È stato uno dei fatti più dibattuti della settimana nello sport italiano e ha scatenato reazioni, commenti e – troppa – retorica: lunedì il Bologna ha scelto di esonerare Sinisa Mihajlovic, cambiando guida tecnica della squadra. Un esonero anzi, una “interruzione del rapporto”, come dice la nota del club che non ha voluto usare quella parola – che ovviamente non è come tutti gli altri: il tecnico serbo era alla guida del Bologna da oltre 1.300 giorni, la maggior parte dei quali passati a combattere un male terribile e logorante come la leucemia.
Gli venne diagnosticata a luglio 2019, poi i cicli di chemioterapia, il trapianto di midollo osseo e la lunga ripresa fino allo scorso marzo, quando il male si ripresentò fermando di nuovo il lavoro sul campo del tecnico, a lungo affidato al suo staff: Mihajlovic da qualche mese era impegnato nella seconda risalita, affrontando un percorso a lui già noto e ancora più duro in questa occasione. Ma sul campo la squadra da tempo non rende e il Bologna ha rotto gli indugi, cambiando allenatore e passando a Thiago Motta, ex centrocampista italo-brasiliano con un passato in nazionale azzurra e reduce da una salvezza insperata con lo Spezia.
Decisione cinica o legittima? Rompiamo subito gli indugi: personalmente barro la casella numero due. Il Bologna, esonerando Mihajlovic, ha preso una decisione pienamente legittima e probabilmente ha rispettato più di tanti commentatori nazionali lo stesso tecnico serbo, che ha chiesto di “essere sempre giudicato come allenatore e non come un malato”. Se il club ha ritenuto che Mihajlovic stesse portando risultati mediocri per il materiale a disposizione, ha fatto bene a scegliere questa via. Poi, ci sono tanti distinguo da fare.

Il primo: evidentemente a fine maggio, quando le parti andarono avanti insieme per l’ultimo anno di contratto di Mihajlovic, la convinzione del club nella scelta era già molto relativa se sono bastate cinque sole giornate per mandarlo via. Peraltro, dopo un mercato che ha tolto subito tre titolari della passata stagione e che ha dato al tecnico i sostituti solo sulle ultime curve della sessione. Tempistiche, dunque, molto opinabili.
Modalità, anche. Il patron Joey Saputo è rimasto a Bologna una settimana, non ha avuto praticamente alcun confronto con Mihajlovic ed è rientrato in Canada nel giorno in cui i dirigenti andavano a Roma dal tecnico a comunicargli l’esonero: l’italo-canadese poteva senza dubbio comportarsi in modo più signorile e fare per davvero il presidente, mettendoci la faccia almeno con il suo tecnico (che nel 2019, appena arrivato, lo salvò da una fragorosa retrocessione).
Discutibile anche il fatto che il Bologna abbia chiesto a Mihajlovic di dimettersi, non tanto per una questione economica – lo avrebbero pagato ugualmente fino a giugno – quanto per evitare l’esonero e dipanare dubbi di coscienza a eventuali subentranti, come vedremo poi. Ma al di là di queste situazioni, c’è una sottolineatura necessaria da fare: quando l’ad rossoblù Claudio Fenucci sostiene di “non poter ricevere lezioni di morale da nessuno” ha ragione. Il club tenne Mihajlovic nel 2019 dopo l’annuncio della malattia – e lo avrebbero fatto in pochi –, gli allungò il contratto al termine della stagione per ovviare all’anno perso nel progetto, firmandolo proprio per la stagione attuale, e ha convissuto con questa situazione – adattando il lavoro anche sul piano tecnologico – fino alla scorsa settimana.

Ergo, nessun cinismo e nessuna morale da subire, per quanto il Bologna sia stato criticabile per altri aspetti in questa vicenda. E per tanti altri aspetti in questi anni, in cui il salto di qualità sul campo continua ad essere ben lontano con mercati deficitari. Tornando alla vicenda dell’ultima settimana c’è anche la questione Roberto De Zerbi, il tecnico che ha cortesemente declinato l’offerta del Bologna spiegando al club che avrebbe indossato la tuta rossoblù solo se Mihajlovic avesse fatto un passo indietro e si fosse dimesso, anziché essere esonerato. Anche questa scelta ha scatenato una ridda di commenti, dagli elogi alle critiche: “Così non rispetta Mihajlovic”, dice qualcuno, ma la famiglia del serbo ha apprezzato come dimostra il post della compagna Arianna.
Anche qui, meglio parlare chiaro: De Zerbi non ha compiuto un atto eroico come ritiene qualcuno, ma non deve nemmeno essere tacciato di ipocrisia o, peggio ancora, del retropensiero per cui si sarebbe comportato in altro modo se avesse trovato la medesima situazione in una big. Semplicemente, De Zerbi ha fatto i conti con la sua coscienza – dopo aver allenato in un’altra situazione complessa da questo punto di vista, allo Shakthar Donetsk con la guerra che stava scoppiando – e ha preferito non infilarsi in una situazione che non lo avrebbe fatto sentire a proprio agio.
Si entra in una sfera personale, che è giusto rimanga tale. E che non va portata un trionfo ma che non va nemmeno commentata con la sicumera classica dei social, la stessa con cui qualcuno magari invitava Mihajlovic a dimettersi serenamente perchè “ricevendo i soldi, tanto è lo stesso”. Scelte personali. Magari anche messaggi forti che si vuole portare avanti come nel caso del serbo, uno che difficilmente in carriera e nella vita l’ha presa persa e che in questi mesi può essere stato un riferimento anche per tante altre persone nella medesima situazione personale.
Il legame tra Mihajlovic e il Bologna si è interrotto così, con qualche strascico polemico di troppo che ha chiuso una storia di vita e di sport molto potente, senza cancellarla: la malattia e la scelta rossoblù di confermarlo, l’immagine del tecnico che si presenta ad agosto 2019 a Verona in panchina pesando soli 72 chili, la squadra che va a trovarlo in ospedale, i pellegrinaggi dei tifosi al Santuario cittadino di San Luca, la ripresa fisica, la cittadinanza onoraria di Bologna, il campo che torna protagonista poi il ritorno della malattia e questi ultimi mesi nuovamente in piena battaglia.
Il Bologna e Mihajlovic si sono dati tutto, tra alti e bassi, per davvero. E forse – già da qualche mese – non avevano più nulla da darsi. Ecco perché è stato comunque giusto salutarsi, rendendo onore al volere di un uomo che ha chiesto di essere valutato per il suo lavoro e non per la sua condizione fisica: l’eccessiva compassione sarebbe stata il torto peggiore da fargli subire. E ora Bologna e tutta Italia tiferanno ancora per lui nella partita più importante.
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