A soli 4 anni dall’incidente in Formula 1 nella gara del Giappone dove perse la vita il giovane e promettente pilota Jules Bianchi, la sorte o il crudele destino (per chi ci crede) torna a mostrare la fragilità dell’essere umano nella totale impossibilità di garantire certezze in ambito di sicurezza.
Il pilota Anthoine Hubert, a soli 22 anni, ha perso la vita nel circuito di Spa Francorchamps situato nel centro del meraviglioso bosco delle Ardenne in Belgio nel corso del secondo giro della gara di Formula 2 che notoriamente rappresenta un passo importante per giovani piloti aspiranti a poter gareggiare nella massima formula assoluta gloria e sogno nella vita di ogni pilota.
I canali sportivi e i tg news mostrano alcune foto delle sue vittorie e sul podio, come pugno nello stomaco, il suo sorriso smagliante e gli occhi accesi di felicità ci lasciano basiti e pongono interrogativi e riflessioni sul senso di ritrovarsi periodicamente alle prese con sport dal pericolo elevato.
La storia del Motorsport racconta come la sicurezza negli anni cinquanta non fosse neanche considerata; basti pensare che i prototipi di fine anni 50 e 60 fossero sprovvisti di cinture di sicurezza ritenute invece pericolose in caso di incidente perché avrebbero tenuto il pilota “legato” alla vettura fuori controllo; oppure l’inesistenza dei caschi ma semplicemente una specie di “papalina” di stoffa che copriva la testa ma che in un eventuale urto non avrebbe avuto nessuna utilità in termini di protezione della testa.
Ogni sport estremo e pericoloso da sempre richiede il sacrificio di vite umane in una sfida che consapevolmente ne accetta il rischio pur di assecondare una passione e una adrenalina che scorre a fiumi nel corpo di chi è dentro l’abitacolo e di chi assiste alle corse a pochi metri dal circuito o seduti in una comoda poltrona davanti la televisione.
Molti passi sono stati compiuti per la sicurezza dei piloti e le monoposto di ogni categoria automobilistica hanno raggiunto un livello di robustezza grazie a crash test e impiego di materiale leggero ma resistente come il carbonio. Il numero di decessi a causa degli incidenti si è ridimensionato drasticamente ma per quanto si stia sempre lavorando in questa giusta direzione, la casualità, velocità, violenza dell’impatto e la dinamica di un incidente non potranno mai garantire l’incolumità al cento per cento.
Un prezzo crudele da pagare per assecondare la passione per uno sport che per la sua tipologia mette in parallelo il fascino della velocità e il prestigio dell’ingegneria meccanica che deve fare i conti con i costi altissimi e con gli interessi che spesso poco hanno a che fare con passione e adrenalina. A volte ci si chiede se le società che gestiscono i circuiti dettino sottobanco precise pressioni e condizioni che tendono a seguire strade non sempre dirette verso la sicurezza.
Il circuito di Spa è famoso per la sua curva lunghissima in piena discesa e risalita chiamata “Eau Rouge” che i piloti percorrono al massimo della velocità con un groppo in gola trattenendo il respiro per poi trovare un rettilineo con vie di fuga ai due lati prive di sabbia o materiali che ne consentano il rallentamento della vettura in sbandata fuori controllo.
La dinamica del crash conferma quanto ipotizzato. Lo sfortunato pilota Hubert, dopo la sua sbandata e senza che la via di fuga ne riducesse la velocità, urta il guard rail sul fianco destro per rimpiombare in pochi secondi e senza controllo sul circuito entrando nella traiettoria della monoposto di Jean Manuel Correa che a 250 km all’ora sopravanzando non ha il tempo di accorgersi dell’improvviso ostacolo. L’impatto è così violento che spezza in due la monoposto uccidendo sul colpo Hubert e non c’è test che tenga a certe dinamiche imprevedibili.
L’incognita è sempre dietro l’angolo e lo si deve accettare. Una ennesima giovane vita che amava uno sport che non garantisce nulla se non i brividi nella schiena quando si passa per primo allo sventolio della bandiera a scacchi e che sancisce la gloria del proprio nome nel palmares dei vincenti. Sorriderà lassù nel cielo Anthoine Hubert felice nel vedere il suo amico Charles Leclerc vincere il gran premio del Belgio laddove lui è dovuto andare via.