Oggi aggiunge al palmares un’impresa sensazionale: il suo quattordicesimo posto, che può sembrare nulla, è un miracolo o quasi. Un secondo e 16 centesimi di ritardo dall’austriaca Huetter (prima davanti a Lara Gut), 85 centesimi da Sofia: sono distacchi minimi alla luce dei 2141 giorni di assenza dal Circo Bianco. Un’eternità, un’era geologica. Wonder Woman è qui e per paradosso il tempo gioca a suo favore: non può che fare ancora di più, visto il risultato. Altro che malinconico ritorno. Altro che scetticismo. Ex colleghi e colleghe non erano stati teneri difronte al clamoroso comeback della fuoriclasse. Per tutti Sonja Nef e Bruno Kernen: “Una caduta potrebbe essere devastante, perché Lindsey ha un ginocchio fatto di metallo. Punto e basta. Nessun chirurgo al mondo direbbe che quello che sta facendo è intelligente”. E poi: “Non credo che sia in grado di salire di nuovo sul podio”. Frasi accolte con sarcasmo dalla destinataria che ha risposto pronta sui social: “Parole molto belle, Sonja e Bruno. Non le dimenticherò”.
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Non è stato un percorso facile. Vonn si è aggregata alla squadra americana dopo allenamenti durissimi in palestra, certificati dal web, e durante l’estate in Nuova Zelanda e sul ghiacciaio di Soelden in Austria. Sveglia all’alba, coraggio e tenacia da vendere. Voleva provarci, voleva capire, voleva darsi una possibilità. L’assenza di quel dolore che la tormentava è stato il primo segnale positivo. Il successivo è arrivato dal cronometro: tempi confortanti paragonati a quelli delle compagne. “Migliora ogni volta che scende. C’è stato molto lavoro da fare per recuperare tanti anni lontano dalle gare, l’intensità è difficile da replicare in prova. Ma è motivata, lavora sodo e si sta divertendo. Gradualmente, se non si fa male, darà fastidio a molte”, aveva spiegato alla vigilia Paul Kristofic, coach del team Usa.
Il rituale è stato lo stesso della prima vita. Una ricognizione minuziosa del tracciato disegnato da Marco Viale, l’azzurro adesso tecnico delle francesi. Al cancelletto di partenza i gesti ritrovati: un ultimo controllo agli scarponi, gli occhiali, i paragomiti e le ginocchiere — in particolare quelle. Lo stress, l’ansia, un’agitazione particolare per il salto nel buio. Poi si è tuffata giù per la sua Corviglia, la pista dove ha trionfato cinque volte. In avvio ha dato la sensazione di non voler spingere a tutta. Dopo ha sciato come sapeva, come sa: quarto tempo al secondo intermedio, il quinto nella parte bassa. In linea con le prime e anche di più. Ha pagato qualcosa nel finale, ma niente di cui rammaricarsi: passato il traguardo ha aperto le braccia nell’urlo della folla, sfoderando un sorriso grande così. Le telecamere erano tutte per lei. Bravissima. Bellissima.
“Lindsey mi ha chiamata al cellulare dopo la mia discesa per avere qualche informazione sul tracciato – ha rivelato Goggia ai microfoni Rai. – Sankt Moritz è un superG sempre difficile, ci sono tante onde, dossi e punti ciechi. Lei con il 31 ha trovato una pista più segnata, è stata grande”. La bergamasca è protagonista di una storia uguale e diversa. Si è ripresentata proprio la settimana scorsa in Coppa del Mondo nella tappa americana di Beaver Creek, a dieci mesi da un gravissimo infortunio che aveva spaventato anche i medici — fratture scomposte della tibia destra e del malleolo in allenamento a Ponte di Legno. Il risultato? Una vittoria e un secondo posto tanto per gradire. In quell’occasione è stata Vonn, scesa da apripista, a ricevere subito la telefonata dell’amica che chiedeva lumi. Un dialogo da donna jet a donna jet, campionesse che hanno la stessa sana follia nella testa. E il medesimo obiettivo: i Mondiali di febbraio Saalbach. Domani intanto si replica con un superG da non perdere. Lo show ha ritrovato la regina, e adesso sono due.