<Cova è in quinta posizione… Shahanga in quarta. Duecento metri. Schildauer Schildauer Kunze Vainio Shahanga Cova Cova Cova Cova Cova… cerca di piazzare il suo spunto… ultimi cento metri ultimi cento metri esce Shahanga esce anche Cova esce Cova spalla a spalla Schildauer… Cova Cova Cova Cova Covaa! Covaa! Covaa!>. E poi: <Magnifico… ha vinto la medaglia d’oro… Cova con un finale straordinario… 28’01”04 ma che c’importa del tempo… Cova ha trionfato ha trionfato ha trionfato>.
Quando le parole scritte non bastano, una voce è tutto. Da una parte Alberto Cova: l’atleta, il corridore, l’eroe. Dall’altra il telecronista Paolo Rosi che lo racconta, cantore che trasforma un gesto sportivo in epica pura. Quel nome corto come un lampo, ossessivamente scandito e ripetuto, è un martello che batte forte, la marea che sale e innesca l’emozione. Gli interpreti di questa gara eccezionale sono due. E due restano nella memoria collettiva, quarant’anni dopo.
Riavvolgiamo il nastro. Stadio di Helsinki, 9 agosto 1983, campionati del mondo di atletica leggera. E’ la finale dei 10000 metri. Al via tutti i migliori. L’idolo di casa: il finnico Vainio, altissimo, una falcata che mette paura. Il tanzaniano Shahanga, alfiere di un’Africa che sta arrivando prepotente in pista. Due uomini di una geografia che non esiste più: Schildauer e Kunze della Germania Est. Infine l’italiano Alberto Cova, 25 anni, comasco di Inverigo, campione europeo in carica della specialità. E’ nel pieno della maturità agonistica e vanta uno sprint micidiale: è il favorito. Gli altri lo sanno e devono staccarlo, lui lo sa e deve resistere.
Gara lenta. Alla campana dell’ultimo giro, Schildauer forza la partita e parte a sorpresa: prende dieci metri di vantaggio sul gruppetto superstite. Sono in cinque a battersi per l’oro, Cova fatica a stare attaccato al trenino che lo precede. A 300 metri dall’arrivo sembra spacciato, però si
accende una piccola luce. Ignorando il gioco di squadra, Kunze va a caccia del compagno tirandosi dietro gli altri tre. Un metro, due, cinque, ricuce lo strappo, ma Schildauer è ancora primo e Cova è ancora lontano. Tanto lontano. Troppo lontano. Non può farcela. E’ finita? Macché. Succede tutto in un attimo eterno sul rettilineo finale: i cinque si allargano sulle corsie, come in una assurda sfida di cento metri dopo dieci chilometri di corsa. La rimonta è un flash che ha dell’incredibile, il pubblico in piedi impazzisce esaltato.
Rosi spinge la canottiera azzurra che vola sulla pista, risucchiando a velocità doppia gli avversari piantati sul tartan: c’è solo Cova, semplicemente Cova. Al microfono cadenza quel nome dodici volte, incalza la cronaca, va all’arrembaggio, raddoppia e trascina l’ultima vocale quando l’italiano alza le braccia sul filo di lana (e sono tredici), poi dopo il traguardo ancora quel Covaa! Covaa! che è incredulità, meraviglia, orgasmo. Tutto in quindici parole di quattro lettere, sempre le stesse. Indimenticabili.
Cercate in rete le sequenze dell’ultimo giro: https://www.youtube.com/watch?

Alberto Cova ha vinto tutto battendo le sue vittime predilette: gli Europei di Atene nell’82 (secondo Schildauer, terzo Vainio), i Mondiali a Helsinki nell’83 (secondo Schildauer), le Olimpiadi di Los Angeles nell’84 (secondo Vainio, poi squalificato), la Coppa Europa a Mosca nell’85 (secondo Schildauer). E’ stato campione nei 3000 indoor, nei 5000, nei 10000, nelle campestri (la 5 Mulini). Si è ritirato nell’88 dopo i Giochi di Seul. Alto 172 centimetri, all’apice della carriera pesava 57 chili: un fisico da abatino rispetto a certi colossi, eppure conciliava la resistenza alla fatica con una volata mortifera che schiantava i rivali. Dicevano che si portava in gara il diploma da ragioniere preso a scuola, ma lui nega: <Non calcolavo tutto, anche se davo questa impressione. Non ho mai avuto la convinzione di essere in assoluto il più forte>. Per meriti sportivi è Cavaliere della Repubblica e Collare d’oro. Chiuso con l’atletica, è entrato in politica e nel ’94 è stato eletto alla Camera nel Polo delle Libertà. Una vita da vincente.

Paolo Rosi è morto a 73 anni nel ’97. Era nato a Roma dove si diplomò ragioniere (come Covaa!) e coltivò una grande passione di rugbista, vincendo lo scudetto nel 1948 e 1949. Considerato il miglior giocatore italiano dell’epoca, capitano della Nazionale, ebbe l’onore di essere schierato nella formazione europea che affrontò l’Inghilterra a Twickenham, segnando una meta storica. Entrato in Rai nel ’53, seguì nove edizioni dei Giochi a partire da Melbourne ’56: l’ultima Olimpiade fu quella di Seul (come Covaa!). Anche i suoi colleghi erano maestri di giornalismo: Alberto Giubilo esperto di equitazione e ippica, Aldo Giordani per il basket, Adriano De Zan nel ciclismo, Mario Poltronieri per i motori, Alfredo Pigna nello sci. Con loro altri due fuoriclasse capaci di conficcare lo sport nella memoria popolare. Nando Martellini che nell’82, davanti al capolavoro della Nazionale di Bearzot, scandì per tre volte: <Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo>. E naturalmente Giampiero Galeazzi, l’aedo del canottaggio dei fratelli Abbagnale: <La prua italiana è avanti a tutte, c’è luce, c’è luce>, <Non li prendono più, non li prendono più>, <Non c’è più tempo per morire>.

Rosi è stato la voce inconfondibile del pugilato, del rugby e dell’atletica. Memorabile la sua telecronaca dei 200 metri d’oro di Mennea, Olimpiade di Mosca 1980, quando la freccia del sud rimontò i rivali sul traguardo a braccia alzate (come Covaa!): <Recupera, recupera, recupera, recupera, recupera, ha vinto, ha vinto>. Resta indelebile nelle teche Rai il commento immaginifico alla vittoria di Gelindo Bordin nella maratona di Seul: <Hai sconfitto gli uomini degli altipiani, tu che sei nato in pianura>. Al suo nome è intitolato lo stadio del Coni all’Acqua Acetosa. Quanto a Cova, compirà 65 anni a dicembre, ma a parte i baffetti che non ha più e qualche chilo messo su, sembra che per lui il tempo non sia passato. Corre per passione la maratona sulle orme della moglie, perché il fiato c’è sempre. Lavora come team builder alla
Hengi di Mortara, fa il formatore e trainer aziendale. Cioè insegna a confrontarsi con le paure e avere coscienza delle proprie capacità: un valorizzatore di singoli e gruppi che spiega come fare squadra. Il suo video promozionale si intitola Momenti di gloria. Ha scritto il libro Con la testa e con il cuore, sintesi dell’allenamento fisico e mentale per arrivare al successo. Ha un solo rimpianto: non aver assistito in diretta alla telecronaca della sua impresa. Del resto aveva da fare, era impegnato in pista. Ha rimediato però passando al videoregistratore diecimila volte quei diecimila metri. Suoi e di Paolo Rosi.
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