La Spagna ha impartito agli azzurri un’autentica lezione di calcio. Che per paradosso ha rischiato di risultare sterile se in soccorso delle furie rosse, arginate con interventi prodigiosi da Donnarumma, non fosse sopraggiunta la casualità di un misero autogol. Toppo superiori gli spagnoli, che hanno avuto almeno sei nitide occasioni da rete. Ma anche troppo spreconi. Troppo mediocri gli azzurri, che di occasioni vere non se ne sono costruite neanche una. Al punto che il portiere iberico non ha quasi dovuto sporcarsi i guanti.
Straripante il dominio spagnolo almeno per tre quarti della partita. Basato su un’aggressività costante. Su ritmi velocissimi. Sulla raffinatezza del palleggio. Sul pressing alto che metteva in affanno i nostri difensori. Sul talento creativo di Fabian Ruiz e Pedri. Sulle devastanti qualità tecniche dei due baby prodigio Yamal e soprattutto Nico Williams, dai cui piedi funambolici sono partite le azioni più pericolose e il potentissimo tiro che nella ripresa ha centrato la traversa.
La Spagna guidata da Luis de la Fuente ha ritoccato i principi del tiki taka inculcati dal maestro Guardiola. Non si concentra a ipnotizzare l’avversario per poi infilzarlo. Cerca più frequentemente di un tempo la verticalizzazione. Batte una terza via fra il calcio posizionale e quello relazionale, le due contrapposte correnti di pensiero che si scontrano oggi sul terreno della filosofia applicata al calcio. La prima, di scuola spagnola, concepisce la manovra su schemi prefissati: quasi una catena di montaggio, con gli interpreti chiamati a presidiare spazi predestinati, La seconda, di scuola brasiliana, lascia briglia sciolta all’estro e alla fantasia e punta sulla fluidità e sull’intercambiabilità dei giocatori. Nel primo è il sistema a creare le connessioni, nel secondo sono le connessioni a modulare il sistema.
A prescindere dalle dispute dottrinarie è evidente che quel che conta di più è il profilo tecnico degli attori. La Spagna ha molti più campioni di noi. Per giunta giovani e fortemente motivati. E’ una potenza calcistica che ha tutti titoli per concorrere alla conquista del titolo europeo. Di contro l’Italia appare una squadra ancora troppo acerba. Alla ricerca per il momento confusa di un’evoluzione che dovrebbe renderla competitiva per i mondiali del 2026 negli Stati Uniti. Se aggredita l’Italia non escogita altre risorse che risucchiarsi in massa all’indietro rilanciando – in fatto di filosofia – gli schemi polverosi del catenaccio.

Contro la Spagna, a centrocampo, non si sono mai accese le lampadine di Barella e Jorginho (poi sostituto). Davanti Chiesa non ha mai sbrigliato la sua potenza di progressione, confermando di marciare a corrente alternata dopo l’infortunio, e Scamacca è parso un ectoplasma perdendo nel paragone la sfida fra centravanti con Morata che è molto più anziano e logorato ma anche più vispo di lui. Solo nella fase finale l’Italia ha abbozzato qualche manovra che non ha però mai alzato il tasso di pericolosità. L’unica certezza su cui contare è Donnarumma, che si sta confermando uno dei portieri migliori del pianeta. A Spalletti non è rimasto che riconoscere come ultrameritata la vittoria della Spagna. Per superiorità di freschezza, ha aggiunto. Ma, per onestà critica, soprattutto di gioco.
E adesso? Nulla è ovviamente perduto. Per qualificarsi all’Italia lunedì basta un pareggio con la Croazia, nettamente sconfitta dalla Spagna (3-0) e in netta difficoltà anche con l’Albania (2-2). E’ una nobile precipitosamente decaduta se si pensa che solo un anno e mezzo fa si piazzò terza ai mondiali in Qatar. E solo quattro anni prima in Russia arrivò addirittura seconda, sconfitta in finale dalla Francia. L’emblema del suo viale del tramonto è il pallone d’oro Luka Modric, il fuoriclasse che a settembre compirà 39 anni. Lo stesso Ancelotti nel Real Madrid impiega ormai con parsimonia le sue residue energie.
E’ vero che la Croazia, che deve per forza batterci se vuol continuare l’avventura europea, potrebbe avere un sussulto di orgoglio. E l’Italia commetterebbe forse un errore capitale se si limitasse a difendere il pareggio. Nemmeno la sconfitta probabilmente ci escluderebbe perché agli ottavi si qualificano anche le quattro migliori fra le terze classificate. A meno che a una nostra sconfitta non si abbinasse la contemporanea vittoria dell’Albania sulla Spagna (rilassata perché già promossa), relegandoci al quarto posto. Ma qui entriamo nel terreno dei film dell’orrore.