“Titì non ce lassà, Titì nun ce lassà”, grida dalla riva la tribù. È l’invocazione allo stregone Nino Manfredi perché resti nel villaggio che l’ha adottato, mentre l’editore Alberto Sordi e il ragioniere Bernard Blier sono arrivati in quel paese lontano per riportarlo a casa. Riportarlo a Roma. Titino li segue riottoso, la barca salpa, l’urlo si alza, lui cambia idea all’improvviso per buttarsi in acqua e tornare dai suoi selvaggi: meglio un destino fatto di espedienti, ma autentico, piuttosto che una vita altrove ricca e vuota come il deserto.
In fondo era già tutto scritto nella trama di Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, commedia all’italiana di Ettore Scola datata 1968. Sostituite Trastevere all’Angola, sovrapponete gli ultras della curva Sud ai barbari con lance e tatuaggi, togliete il nome Titino e correggete il coro in “Paolì non ce lassà, Paolì non ce lassà“. Il gioco è fatto.
Proprio come Manfredi nel film, quando l’addio sembrava irreparabile Paulo Dybala ha rovesciato il tavolo. Cinque parole scritte in un post Instagram alle ore 20.26 di ieri sera hanno acceso il cuore degli aficionados: “Grazie Roma, ci vediamo domenica” a commento di un video montaggio in cui segna gol in giallorosso. Il significato è bello e immediato come un lampo: niente Arabia Saudita, resto qui con voi a miracol mostrare. Parola di campione. E la festa è deflagrata.
Si può raccontare anche così il colpo di scena semiserio che ha illuminato la notte romana. Il protagonista si chiama Paulo Bruno Exequiel Dybala, argentino di Laguna Larga, trentun anni a novembre, in Italia da dodici, 177 centimetri per 70 chili, di professione calciatore. Non un giocatore qualsiasi: un campione dalla classe cristallina, con la faccia e il fisico da bravo bambino, capace di prodezze uniche grazie al sinistro fatato. Centrocampista, mezzala, mezzapunta, falso nove, rifinitore, goleador: fate voi. Chiamato non a caso La Joya, cioè il gioiello. Le tappe nel Belpaese l’hanno portato da Palermo, in serie B, a Torino sponda Juve, per approdare finalmente a Roma nel fatidico 20 luglio 2022. Ad accogliere il nono re – l’ottavo è stato e resterà per sempre Francesco Totti – erano accorsi in diecimila all’Eur: un’epifania torrida, più che una presentazione. Del resto le credenziali del prestipedatore dicono tutto. In Sicilia u Picciriddu ha conquistato la promozione nella massima serie, con la maglia bianconera ha vinto cinque scudetti più una Coppa Italia e tre Supercoppe, in giallorosso ha sfiorato il trionfo nell’Europa League: malgrado il suo gol iniziale, un arbitro odioso e i calci di rigore hanno condannato in finale la Roma di Mourinho.
Amatissimo dai tifosi, ricambiati dal medesimo affetto, Paolino aveva però deciso di cambiare aria definitivamente. Non che non si sentisse più a casa tra il Foro e il Colosseo, tutt’altro. Però il canto delle sirene (tradotto: una montagna di soldi) arrivato dal Golfo Persico l’aveva convinto al trasloco senza che nessuno biasimasse la scelta. C’è una certa differenza tra l’ingaggio con la Roma da 4,2 milioni milioni di euro più bonus, moltiplicati per tre anni, e i 75 milioni offerti dal club saudita. Inutile negarlo per appellarsi alle bandiere. “Non te ne andare”, l’avevano comunque assediato, senza troppe speranze, i tifosi all’uscita dal centro di allenamento di Trigoria. Facciamoci un selfie assieme, regalami un autografo, voglio darti un bacio. Sventolano magliette che odorano di reliquia, lui sorride sotto il cappellino abbassando il cristallo della macchina. Anche i compagni di squadra avevano provato a trattenerlo, pur sapendo che sarebbe stato impossibile. Così pure l’allenatore Daniele De Rossi, il Capitan Futuro che dirige la Magica (è il soprannome della squadra) e aveva affidato l’orchestra al suo numero 21. Doveva essere l’ultimo giorno in giallorosso della Joya, poi la virata clamorosa: all’atto delle firme Dybala ha rifiutato la principesca offerta araba e il passaggio all’Al-Qadsiah è saltato. Clamorosamente. Definitivamente.
Imprevedibile come i dribbling che mostra in campo, il fuoriclasse ha disorientato pubblico, dirigenti, procuratori, intermediari, faccendieri e giornalisti. E’ stato un finale impensabile, una rete al novantesimo. Il premio alla fede dei seguaci: supporter anonimi che spasimano ogni domenica allo stadio e vip come Lorella Cuccarini, Blanco, Ultimo, Alessandro Gassmann, i compagni di squadra, gli ex giallorossi, gli altri sportivi con lo spirito della Lupa addosso. Rosella Sensi, ex presidentessa e figlia di indimenticato presidente, ha riassunto sui social un pensiero collettivo: “Questo è il potere di una città come Roma. È la magia di questa squadra, di questi tifosi, di questo popolo. Dybala ha detto no a un contratto faraonico. Lo ha fatto dopo aver sentito il calore e l’amore che la tifoseria sa regalare alle persone che valgono! Bravo Paulo, da oggi sei nella storia“.
Dunque ha vinto la passione, ma è andata proprio così? Fuor di retorica la risposta è per tre quarti sì, per un quarto no. Magnifico illusionista sul campo, inventore fantasioso e sensibile, nella sua carriera l’argentino è stato condizionato dai muscoli di seta. È un amico fragile perseguitato dagli infortuni. Nell’avventura giallorossa è stato fermo per 170 giorni, saltando 36 partite. Più le gare in cui è entrato dalla panchina. Nonostante i tanti stop è stato però quello che ha segnato di più: 34 reti in 78 presenze spalmati fra serie A, Europa League e Coppa Italia. Numeri a cui vanno aggiunti gli assist e l’infallibilità dal dischetto.
Al tavolo delle trattative le opposte verità hanno fatto a pugni per definire una valutazione equa del cartellino. La Roma si è irrigidita davanti alla contropartita araba di 3 milioni di euro per un simile gioiello e l’affare che sembrava fatto è tornato di colpo in discussione. A quel punto l’ultima parola spettava a Dybala. Non è troppo difficile immaginarne il ragionamento: prendo una cifra colossale però vado a giocare a Khobar, nella remota provincia orientale saudita, in uno stadio da 12mila posti dimenticato da Dio, da Allah e dagli uomini. Il raffronto con l’Olimpico dev’essere stato impietoso. Per non dire degli ortopedici di Villa Stuart, che hanno rimesso in piedi il campione dopo ogni lesione.
Poi c’è il capitolo Oriana (Sabatini), sposata appena un mese fa: una donna di spettacolo per cui lo shopping in via Condotti e un tè da Babingtons a Trinità dei Monti non hanno prezzo (e dalle torto). Questi elementi hanno rafforzato il senso d’appartenenza del giocatore alla città: “Non posso tradire i tifosi”, ha spiegato agli amici intimi. Quegli stessi tifosi l’hanno ringraziato acclamandolo sotto il muro di cinta della villa dove abita: un tributo d’onore che spetta solo ai grandi. Dybala resterà per i romanisti il calciatore del gran rifiuto, come Riva e Pelè ai loro tempi, perché c’è chi dice no. Dal canto suo la società, allo scoccare della tredicesima partita stagionale, ritoccherà all’insù la retribuzione del campione, allungando il contratto fino al 2026. E insomma: daje Paulo.