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La crisi del calcio italiano e gli errori di Mancini

Il commissario tecnico deve raschiare il fondo del barile di una Serie A sempre più esterofila

Alessandro MossinibyAlessandro Mossini
La crisi del calcio italiano e gli errori di Mancini

Italy's head coach Roberto Mancini looks on prior the 2022 FIFA World Cup European qualifying Group C soccer match between Italy and Switzerland at the Olimpico stadium in Rome, Italy, 12 November 2021. ANSA/ETTORE FERRARI

Time: 4 mins read

Il percorso della nazionale italiana verso Euro2024 e verso la difesa del titolo di campioni in carica – unica gioia in un decennio davvero triste per gli azzurri – è iniziato nel peggiore dei modi: a Napoli l’Inghilterra passa 2-1, dopo un primo tempo dominato ben più chiaramente del 2-0 britannico dell’intervallo e dopo una ripresa in cui l’Italia almeno ha reagito con voglia e impegno, tirando però poco in porta.

Una prima uscita ufficiale nel girone di qualificazione che dà ragione da un certo punto di vista al ct azzurro Roberto Mancini, che aveva commentato i buoni risultati dei club italiani nelle coppe europee in questa stagione con toni molto chiari: “Aspetterei a parlare di rinascita del calcio italiano per la presenza di tre squadre ai quarti di Champions. Lo direi se ci fossero 33 giocatori italiani in campo nel Napoli, nell’Inter e nel Milan, ma ne basterebbero anche la metà”. Difficile dargli torto, anche se si tratta di un perenne gioco dei ruoli: proprio Mancini, alla guida dell’Inter, fu il primo allenatore a schierare in Serie A un undici titolare interamente composto da giocatori stranieri.

Ora che è dall’altra parte della barricata, il Mancio deve fare di necessità virtù e raschiare il fondo del barile di una Serie A sempre più esterofila e sempre con meno talento: si è tanto discusso della convocazione dell’italo-argentino Mario Retegui – che peraltro, contro gli inglesi, ha segnato e ha generato il cartellino rosso a Shaw – ma chi conosce bene il campionato sa che i centravanti italiani sembrano una razza in estinzione. C’è Immobile (che in nazionale, peraltro, è stato spesso nullo), c’è Scamacca che ora è in Premier e di rientro da un infortunio, poi c’è il vuoto. Tra le big, ma anche tra le squadre di fascia media: Pinamonti al Sassuolo sta vivendo un momento difficile, molti club (Bologna, Fiorentina, Torino) usano punte straniere e per trovare qualche centravanti titolare bisogna andare nella parte destra della classifica. In classifica marcatori di Serie A il secondo centravanti italiano dopo Immobile è il doriano Gabbiadini, a quota 6 reti dopo la doppietta al Verona. È chiaro che il problema è strutturale.

Ma il centravanti è solo un esempio: in Serie A ci sono 352 calciatori stranieri su 561 tesserati, il 62,7%. E anche nei vari settori giovanili la presenza di calciatori stranieri (il Lecce, che sta facendo un grande campionato Primavera, ha l’undici titolare quasi interamente estero) sta diventando preponderante. È un tema su cui il sistema-calcio italiano, da troppo tempo una conventicola dove ognuno bada al proprio orticello e nulla più, deve interrogarsi. A partire, ad esempio, dalle esagerate valutazioni di mercato che vengono attribuite a qualche giovane italiano di discreto talento, che rende meno rischioso l’investimento su profili esteri. O dai dettami che vengono portati avanti nei settori giovanili, dove da tempo la ricerca del talento – e il lavoro che ne esalta le caratteristiche – è secondaria rispetto a tattica e fisico, anche in tenera età. Mancini ha parlato anche di “un talento che fatica ad emergere perché non si gioca più per strada” e anche questo, vedendo i percorsi e le scelte di vita dei ragazzini negli ultimi vent’anni, può essere un tema. Ma, certo, non l’unico.

