Un serio divertimento. Lo sport negli USA è diversificato e valorizzato. Quasi sacro. Basti pensare agli endorsement durante la campagna elettorale. Tanti i campioni che si sono schierati con la democratica Clinton: Magic Johnson, LeBron James, Kareem Abdul-Jabbar e Carl Lewis. Per il repubblicano Trump, Dennis Rodman, Hulk Hogan e Mike Tyson.
La National Football League è la federazione capace di attirare a sé la maggior parte di tifosi ed appassionati. I dati del 2012 hanno detto che è stato il torneo sportivo per club con la più alta affluenza media di pubblico per gara, con più di 67mila spettatori a partita. In Europa domina il calcio.
Numeri che si avvicinano a quelli del football li ha raccolti nel calcio la Bundesliga (Germania) con 45.116, e la Premier League (Inghilterra) con oltre 34mila. L’Italia ha perso lustro da tempo, diventando un campionato di passaggio e non più di arrivo per i grandi campioni. Sempre nel 2012 la Nfl ha registrato anche il record mondiale di spettatori complessivo: 17.303,347. Oggi il trend è un po’ calato, con la grande risalita dell’Nba (la federazione di basket), ma il primato resiste.
Anche in Italia il movimento di appassionati della palla ovale e delle spalle rinforzate sta crescendo. C’è una federazione, la Fidaf, riconosciuta dal Coni. C’è una nazionale, la Blue team. C’è un campionato, ci sono giocatori che di certo non guadagnano quanto i colleghi a stelle e strisce. “Nessun professionista” dicono da Roma. “Sono tutti studenti o lavoratori. Da noi il football americano è assolutamente uno sport dilettantistico. Il movimento consta di un circa 100 società tra Tackle football e Flag football, mentre il numero dei tesserati è di circa 7mila”, conferma il vice presidente della federazione, Francesco Cerra, che abbiamo intervistato per conoscere da vicino il fenomeno football nel Bel Paese.
Da quanto tempo esiste la Fidaf?
“La Fidaf com’è oggi esiste da circa 10 anni, nacque come alternativa ad una realtà che si era costituita per sopperire alla caduta della precedente federazione. Dopo qualche anno di incubazione, ha iniziato il processo di riconoscimento da parte del Coni che ne ha fatto l’entità di riferimento del football americani in Italia”.
Chi ha importato in Italia il Football?
“Ci sono storici del football nello stivale che hanno studiato a fondo la questione. Si parte dall’arrivo degli alleati durante la Seconda Guerra mondiale, con un salto successivo di una trentina d’anni, quando Bruno Beneck fondò la Lif con la disputa del primo campionato italiano che ha visto il riconoscimento del titolo di campione d’Italia proprio quest’anno da parte della Fidaf”.
Settore giovanile: immaginiamo sia basilare un vostro ingresso nelle scuole. Progetti a in questa direzione?
“I settori giovanili sono fondamentali per qualsiasi sport. Visto il numero di giocatori necessario ed i limitati mezzi a disposizione dei team, è spesso lunga ed ardua la strada per la creazione dello stesso. Si sta sopperendo con l’introduzione del “Flag Football”, versione senza contatto fisico, che è molto apprezzata dagli insegnanti di educazione fisica e dai ragazzi che praticano uno sport nuovo. La Federazione ha un protocollo approvato dal Miur e sostiene i team e scuole con la fornitura gratuita di palloni, contemporaneamente, grazie alla collaborazione con lo Iusm di Roma formiamo i futuri professori di educazione fisica attraverso un corso universitario, arrivato oramai alla terza edizione”.
Avete riscontrato una crescita di seguaci negli ultimi anni? Se sì, in che percentuale e grazie a cosa?
“Il movimento cresce, il numero di team bene o male aumenta ogni anno. Grazie principalmente a tutti i volontari ed appassionati che si prodigano per questo sport, lanciandosi nella creazione di nuove squadre un po’ ovunque lungo lo stivale”.
Quali i preconcetti e le difficoltà che riscontrate nelle famiglie/insegnanti?
“Il timore degli infortuni è sempre la causa principale di preconcetti. D’altro canto è uno sport estremamente formativo per i ragazzi (e ragazze), crediamo sia lo sport di squadra per eccellenza”.
Il rapporto con gli USA? C’è un filo diretto o ci sono differenze incolmabili? Come formate i tecnici? “
“Il rapporto con gli USA è continuo, ogni anno arrivano allenatori e giocatori che alzano il livello del gioco. Le differenze sono per il momento incolmabili, questo a causa anche della differente struttura scolastica che in Italia non prevede lo sport organizzato in tutte le università. Sempre più i ragazzi italiani, però, riescono ad effettuare delle esperienze nelle High school ed in college di 2° e 3° Ncaa (i campionati universitari studenteschi, ndr) o anche nel campionato Universitario messicano, distinguendosi per le loro capacità. I tecnici vengono formati tramite corsi formativi suddivisi in livelli, come previsto dalle norme del Coni. E’ un percorso impegnativo e richiede anni di studio per arrivare al massimo livello”.
Il fenomeno dell’arrivo di americani in Italia, fermi nel limbo tra il professionismo e il college, come lo legge?
“Allenatori e giocatori sono sempre di estremo aiuto ai team perché innalzano il livello dei giocatori italiani. Sono principalmente giocatori innamorati di questo sport che vogliono praticarlo ancora pur avendo finito il ciclo sportivo universitario. Solo una piccola parte di loro arriva tra i professionisti della Nfl e molti ci rimangono poco tempo. A quel punto l’esperienza europea (ma non solo) è una scelta affascinante…”.
Il soccer Usa sta tentando sempre più campioni del calcio europeo, seppur spesso a fine carriera e attirati da ottimi ingaggi. Solo il denaro vi impedisce di rendere appetibile il campionato italiano di football e imitare la Mls?
“Ovvio che il denaro è il motore di tutto. Esistono alcune strutture nate principalmente per il football americano, come a Firenze e Bolzano, od altre in cui il football ha la sua importanza, come Ancona, Savona, Brescia (mi scuso se non cito tutti). Ma siamo lontani ancora molto dal poter avere sempre delle strutture che possano soddisfare anche “l’occhio” oltre che permetterci di giocare e basta. L’intero movimento sta comunque lavorando per migliorare tutto questo”.
Matteo Oxilia è nato nel 1983, laureato a Verona, è giornalista. Ritiene che chiunque dica con dieci parole quello che potrebbe dire con 5 sia capace di qualunque delitto. Sogna di creare un progetto umanitario. Crede nell’Informazione, nel mos maiorum, a Hemingway. Allenatore di arti marziali troppo buono e batterista punk, ma detto alla De Niro. Twitter @teoxilia