ricominciare. Sono riusciti a gettare ombre sui numeri uno del mondo, ma i casi Sinner e Swiatek non hanno nulla a che fare con il doping”. Ricordiamo che la fuoriclasse polacca è stata messa sotto inchiesta, con trenta giorni di stop, per una positività ancor più bassa di quella infinitesimale riscontrata su Jannik. Si trattava di uno stimolante presente nella melatonina assunta per assorbire il jet-lag: l’indagine ha rivelato che l’integratore era stato contaminato nella lavorazione, nei laboratori della ditta che lo produce. Come può un giocatore difendersi da una simile possibilità?
Navratilova ha affondato il colpo: “La Wada è sotto osservazione per quello che ha fatto con gli atleti cinesi, anzi per quello che non ha fatto. Proviamo davvero a trovare chi imbroglia, invece di concentraci sulle creme per i massaggi o le pillola per dormire”. Il riferimento è ai 23 nuotatori cinesi trovati positivi prima dei Giochi di Tokyo 2021. L’Agenzia Antidoping chiuse in fretta l’inchiesta con un’assoluzione collettiva, dando credito alla tesi di parte che si trattasse di una contaminazione alimentare, avvenuta nel ristorante dell’hotel dove la squadra alloggiava. Tutto chiarito, dunque. Peccato che la trimidazina, stessa sostanza del caso Swiatek, non si trova nei cibi. Vale la pena aggiungere che alcuni di quegli atleti, scagionati e ripuliti, hanno partecipato all’Olimpiade di Parigi vincendo medaglie per il proprio paese.

“Ormai il concetto è che gli atleti siano colpevoli finché non dimostrano la loro innocenza, anziché il contrario. Sinner pensava che il suo caso fosse chiuso e si trova a fare i conti con un processo d’appello. Perché?”, ha concluso Martina. La sua offensiva non è una voce isolata. Fa il paio con le frasi del novembre scorso di Goran Ivanisevic, ex numero due del mondo, già coach di Djokovic: “Ho avuto a che fare con quelli della Wada quando allenavo Cilic, molti di loro vogliono distruggere le vite degli altri. Lascino in pace Sinner, il tennis ha bisogno di lui”, aveva detto. Il caso Cilic è del 2013: il croato venne sospeso nove mesi a seguito di un test antidoping, salvo vedersi ridotta la squalifica dopo una più accurata indagine. Uno scandalo dopo l’altro – vedasi l’affaire del marciatore altoatesino Schwazer, che ha assunto la forma della persecuzione – la Wada da grande accusatrice rischia di ritrovarsi sul banco degli imputati. O peggio: con le casse vuote. Perché il governo Usa, irritato dal caso dei nuotatore cinesi, nel 2024 ha congelato i 2,5 milioni di contributi all’ente, sovvenzionato in parti uguali dal Comitato Olimpico e dalle 140 nazioni che aderiscono al programma antidoping. Che succederà se altri paesi faranno lo stesso?
E poi ci sono quei giocatori che parlano, commentano, giudicano, sentenziano senza aver letto le carte processuali. Tennisti che non capiscono, o fingono di non capire, una verità: la Wada non contesta il doping a Sinner, riconoscendo plausibile la contaminazione accidentale, ma un comportamento negligente. Non avrebbe preso tutte le necessarie precauzioni. Brutta bestia l’ignoranza, specie se strumentale. Esemplari a riguardo le parole di Tony Nadal, lo zio-coach del campionissimo maiorchino: “Conosco Sinner a sufficienza, mi risulta impensabile che possa agire scorrettamente sapendo di farlo. Nel suo team c’è stato un errore già compensato dalla sanzione economica e la perdita di 400 punti”. E ancora: “Mi sorprende che proprio all’interno del circuito, alcuni colleghi siano quelli più schierati contro di lui. Atleti che conoscono il rigido controllo esercitato dalla Wada sui giocatori di primissimo livello, sottoposti a ripetute analisi. Vorrei sapere perché seminano dubbi sull’innocenza di Jannik, chiedendo una punizione sproporzionata“. La risposta è talmente facile che non vale la pena darla.
Chi invece, almeno per una volta, ha risposto è stato proprio Sinner dopo il match vinto su Jarry. Il cileno, squalificato nel 2020 per doping e successivamente scagionato, ha sottolineato una linea preferenziale a favore del numero uno, rispetto al suo caso: “Mi sarebbe piaciuto ricevere lo stesso trattamento”, si è lamentato. Quindi avrebbe preferito rimanere sulla graticola per un intero anno? Perfetta la replica della Volpe Rossa: “Onestamente non conosco i dettagli della sua vicenda. Per quanto riguarda me, posso dire che siamo stati trattati allo stesso modo. C’è un protocollo: se il protocollo ha qualche problema la colpa non è mia. Certo, mi dispiace molto per i giocatori che affrontano queste situazioni. So cos’è successo a me e cosa ho dovuto passare: la quantità di sostanza trovata era inferiore al miliardesimo di grammo e si trattava di contaminazione”. La grande speranza è che da domani si possa a tornare a parlare solo di tennis, ma non sarà facile.