Sul trono dell’Europa calcistica è risalita dopo dodici anni con pienissimo merito la Spagna dei record. Quattro titoli continentali (la Germania è ferma a tre). Tutte le quattro finali vinte fra mondiali ed europee. Tutte e sette le partite vinte nella Coppa europea. Miglior giocatore del torneo: Rodrigo. Miglior giovane: il fenomeno Yamal (diciassette anni appena compiuti). Il capocannoniere: Dani Olmo, con tre reti e svariati assists. Ma, soprattutto, un gioco spettacolare, fantasioso e aggressivo: il calcio più emozionante espresso in questa competizione che raramente è riuscita a sollevarsi da una mediocrità interrotta solo da qualche sprazzo episodico e in cui perfino superstars come Mbappé e Cristiano Ronaldo hanno galleggiato senza infamia e senza lode.
Di contro, ancora bruciata sul traguardo, l’Inghilterra: la madre del calcio moderno che si rifiuta di tornare a casa dopo l’unico successo nel mondiale in casa del ’66. Penalizzata dai primati negativi. Prima squadra a perdere due finali europee di fila. Primo allenatore (Southgate, pagato quasi 6 milioni di euro l’anno) a fallire in entrambe le occasioni l’obiettivo: una maledizione che in panchina più che di un tecnico richiederebbe la presenza di un esorcista. Il capitano e cannoniere Kane che in una gloriosissima carriera costruita a suon di gol non è mai riuscito ad aggiudicarsi un trofeo (nemmeno nelle squadre di club).

La Spagna, dopo un primo tempo di attesa, ha stretto all’angolo un’Inghilterra guardinga e quasi mai vivace con un gol capolavoro del folletto Nico Williams, ispirato da Yamal a cui non è secondo in fatto di estro e fantasia. Ma poi ha avuto il torto di mancare il colpo da ko. Sprecando troppo. Tenendo in vita un avversario inferiore sul Iato tecnico, monotono negli schemi, imprevedibile solo nei guizzi individuali dei suoi fuoriclasse. Ma dotato di un grande temperamento che dopo un girone eliminatorio francamente deludente gli aveva consentito di rimontare per tre volte di fila nelle gare ad eliminazione diretta. Ancora una volta, grazie come contro la Svizzera a un cambio azzeccato, l’Inghilterra ha saputo risalire la corrente con il gol di Palmer.
E per qualche minuto, approfittando di un calo di tensione degli spagnoli dovuto a disorientamento, ha dato l’impressione di riuscire a capovolgere per la quarta volta il risultato. Ma a quel punto è emerso il carattere della Spagna, che sa esprimere il suo football spumeggiante come contro la Germania anche in ambienti ostili (il pubblico di Berlino era prevalentemente in favore dell’Inghilterra). Ha ripreso a macinare il suo gioco sempre divertente e a tratti irresistibile e a conquistare il titolo con il gol, anche queste spettacolare, di Oyarzabal.
La Spagna è l’unica squadra in questo europeo che ha manifestato in ogni partita una indiscutibile superiorità. Frutto di un gioco che nasce come ai tempi del tiki-taka barcellonese di Guardiola dalla straordinaria maestria nel palleggio ma lascia più ampi margini alle verticalizzazioni improvvise e alle iniziative individuali. E’ una squadra che gioca sul velluto, in totale spensieratezza, grazie anche al clima di distensione introdotto dal tecnico federale De La Fuente (guadagna poco più di un milione di euro l’anno). Che alla stregua del nostro Bearzot negli anni Settanta non ha mai guidato club di grido ma ha maturato le sue esperienze nei trofei internazionali giovanili conquistando titoli con le Nazionali juniores. Un tecnico paterno e saggio che ha il vantaggio di conoscere alla perfezione i pregi e i difetti dei giovani talenti che lui stesso ha lanciato.
Campioni ormai conclamati che hanno dominato nella sfida con i rivali di ruolo inglesi dalle credenziali altrettanto prestigiose. Rodrigo, che per gli intrecci di mercato gioca nel campionato inglese, è risultato molto più efficace del fenomeno Bellingham, che invece milita in quello spagnolo. Yamal e Nico Williams hanno reso il doppio rispetto a Saka e Foden. E capitan Morata, uomo squadra anche negli arretramenti difensivi, è stato molto più utile alla causa di capitan Kane dalle polveri bagnate per carenza di rifornimenti.

La Spagna, anche in forza dei suoi anni verdi, si candida fin d’ora fra le favorite dei mondiali Usa del 2026. E’ un modello anche per l’Italia, la grande delusione del torneo che non ha saputo onorare il titolo europeo conquistato solo tre anni fa a Londra. E’ vero che rispetto a tempi gloriosi non abbiamo più fenomeni e che l’eccessiva presenza di stranieri nel nostro campionato ostacola la maturazione di tanti giovani e limita il bacino di selezione. Ma per uscire dall’impasse sarebbe il caso di imboccare nuove strade. Gioverebbe probabilmente lavorare più sui vivai, puntare più sulla tecnica che sulla tattica, osare di più spingendo senza indugi alla ribalta i talenti promettenti (quando è iniziato il torneo europeo Yamal aveva ancora 16 anni).
Dopo l’indecorosa eliminazione è finito sulla graticola anche Spalletti, il tecnico che solo un anno prima con il Napoli aveva realizzato un mezzo miracolo. I critici gli imputano una mancanza di duttilità dovuta al fatto che per esprimere il meglio del suo calcio concettuale dovrebbe avere a disposizione i giocatori ogni giorno e non tre-quattro settimane all’anno. Sarebbe insomma più un allenatore che un selezionatore. Ma essendo un tecnico intelligente e navigato ha ancora due anni di tempo per imparare bene la lezione.