C’erano una volta i Los Angeles Lakers. Una franchigia in grado di scrivere alcune delle pagine più belle della storia del gioco. Una società capace di costruire alcune delle dinastie più iconiche della NBA, con le quali ha conquistato ben 17 titoli. Tuttavia, negli ultimi 15 anni, qualcosa, ad L.A, deve essere cambiato. Sì, perché se si esclude il campionato vinto nel 2020, quello della Bolla di Orlando, dal post Kobe i gialloviola sono finiti in un vortice di mediocrità dal quale non sembrano più riuscire a tirarsi fuori.
La “colpa” di tutto ciò può essere attribuita principalmente a colpi di mercato totalmente sbagliati, allenatori con poca personalità e, soprattutto, scelte al draft che valicano i confini della logica. L’ultima, in ordine di tempo, è arrivata ieri sera.
Già, perché al secondo giro, con la 55° chiamata, i Lakers hanno selezionato Bronny James, classe 2004, guardia tiratrice di 1,87 m, ex University of South California. E, soprattutto, figlio di Lebron James. Il numero 23 non ha certo bisogno di presentazioni: alla sua ventiduesima stagione nella lega, dopo aver vinto quattro titoli ed essere diventato il miglior marcatore di sempre, il Prescelto è riuscito a coronare il proprio sogno: giocare, almeno un anno, con il proprio primogenito. I James saranno il primo due padre-figlio della storia della NBA a condividere lo stesso spogliatoio.

Una storia quantomeno interessante, se non fosse che più di un tifoso gialloviola, nelle ultime ore, si sia chiesto quale apporto potrà dare Bronny alla causa gialloviola. D’altronde, nella sua brevissima parentesi al college, James Jr. non ha fatto intravedere praticamente nulla di particolare sul parquet. Nelle sole 25 partite giocare con la maglia di USC, complice anche un problema cardiaco, il diciannovenne ha registrato una media di 4,8 punti, 2,8 rimbalzi e 2,1 assist, raggiungendo la doppia cifra in 3 occasioni, con un season high da 15 punti.
Prima del college, James ha frequentato la Sierra Canyon School di Los Angeles, dove ha giocato quattro stagioni per i Trailblazers. Bronny venne nominato McDonald’s All-American dopo la sua stagione da senior, chiusa con una media di 13,8 punti, 5,5 rimbalzi, 2,7 assist e 1,8 rubate. Ora, premesso che trattandosi di un rookie al secondo giro del draft, l’operazione, da un punto di vista economico, non costerà quasi nulla a Los Angeles, restano mille interrogativi sull’apporto tecnico che il ragazzo riuscirà a mostrare sul parquet.
Quello che tutti si stanno chiedendo adesso è: “Se non fosse stato il figlio di Lebron, sarebbe mai stato chiamato dai Lakers?”. Probabilmente no. Perché i numeri parlano chiaro, e le cifre messe su da Bronny al college non sono certo da NBA. Per molti addetti ai lavori si tratta di una pura scelta di marketing, per altri, invece, semplicemente di un modo per esaudire il desiderio di Lebron, che negli ultimi 3 anni ha sempre ribadito la volontà di giocare con il figlio, anche a costo di dover cambiare squadra e città. Non è stato necessario.

Subito dopo l’annuncio, il Re ha postato alcune foto insieme al primogenito su Instagram, con tanto di didascalia: “LEGACY”. “”Bronny è innanzitutto una persona di grande carattere, un ragazzo che lavora duramente”, ha invece affermato Rob Pelinka, GM dei Lakers, “Queste sono le qualità che cerchiamo nei giocatori che selezioniamo”.