Una ventata d’aria fresca. E Dio solo sa quanto ce ne fosse bisogno, nell’era azzurra di Roberto Mancini: la nuova, giovane Italia riparte dallo stadio Dall’Ara di Bologna, con l’1-1 in Nations League contro la Germania, una delle superpotenze del calcio europeo e tra le favorite d’obbligo per i prossimi mondiali in Qatar. Quelli che l’Italia non giocherà, dopo il disastro contro la Macedonia del Nord a marzo: sembra passata un’era geologica dell’Europeo vinto a Wembley contro l’Inghilterra, invece è passato solo un anno.
Dopo il trionfo nel torneo continentale ci sarebbe stato bisogno di far partire un nuovo ciclo e di lanciare giovani (cosa che Mancini aveva saputo fare con coraggio nel post-Ventura, ad esempio con Zaniolo), ma come spesso accade nel calcio la riconoscenza è stata fatale: accadde dopo il 1982 e ancora più chiaramente dopo il 2006, quando a grandi trionfi seguirono altrettanto grandi tonfi nei cicli successivi.
Dopo l’Europeo, Mancini ha peccato d’affetto per il gruppo della vittoria inglese, finendo lentamente per inabissarsi “tradito” da alcuni fedelissimi (i due rigori cannati da Jorginho gridano vendetta), dall’anagrafe ormai impietosa per altri e da un tasso di talento che è andato abbassandosi notevolmente nel momento in cui dopo Spinazzola – formidabile motore sulla corsia mancina fino ai quarti dell’Europeo – ha fatto crac pure Chiesa.
Così nasce la figuraccia di marzo contro la Macedonia del Nord, che ha visto il suo naturale epilogo nella cosiddetta “Finalissima” di Wembley, dove l’Argentina vincitrice della Copa America ha preso a pallonate i rimasugli del gruppo azzurro vincitore all’Europeo, con tre reti che potevano essere sei o sette. Ceffoni tecnici e morali che, se non altro, hanno stimolato un rebuilding totale, tenendo anche conto delle chiare indicazioni arrivate dal campionato di serie A.
Per la sfida del Dall’Ara contro la Germania Mancini ha cambiato dieci undicesimi della formazione arata dall’Argentina (unica eccezione: Donnarumma in porta) e ha varato una squadra fresca, con alcuni potenziali nuovi leader – Tonali, Pellegrini – e ben sei debuttanti assoluti durante la sfida. Frattesi dal primo minuto, poi dalla panchina sono usciti Dimarco, Pobega, Ricci, Cancellieri e soprattutto Gnonto: il ragazzo classe 2003 nato a Verbania da genitori ivoriani dopo cinque minuti dal suo ingresso in campo ha firmato l’assist per l’1-0 momentaneo di Pellegrini, pareggiato tre minuti dopo dalla rete di Kimmich, e ha dato parecchio fastidio ai difensori tedeschi.

“Willi” – diminutivo di Wilfried – è uno che sa cosa vuole: “A diciotto anni un ragazzo deve giocare, l’Inter è casa mia ma mi hanno fatto capire che avrei avuto poco spazio e sono andato allo Zurigo”, ha spiegato. In questa stagione ha segnato 8 gol, laureandosi campione di Svizzera: là il diciottenne è già un idolo e qui in azzurro può diventarlo. Con calma e senza isterismi, ragionamento che vale per tutti i ragazzi di belle speranze visti nella notte del Dall’Ara: hanno portato vivacità, voglia e sorrisi, al punto che per diversi interpreti è sorto il lecito dubbio – quasi una certezza – sulla loro maggiore utilità a marzo rispetto ad alcuni protagonisti del ciclo concluso.
Ormai il dado è tratto e nella testa risuonano le parole del presidente Figc Gravina poche ore prima di Italia-Germania: “Siamo una squadra normale che durante l’Europeo è diventata speciale e ora è tornata normale”. Vero, ma su alcuni “normali” – pur facenti parte di un gruppo meraviglioso e vincente – si è insistito un po’ troppo. Ora si cerca di entrare nella nuova era, pur con tutte le difficoltà del caso: il talento generale non è tantissimo, la ricostruzione è complessa (“i giocatori non ce li inventiamo”, aveva stoccato Mancini alla vigilia della gara) e la vicenda Gnonto insegna che in Italia sui giovani c’è poca pazienza e ancor meno occhio, visto che è finito in Svizzera.
Dal Dall’Ara, però, si esce con qualche sorriso e con alcune considerazioni da fare: bene l’1-1 con la Germania in formato decisamente veritiero – anche se in questa Nations League in campo c’è qualcuno con tanta voglia di vacanza – e pollice alto per l’atteggiamento dei più giovani, alcuni dei quali emersi agli occhi del Mancio dopo uno stage ad hoc a Coverciano. “Ci sono ragazzi molto forti, alcuni giocano in A, altri nemmeno. Com’è possibile?” si chiese dopo tre giorni di allenamenti che poi hanno portato i vari Gnonto, Cancellieri, Zerbin e Gatti ad essere aggregati al gruppo per queste sfide di Nations League.
Ora si apre un mercato che potrà portare qualche occasione in più per i giovani italiani di talento, con la speranza che anche dalla serie A 2022/23 (o dalle coppe, visto che diversi azzurri non hanno esperienza continentale con i club) possano arrivare nuovi spunti per il cambiamento necessario per la nazionale. Intanto, una considerazione tecnica per il nuovo ciclo di Mancini: il bel pari contro la Germania è un inizio interessante e le prossime gare prima delle vacanze – specie contro l’Inghilterra – saranno un bel test. Ma un indizio c’è già: la crescita di Pellegrini e Tonali, la solidità di Cristante e la verve di Frattesi da aggiungere alle presenze già rodate all’Europeo di Barella e Locatelli, senza dimenticare Zaniolo.
Il piatto forte degli azzurri, anche in prospettiva, è sicuramente in mediana: perché non pensare a un 4-3-1-2 (o anche un 4-3-2-1, meglio ancora) in modo da vederne in campo almeno quattro, abbandonando un 4-3-3 che per ora – senza Chiesa – non ha vere ali in grado di pungere se non Berardi, in grado comunque di agire anche da seconda punta? Chissà se l’idea accarezzerà la mente del ct Mancini, che intanto a Bologna ha dato ufficialmente il via a una ricostruzione lunga, non certo semplice, ma se non altro iniziata col piede giusto.