E adesso? Adesso che i media stranieri, mai troppo teneri, esaltano l’Italtennis al maschile e al femminile. Da Marca all’Equipe, dalla BBC a El Mundo passando per As e La Vanguardia, il florilegio dei titoli dice tutto: Dominio incontestabile, “Sinner caps superb year as Italy retain Davis Cup title”, “Los capos del tenis”, “Le tennis a sa botte”, “Escuela Italia se ha adueñado de la raqueta”. E così via.
Jannik, Jasmine, Sara, Matteo, Lorenzo, i Bolessori, Lucia, Martina, Elisabetta — i cognomi non servono, li sappiamo a memoria. Più il resto del gruppo che a Malaga non c’era però c’è stato prima e ci sarà ancora domani. Una parte cospicua del Belpaese si è accorta che si vince se si fa squadra, se si lavora bene insieme. Concetto che dev’essere un monito per la politica e la società intera. Altro che urne deserte e fabbriche svuotate: la bilancia è andata in tilt per gli ascolti tv, l’impennata dei social, il Foro Italico e le Finals di Torino gremiti di pubblico.
Soprattutto contano le iscrizioni dei bambini alle scuole tennis, prese d’assalto negli ultimi mesi con un incremento del 29 per cento rispetto al 2019. I maestri e i dirigenti capaci, le famiglie partecipi senza essere invadenti. Il senso dell’amicizia e la cultura del lavoro. Il talento, il sacrificio, la passione. L’ambizione e la modestia. La disciplina. È questa la via da seguire. Viene da citare la vecchia frase di Bud Collins, columnist del Boston Globe: “The British may have invented tennis, but Italians have humanized it”. C’è un patrimonio da tutelare, e se possibile arricchire dopo l’estasi dell’oro e una stagione infinita di successi. Il titolo di campioni del mondo vale un premio di due milioni 678.571 dollari. Una grande responsabilità. E adesso?
Il numero uno del mondo è nostro, un fenomeno assoluto, il giocatore gentile che non perde mai. Dopo i Big Three — Federer, Nadal e l’highlander Djokovic — forse è iniziata l’era del Big One. Sinner ha chiuso il 2024 con 76 partite vinte e 6 sconfitte. Ha conquistato otto titoli, compresi due tornei Slam in Australia e a New York, le ATP Finals, i tre Master 1000 di Miami, Cincinnati e Shanghai. Eppure il suo pensiero costante è: “Con il mio staff dobbiamo lavorare su tante cose”. Berrettini ha detto ieri di lui: “Il migliore al mondo è venuto qui con grande umiltà, come se non avesse vinto nulla, come se non avesse appena stracciato gli avversari a Torino.
Prima di giocare il doppio insieme, è andato da ciascuno a chiedere se era tutto ok. L’ha chiesto innanzitutto a Bolelli e Vavassori, la coppia titolare. Se in campo fa cose incredibili, il modo con cui gestisce i rapporti è addirittura fantastico e lo rende speciale. Per questo abbiamo portato due Coppe a casa”. Lo stesso Sinner che dopo l’ultimo punto della Davis, anziché andare subito ad abbracciare i compagni, ha privilegiato la stretta di mano, uno per uno, ai componenti del team olandese. Sono le cose che restano, in continuità con gli eroi dei gesti bianchi: Tilden, Suzanne Lenglen, i quattro moschettieri di Francia, Fred Perry, Maureen Connely, Rod Laver, Martina Navratilova e gli altri immortali di un gioco meraviglioso.
E adesso? Dietro il Wonder Boy c’è un collettivo unisex. Ventisei titoli complessivi tra singoli, doppi, misti e competizioni a squadre. Dieci ragazzi nei primi cento del ranking, il bronzo olimpico di Musetti, tre trofei alzati da Berrettini, uno di Sonego e uno di Darderi. L’esplosione di Paolini salita al numero quattro in classifica, lo storico oro con Errani ai Giochi di Parigi, la Billie Jean King Cup. Il movimento cresce in salute.
E pazienza se Jannik, come potrebbe essere, snellisse il suo programma per il 2025 rinunciando alla chiamata in azzurro: ha dato tanto e certe scelte diventano obbligate nel tennis tritatutto fatto di infortuni continui, aerei da prendere, fusi orari, palle sempre diverse, cemento, erba, terra rossa. Torneranno fuori i soliti odioti da tastiera. Gli rinfacceranno il contratto Nike da 15 milioni di dollari l’anno per i prossimi dieci anni, la borsa Gucci, i caroselli con Lavazza, Fastweb, Intesa, De Cecco, Pigna eccetera eccetera come se guadagnare con il proprio lavoro fosse un reato. Lo accuseranno di essere austriaco, di non conoscere l’inno di Mameli, di risiedere a Montecarlo per non pagare le tasse. Diranno che non parla neanche bene l’italiano (ma si vede che si fa capire bene quando vuole). Meglio lasciar perdere, non c’è niente da fare con quelli.
E adesso? Resiste un’ombra dietro il cuore. È il ricorso della WADA, l’ente mondiale antidoping, pendente al Tribunale dello Sport di Losanna contro Sinner. Una pratica che non doveva essere neppure aperta, archiviata dall’ITIA (International Tennis Integrity Agency) con il riconoscimento di una contaminazione involontaria e trasversale. E di una positività ininfluente e infinitesimale — pari alla punta di un cucchiaino di zucchero sciolto in una piscina da 50 metri. Eppure l’accusa viene portata avanti pervicacemente da un’organizzazione molto controversa, da cui però dipendono i destini degli atleti. Jannik è sulla graticola da mesi aspettando il giorno del giudizio definitivo.
“Ovviamente un po’ ci penso sempre. Abbiamo avuto già tre udienze, tutte sono andate bene, ho fiducia che sia così anche per la prossima. È importante avere vicino persone che sanno come sono io. Questo mi ha permesso di continuare a giocare bene”, ha spiegato durante la festa Davis. Aggiungendo: “Ho avuto alti e bassi sul piano umano, la notte non riuscivo a dormire. Da fuori è difficile capire cosa c’è nella testa di un giocatore. La vita ti mette di fronte a difficoltà e devi saper resistere”.
Il mondo del tennis aveva reagito all’inchiesta con voci discordi, all’inizio, poi via via ha preso atto della verità. È stato esplicito Goran Ivanisevic, il mancino di Spalato ex coach di Djokovic, numero due del mondo e vincitore di Wimbledon nel 2001. Uno che sa vita e miracoli dei giocatori: “Spero sinceramente che lo lascino in pace e che lo lascino giocare, il tennis ha bisogno di Sinner. Ho avuto a che fare con la WADA e tipi del genere: un sacco di gente che non mi piaceva, che voleva solo distruggere la vita di qualcuno”. Una squalifica di Jannik sarebbe sfregiare la Gioconda e i capolavori non tollerano offese. Né adesso né mai.