Italy’s players react at the end the 2022 FIFA World Cup European qualifying Group C soccer match between Italy and Switzerland at the Olimpico stadium in Rome, Italy, 12 November 2021. ANSA/ETTORE FERRARI

Fin qui i problemi con cui Mancini deve fare i conti. Poi, però, anche lui deve cercare di non crearsi più guai di quanti non ce ne siano già (sul piano tecnico) nel serbatoio del calcio italiano: la parola chiave è riconoscenza, che in genere nella vita e nello sport ha un’accezione positiva, ma che è già costata all’Italia un’assenza dal Mondiale in Qatar per il mancato rinnovamento dopo il trionfo di Euro2020, nell’estate 2021. La delittuosa assenza dal mondiale dello scorso inverno sembra aver insegnato il giusto, se per buona parte anche questo ciclo è ripartito dagli stessi protagonisti.

Andiamo con ordine: i Retegui, gli Gnonto e i Pafundi sono idee meritorie – così come lo fu l’allora sconosciuto Zaniolo – al momento delle convocazioni, basta però che non vengano “smentite” da altre mosse del ct. Ad esempio, preso atto dell’infortunio di Dimarco, perché ri-convocare Emerson Palmieri (ormai si sa bene cosa può dare e dove può arrivare) lasciando a marcire in Under 21 due esterni sinistri tra i migliori del campionato come Udogie dell’Udinese e Parisi dell’Empoli? Perché proseguire instancabilmente con il trio di centrocampo Barella-Jorginho-Verratti (con cui l’Italia è rimasta a casa dal Mondiale, tanto per ricordarlo) e non cominciare a inserire soluzioni nuove, magari convocando anche gente come Locatelli e Fagioli, o pensare ad assetti o ad elementi diversi visto che nella mediana a tre azzurra non c’è un vero incursore? Se il concetto è quello di “svecchiare”, perché non farlo a 360 gradi visto che, peraltro, le partite con i big in campo poi si perdono ugualmente?

Poi c’è un altro guaio mica da poco, che si lega anche a un tema tattico profondo: la difesa. Parliamoci chiaro: un club di Serie A che si presentasse al via del campionato con una coppia difensiva centrale composta da Acerbi e Toloi non arriverebbe tra i primi sette in classifica. E mica perché presi singolarmente i due difensori non valgano una delle prime sette squadre, ma perché è una coppia assortita male, con due ragazzi che da anni giocando con miglior costrutto in retroguardie a tre nei loro club: ragionamento che vale per buona parte dei difensori del gruppo di Mancini. A questo punto, perché non iniziare a proporre un giovane come Scalvini, magari – in assenza di Bastoni, infortunato – con quel Romagnoli che nella Lazio compone una coppia di valore con l’ignorato Casale? Dai ragionamenti sui singoli alla tattica: perché il 4-3-3 deve essere un dogma irrinunciabile? Specie se, in assenza di un big come Chiesa, devo ridurmi a schierare Pellegrini da finto esterno nel momento in cui Zaccagni è ancora in “punizione”?

Questo modulo peraltro riduce Berardi a pura comparsa, se sulla fascia opposta non c’è un vero attaccante (nel Sassuolo il numero 10 incide in modo splendido, ma al fianco di due attaccanti veri), e a sinistra sembra monco. E perché non pensare a una difesa a tre, visto che buona parte dei difensori azzurri è molto più abituato – e molto più a suo agio – a giocare con quell’assetto? La soluzione del rebus spetta a Roberto Mancini, che ha sicuramente tanti alibi ma che deve cercare di portare avanti il ciclo azzurro con un po’ di sano realismo, con meno dogmi e con meno riconoscenza. Perché quel discorso sul tempo dei ringraziamenti per il trionfo continentale terminato può valere serenamente anche per lui, a maggior ragione dopo un Mondiale vissuto davanti alla tv dagli italiani.

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Alessandro Mossini

Alessandro Mossini

Alessandro Mossini è nato il 29 giugno 1981 a Bologna. Pubblicista dal 2006, attualmente è collaboratore del Corriere della Sera e del Corriere di Bologna, di Radio Capital e di Radio Nettuno Bologna Uno, occupandosi principalmente di calcio, basket e football americano.

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