Il leone d’estate ha ancora fame. Il leone d’estate si chiama Novak Djokovic e ha vinto sul campo centrale del Roland Garros l’unico trofeo che gli mancava: l’oro di Olimpia. L’ha fatto alla sua maniera, da cannibale del tennis un po’ invecchiato eppure mai rassegnato ad abdicare. Se n’è accorto Carlos Alcaraz, il ragazzino spagnolo dal talento smisurato che si candida a suo erede: l’aveva battuto nelle ultime due finali, Parigi e Wimbledon, ma stavolta ha pagato il conto. Arrendendosi alla straordinaria motivazione di un fuoriclasse capace di superare ogni limite.
Un atleta che ha messo in cassaforte 23 tornei dello Slam, sempre a caccia però di un altro traguardo. La medaglia più luccicante dei Giochi rappresenta un tesoro inseguito da tempo, e il tempo s’è fermato davanti all’uomo che porta nel cuore un amor di patria non inferiore a quello per la sua famiglia: non è un caso se la moglie Jelena, il figlioletto Stefan e la piccola Tara erano lì sugli spalti del Philippe Chatrier a sventolare le bandierine della Serbia, a incitarlo a ogni punto nel nome del nazionalismo, a invocarne l’ennesima resurrezione dal dolore e dalla fatica del match terribile durato quasi tre ore. Sono stati due set giocati alla morte sulla terra rossa più importante del mondo, conclusi con altrettanti tiebreak: Nole ha saputo afferrarli con l’autorevolezza di chi sa esattamente chi è, da dove è venuto e quanta strada gli resta da percorrere.
Che partita è stata? “Una battaglia di intensità mostruosa, io ci ho messo l’anima attaccandomi al pensiero della mia famiglia e della Serbia, che sono le mie ispirazioni”, ha detto Nole un attimo dopo la fine di una ossessione personale. Poi ha spiegato: “Questa è stata la mia quinta olimpiade, nelle precedenti mi ero sempre fermato in semifinale. Ci ho pensato venerdì durante la sfida con Musetti e ho detto a me stesso che stavolta doveva andare diversamente. Sapevo che contro Carlos sarebbe stata dura, durissima. Soltanto quando ho chiuso l’ultimo punto ho realizzato: oggi vinco io”.
Così ha compiuto l’impresa riuscita soltanto ad Andrè Agassi, Steffi Graf, Rafa Nadal e Serena Williams. Ma il suo Golden Slam Career pesa molto molto di più, almeno dal punto di vista dei numeri. Nole è la medaglia d’oro più anziana nel tennis. Ciò che continua a stupire — oltre alla classe sopraffina, all’abilità tattica senza pari, alla superiorità mentale sugli avversari — è la forza di volontà dell’highlander capace di battere un rivale di sedici anni più giovane, nella calura più opprimente. “Ha meritato la vittoria”, ha ammesso Alcaraz che si è confermato campione anche di fair play: nella stretta finale dell’incontro ha restituito una prima palla di servizio al Djoker, sovvertendo il giudizio a suo favore del giudice di sedia.
Victory belongs to the most tenacious, recita la scritta scolpita sulla tribuna dello stadio francese. E così è stato, premiando il migliore. Il torneo parigino lascia alcune certezze post Giochi sulla distribuzione degli incarichi: il magnifico rettore dell’università della racchetta rimane Novak, in attesa che lo spagnolo si prenda definitivamente la cattedra, la toga e il tocco. Anche se dovrà prima fare a braccio di ferro con il grande assente (per malattia): Jannik Sinner, che non è un abusivo né un professorino raccomandato, ma semplicemente il numero uno del mondo.
A distanza segue la classe degli assistenti dove studiano Zverev, Medvedev, Tsitsipas, Rublev, Ruud, Rune, Auger-Aliassime e adesso anche Musetti, fresco dall’aver superato l’esame di laurea con il bronzo olimpico. Attenzione però, questa classifica ideale vale solo per oggi. A fine agosto gli Us Open potrebbero ribaltare le gerarchie: è il tennis, bellezza.