Appresa la notizia della morte di Diego Armando Maradona ho avuto qualche minuto di blackout. Appena ripresomi, ecco che sono affiorati alcuni ricordi, su di lui e sulla sua grandezza da giocatore. Maradona era il più forte di tutti e toccò proprio a me, quando giocavo nel Parma, quel 10 febbraio 1991, marcare il campione argentino che aveva fatto vincere già il secondo scudetto al Napoli.
Quando giocammo contro, al momento di scendere in campo provai delle sensazioni che non avevo mai sentito in nessuna altra partita. Da una parte il grande orgoglio di poter giocare contro il 10 più forte della storia del calcio – già per qualcuno resta Pelé, per me è l’argentino – , ma dall’altra anche la fortissima pressione di andare incontro ad una giornata di lavoro durissima.
Quando negli spogliatoi il mister Nevio Scala confermò che marcare Maradona sarebbe toccato a me, il mio animo da uomo di sport si riempì di sensazioni uniche, emozionanti, bellissime: quella sarebbe stata per me una partita indimenticabile.
Anche se sono passati diversi anni, ho un ricordo nitido fin dall’entrata sul terreno di gioco per il riscaldamento… Mi fermai per un attimo a vedere cosa, quel ragazzo con tanti capelli e la maglia numero 10, era in grado di fare, danzando con la palla ai piedi e a ritmo di musica che usciva dagli autoparlanti dello stadio San Paolo di Napoli.
Fu una partita intensissima fin dal fischio d’inizio, quel Napoli aveva lo scudetto nelle maglie e tanta voglia di rivincerlo. Noi avevamo una bella squadra, rivelazione grazie anche alle idee di Scala. Ce la mettemmo tutta per riuscire a portar via un risultato utile dal San Paolo, ma la forza d’urto di Maradona, Careca e tutti gli altri azzurri si rivelò troppo forte.

Anche Diego segnò ma, qui lo ricordo con una punta di orgoglio, mai su azione. Riuscii a fermarlo ogni volta che puntò verso la porta. Alla fine lui riuscì a segnare lo stesso, anche se su rigore. Affrontavamo i campioni d’Italia in carica, la differenza si sentiva, eppure tenemmo il campo fino alla fine. Perdemmo 4-2, ma andammo negli spogliatoi a testa alta.
Maradona lo ricordo come un giocatore corretto, molto carismatico in campo. Riusciva a trascinare la squadra alla vittoria da solo senza perdere però l’allegria e la spensieratezza, scherzava con i compagni, con l’arbitro e con gli avversari a palla ferma e durante il gioco.

Ogni tanto dovetti fargli dei falli per fermarlo, ma lui no si lamentava, non faceva sceneggiate, semmai erano i tifosi napoletani a difenderlo dagli spalti. Un boato assordante ci travolgeva dalle gradinate del San Paolo tutte le volte che si giocava un po’ sporco contro di lui. Si sentiva quanto Diego fosse amato dal pubblico di Napoli come nessun altro prima e si capiva che anche lui amava quei tifosi napoletani con la stessa intensità.
Alla fine di quella partita, gli chiesi umilmente di poter scambiare la mia maglietta sudata con la sua. Non esitò un secondo a darmela, sorridendomi. Quella maglia per me è un trofeo che conservo ancora con gelosia. Addio Diego, il più grande campione di calcio di tutti i tempi.