Vero o falso? È il gioco che facevamo da bambini: stavolta tutti sappiamo già la risposta, senza ammetterlo. Arriverà con tutta evidenza nella notte italiana fra venerdì e sabato dalle immagini di Netflix: inizio del collegamento alle 2, le 20 negli Stati Uniti. Da una parte il ritorno sul ring della leggenda Mike Tyson, 58 anni, ultimo match disputato nel 2005; dall’altra lo youtuber con milioni di follower Jake Paul, 27 anni. È stato lui a mettere in piedi il baraccone spregiudicato dei mass media, che tale è, inutile girarci attorno. Beato il popolo che non ha bisogno di eroi. La boxe orfana dei personaggi-calamita deve accendere i riflettori su un evento che spacca, anche il più improbabile come questo.
Ecco quindi la distorsione di uno sport, che è molto più di uno sport, privato dell’anima e trasformato in fiction o serie tv — vedi il docufilm in tre episodi costruito per lanciare l’incontro. I numeri, veri o falsi anch’essi, raccontano dell’AT&T Stadium di Arlington sold out. La casa texana dei Dallas Cowboys di football contiene 80 mila spettatori e i biglietti costano una cifra: si va dai 150 dollari sulle gradinate del terzo cerchio ai 57 mila dollari per i posti nelle prime file, fino alle suite a prezzi spaziali per i Vip a bordo ring. Sono previsti 25 milioni di telespettatori fra gli abbonati Netflix, la piattaforma che trasmette la sfida in esclusiva. Il motto è: più costa, più sarà straordinario assistere. Le borse sono da capogiro. Quaranta milioni di dollari finiranno nelle tasche di Paul, obiettivamente un genio. Più o meno la metà guadagnerà Tyson: motivo più che sufficiente perché un vecchio uomo, star di un’epoca che non esiste più, si giochi la vita sotto il tendone di un circo mondiale virtuale. Eppure c’è chi ci crede o vuole crederci. Il nostalgico atto di fede degli scommettitori si traduce in un dato: Tyson raccoglie il 66 per cento delle puntate contro il 24,9 dell’avversario e il 9,1 del pareggio. All’opposto gli allibratori e di solito il banco vince sempre: per loro, lo youtuber è strafavorito con quote addirittura doppie rispetto a quello che fu L’Uomo più cattivo del pianeta.
Paul, bianco, record di 9 vittorie e una sconfitta, mai andato ko, è cresciuto di 14 chili per affrontare Tyson, nero, 50 vittorie (44 per ko) e sei sconfitte. La commissione pugilistica del Texas ha approvato il match con tre modifiche regolamentari al fine di ammorbidire lo scontro anomalo. Guanti più pesanti da 14 once invece 10 per attenuare l’effetto dei colpi. Round da due minuti invece che tre per renderle meno dure fisicamente. Otto riprese anziché 10 o 12 per lo stesso motivo. Ammesso che la sfida, giudicata pericolosa e irresponsabile dai tecnici, alla fine si faccia davvero. Pesa infatti l’ombra dei due esami medici che l’ex campione dei pesi massimi deve ancora superare per salire sul quadrato, un test cerebrale (EEG) e uno cardiaco (ECG). E va ricordato che un rinvio c’era stato già l’estate scorsa, per le cattive condizioni di salute di quello che veniva definito Kid Dynamite: allora la vecchia ulcera riprese a sanguinare, costringendolo a gettare la spugna.
Non aiutano a dissipare i moltissimi dubbi le immagini video degli allenamenti, che sarebbero state falsificate da giocolieri del deepfake. Velocità dei piedi, agilità nelle braccia, riflessi, tempi di reazione, pesantezza dei colpi: l’ennesima montatura? Chissà, se ne dicono tante. Fa discutere anche la dieta seguita da Tyson. Addio allo stile vegano, niente più tofu per nutrirsi quasi esclusivamente di carne cruda che offre un maggior apporto calorico: “Mi sono abituato perché ne mangerò a morsi sul ring e spero che Paul sia saporito”, ha ripetuto lo spaccone nella vigilia, mostrando il petto nudo alle telecamere come ai bei tempi. Quanto a Jake Paul, barba da hipster e primatista di vita sregolata, rappresenta una incognita quanto il rivale. Nato a Cleveland ma cresciuto in Ohio, è uno streamer discusso ancorché popolarissimo: il suo canale veleggia verso gli otto miliardi di visualizzazioni. Ha cominciato facendo l’attore ed è stato licenziato da Disney Channel per comportamenti inappropriati prima di passare alla boxe. Sul ring ha affrontato nemici particolari: un collega youtuber, un giocatore professionista di basket e due fighter di arti marziali. Insomma, nel mondo di ieri starebbe stato catalogato come un povero balordo da ignorare, oggi invece è un influente (e ricco) protagonista del trash.
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Non che Michael Gerard Tyson sia il ritratto del perfetto gentiluomo. Certo ha l’attenuante di essere nato e cresciuto a Brownsville, quartiere di Brooklyn che non augurereste al peggior nemico. La sua adolescenza è stata una catena di orrori: molestato sessualmente da un vicino a sette anni, padre assente, madre insegnante perduta nel bicchiere, le risse di strada, i furti, una baby gang, l’arresto, le rapine con la pistola, la prigione e tutto quel che è facile immaginare. A tirarlo fuori dal ghetto e da dietro le sbarre ha provveduto il pugilato, attraverso il maestro Cus D’Amato, l’angelo custode che gli ha insegnato abnegazione, disciplina, volontà, integrità, indipendenza, carattere. Le regole. Almeno sul ring le istruzioni per l’uso hanno funzionato: viene considerato uno dei migliori pugili di tutti tempi, il più giovane campione del mondo dei pesi massimi a 20 anni, 4 mesi e 22 giorni, detentore del titolo dal 1986 al 1990 con un bis nel ’96. Malgrado i 175 centimetri di statura, piccolo in una categoria di colossi, è stato un formidabile picchiatore capace di affascinare il pubblico con la sua forza primordiale. Ma ingovernabile nella vita al di là della palestra e delle arene. Iron Mike è inesorabilmente affondato tra donne, alcol, cocaina, la bancarotta, il carcere per stupro. È caduto al tappeto. Ha perso quasi tutto. Forse però gli resta l’orgoglio di dimostrare che è ancora il suo tempo. Forse è incapace di sentirsi finito. Forse ha soltanto bisogno di denaro. Forse sa di interpretare una farsa ma anche questa è vita. Ha intitolato True il racconto di sé stesso, l’autobiografia del dolore. Vero o falso? Non è un gioco da bambini.