“Non so se sia stata la mia ultima gara, è possibile. Mi fermerò per qualche mese, poi prenderò una decisione definitiva“.
L’autunno del campionissimo appare improvvisamente all’orizzonte di Parigi, in una mattinata con poco sole, afosa e carica di umidità. Gregorio Paltrinieri ha chiuso da pochi minuti la gara nella Senna, quei dieci chilometri in acque libere che sono stati la sua vita parallela oltre la piscina. È arrivato nono, con le grandi speranze affondate sul fondale melmoso del fiume. Si presenta davanti ai microfoni con il solito sorriso gentile, da ragazzone cortese e intelligente qual è, ma la tristezza è palpabile, assieme alla stanchezza di un’Olimpiade incartata nello stress. Argento sui 1500 metri e bronzo negli 800 in vasca, il fuoriclasse emiliano avrebbe voluto mettere il tocco dorato sull’ultimo atto nel Paese delle meraviglie, come gli piace definire i Giochi. Non c’è riuscito ed è stato un colpo imprevisto.
È stato in lotta in un gruppetto ristretto con il compagno Mimmo Acerenza fino al quinto dei sei giri, percorsi dal Ponte Alessandro III a quello dell’Alma. “La finale in acque libere è fatta di otto chilometri di noia e gli ultimi due che somigliano a un film d’azione”, sintetizza il tedesco Wellbrock che si è presentato alla partenza forte del titolo conquistato a Tokyo. È finito subito nelle retrovie, accompagnato da altri nomi illustri. I nostri hanno tenuto, incollati ai talloni dei battistrada, ma quando l’ungherese Rasovszky ha piazzato il rush per la vittoria portandosi dietro il tedesco Klemet, Paltrinieri si è irrimediabilmente staccato. Ha resistito invece il prode Acerenza, che si è battuto allo stremo per il bronzo fin sotto il sensore: l’altro magiaro Betlehem l’ha bruciato sul traguardo all’ultima bracciata. Dicono che la Senna non abbia sapore, ma per l’Italia il gusto è amarissimo.
Gregorio aveva provato a ricucire lo strappo e si è trovato subito senza energie. “Mi sono sentito del tutto perso — ha spiegato — incapace di trovare il mio ritmo. Per paradosso, la fatica maggiore l’ho fatta nuotando a favore di corrente, attaccato a un filo che a un certo punto s’è spezzato”. Le prove a discarico sono tangibili. Gli azzurri non hanno mai fatto le prove generali nella Senna, intossicata dalle analisi chimiche e dalle polemiche: hanno preferito prepararsi in vasca, senza conoscere nulla del campo di gara. Una scelta costosa, per quanto difficilmente contestabile. Insomma, è stato come buttarsi a occhi chiusi, facendo il segno della croce. E lo sforzo in piscina di Paltrinieri sulle lunghe distanze, fra carichi e scarichi continui, non ha giovato nella gran fondo sempre più frequentata da nuotatori altamente specializzati. Lui però questo lo sapeva bene, e con coraggio ha accettato la sfida.
Il peso dell’acqua è il titolo del libro in cui racconta il suo viaggio, la nascita di una passione trasmessa dal padre. Le fatiche, le rinunce. “La sfida è il motore di tutto”, è la frase che oggi lo invita a riflettere sul futuro prossimo. Trent’anni da compiere il 5 settembre, cinque medaglie in tre edizioni delle Olimpiadi, sei ori mondiali, dodici titoli europei e trentadue tricolori: difficile chiedere di più a sé stesso. È arrivato il momento di fare altro? Anche se il nuoto senza di lui è un pensiero contro natura, forse les jeux sont faits.