Winston Churchill diceva che gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre: come dargli torto? Freschi di celebrazioni del venticinque aprile, ma rapidi come sempre a lasciarci il passato alle spalle, il pensiero dominante della nazione è prontamente virato al calcio e alla volata finale Juventus-Napoli per lo scudetto. In breve: la Juventus punta al settimo titolo consecutivo, mentre gli eterni rivali del Napoli cercano il colpaccio dopo un digiuno lungo ventotto anni. Ma l’Inter ha perso in casa in rimonta contro i torinesi e il Napoli è scivolato a Firenze, in un weekend al cardiopalma. Campionato finito? Forse no, ma di certo le speranze dei partenopei si assottigliano, con il morale sotto i tacchi e la sensazione di averla combinata davvero grossa.
I social network, però, sono diventati gironi danteschi. Napoletani e juventini, infatti, se ne sono date e dette di santa ragione, complici l’arbitraggio incerto del derby d’Italia (Inter in dieci al diciottesimo del primo tempo) e quella frase amichevole e ambigua, ‘Ciao, Taglia!’ di mister Max Allegri al quarto uomo nel tunnel di San Siro. C’è chi, pacatamente, ha suggerito che forse la Juventus gode di favori arbitrali sconosciuti alle altre squadre; altri, in minoranza, hanno ricordato che appunto il calcio è solo un gioco, e che come tale andrebbe trattato.
Io, interista di ferro, ho spento la televisione al fischio finale, già stanca di un post partita che sapevo avvelenato. Molti miei amici di Facebook, invece, hanno farcito le proprie bacheche di epiteti, ingiurie, bestemmie contro gli uni e gli altri avversari. Gira un video tragicomico di una pizzeria napoletana, con piatti che volano, cori goliardici e parolacce, ma non è tutto. Carlo Alvino, noto giornalista vicino al Napoli, ha proposto di apporre comunque lo scudetto sulla maglia della prossima stagione, un riferimento non troppo velato ai trenta sul campo rivendicati dalla famiglia Agnelli dopo la sentenza di Calciopoli e la conseguente revoca dei titoli. Il movimento neoborbonico, pare che esista, ma non ho il coraggio di googlarlo, chiede che la partita si rigiochi. Tutti han detto la propria, quasi tutti con toni irati, anche i giornalisti che si sa, dovrebbero non schierarsi mai, solo riportare i fatti. Ladri, dicono i napoletani! Invidiosi, rispondono da Torino. Gli interisti solidarizzano con gli azzurri mentre i veronesi, quasi retrocessi ma saldamente antimeridione, se la ridono.

Sono passati due giorni e il campionato è ancora infuocato. Ma sono passati quasi due mesi dalla morte del capitano della Fiorentina Davide Astori, marito e padre, tragicamente spentosi nel sonno a trentun anni alla vigilia del match di Udine. Il cordoglio aveva unito i fan per poco tempo e tutti sembravano aver imparato una lezione, la lezione più importante: il calcio è solo un gioco, la vita vera è altro. La sua prematura scomparsa pareva averci colpiti e affondati, lo avevamo pianto come i fiorentini, avevamo promesso che gli stadi non sarebbero più stati luoghi d’odio, ma di bel gioco e sportività. E invece un tifoso dell’Inter che conosco ma che vorrei non conoscere ha scritto che l’arbitro Orsato non avrebbe dovuto risvegliarsi il mattino successivo, come Astori. No, non abbiamo imparato nulla. Arriverà un’altra domenica, la A per fortuna è agli sgoccioli, e il web tornerà a infiammarsi per quel giallo dubbio o quel rosso troppo severo, un fuorigioco millimetrico o un fallaccio al limite dell’area. C’è chi tirerà addirittura in ballo la buonanima di Facchetti, eterno capitano della Grande Inter, per offenderne la memoria e chi invocherà un improvviso risveglio del Vesuvio e una nuova Pompei. Davide non vorrebbe questo. Perdonali, perdonaci, ovunque tu sia.