La maratona di New York è senza dubbio uno dei fenomeni sportivi di massa più seguiti al mondo e non soltanto per quanto riguarda l’Atletica. La partecipazione di circa cinquantamila persone che corrono attraverso tutti e cinque i Boroughs di New York, partendo da Staten Island, che oltrepassano Brooklyn, superare il Queens, procedono per il Bronx ed arrivano infine a Manhattan, offre agli atleti un eccitazione tale da essere ricordata per una vita intera, come il primo bacio o la prima notte di nozze, a chi va bene. E per coloro che riescono a concluderla, questa gara rappresenta un motivo di orgoglio che va senza dubbio oltre il semplice risultato. Arrivare al traguardo della Maratona di New York è un trofeo da appendere al salotto di casa, un motivo di soddisfazione da presentare agli ospiti come una testa impagliata in una caccia grossa, o una Laurea.
La prima Maratona di New York venne disputata nel 1970 all’interno del Central Park, il tragitto odierno è stato tracciato nel 1976 per il bicentenario dell’Indipendenza degli Stati Uniti. L’intenzione era quella di toccare tutti e cinque distretti di New York per arrivare infine al Central Park.
Il sogno di correre la Maratona si rincorre per alcuni mesi, prima della data della partenza e si materializza in frenetici messaggi nei social network. I runners sono distribuiti omogeneamente, ovunque, in ogni angolo del pianeta. A qualsiasi latitudine e fuso orario ogni santo giorno un esercito di milioni di persone smette i panni abituali per indossare quelli del runner. L’impiegato, l’autista, il garzone di bottega, il Manager aziendale, con qualsiasi condizione climatica ed a qualsiasi ora questa schiera colossale di persone partecipa alla più grande maratona mondiale che sia mai stata corsa.
Seguire con lo sguardo questa pattuglia silenziosa di donne e di uomini che mentre corrono si scambiano progetti, consigli, come fosse una continuazione del tempo in una coordinata spazio temporale completamente diversa ha dell’incredibile. Mentre si corre si è immersi in uno stato di allucinazione in cui la natura cambia la forma agli oggetti. Non esistono più scrivanie, auto, mura e pannelli divisori degli uffici ma alberi, sabbia, siepi e prati. Correre per alcuni di noi rappresenta vivere. Io non ho mai corso nemmeno per prendere l’autobus. Non correvo nemmeno in mezzo al campo di calcio dove arrancavo in esaurimento di ossigeno in una dispnea cronica di risultati e di patetici tentativi di rincorrere l’avversario di turno causando la disperazione e le coronarie del Mister. Per questa moltitudine di persone senza classificazione alcuna di genere o di classi sociali, correre rappresenta la libertà che si concretizza in uno scroscio di pioggia improvviso, in un colpo di vento che ti blocca per un attimo, oppure ti fa andare più veloce se ti arriva alle spalle. La brezza marina sulla pelle, il rumore delle onde, i primi fiocchi di neve sui capelli, i dolci pendii delle colline in primavera, oppure semplicemente una strada, per loro correre rappresenta la conclusione ideale di una giornata, oppure l’inizio migliore di un nuovo giorno.
Partecipare alla Maratona di NY poi è come andare alla Mecca almeno una volta nella vita. E’ una consacrazione religiosa. Esserci fa parte di un'investitura cromosomica irrinunciabile per chi fa della corsa una propria ragione di vita.
Il pettorale di gara può essere acquistato oppure vinto. Chi decide di acquistarlo può usufruire dei pacchetti famiglia creati dalle agenzie apposta per i runners che decidono di portarsi dietro tutto l’entourage familiare. I solitari possono sempre iscriversi al sito ufficiale della Maratona e sperare. Comunque dopo il terzo tentativo fallito il pettorale viene acquisito di diritto.
Allo sparo del cannone, dopo l’immancabile inno americano, il fiume di persone si scolla dagli argini della monotonia quotidiana per scorrere liberamente verso il Verazzano Bridge. Un alluvione senza pericoli, un inondazione che non comporta allarmi, un fiume in piena di gioia e di liberazione allo stato puro. Ciascun partecipante alza le braccia al cielo verso la telecamera puntata su di loro, come in un immenso selfie. Il cordone umano visto dall’alto assomiglia stranamente alla fila per entrare al padiglione giapponese dell’EXPO. Si agitano come forsennati, gesticolano con le braccia la voglia di esserci, di fare parte di questo evento senza precedenti. Sono in piedi dalle 4:30m del mattino come richiesto dall’organizzazione. Raduno alle 7, partenza alle 9:20. A quest’ora molti sono già mezzi morti per la levataccia. Sono tantissimi quelli che non faranno nemmeno un kilometro, ma l’importante è esserci.
Discorso diverso per i professionisti della corsa. Dopo un ora e mezza di corsa Mary Keitany si sbarazza della sua antagonista diretta e viaggia da sola verso il traguardo. Ma è impossibile essere da soli nella grande Mela. Keitany viaggia tra due ali di entusiasmo puro, urla, fischi applausi e gridolini di sostegno. Da parte maschile dopo due ore di corsa la dozzina degli irredentisti si dimezza, restano solo in cinque a contendersi il primato. Stanley Biwott taglia per primo il traguardo in poco più di due ore: ( 2:10’34’’) al secondo e terzo posto si piazzano altri due africani a sottolineare l’abisso che esiste tra i runners di quel continente rispetto a tutti gli altri. Mary Keitany, altra keniana, ince per la seconda volta di fila con il tempo di 2h24'25"
Entrambi i vincitori portano un po' di Italia con loro. Infatti entrambi sono allenati da due nostri connazionali. Facciamo sempre così, siamo bravissimi ad insegnare le nostre conoscenze, la nostra cultura, poi sono sempre gli altri a vincere. Ma nella Maratona di New York non ci sono bandiere e non esistono limiti territoriali: gli atleti sono esponenti e sponsor della fratellanza umana. Cinquantamila coriandoli sparsi per i Boroughs della Grande Mela, migliaia di francobolli provenienti da ogni angolo del globo affrancati sul cemento delle strade di New York , cartoline di auguri firmate in calce e punteggiate dal ritmo sincopato delle scarpette degli atleti. Sulla pettorina dei partecipanti c’è solo un nome, un rappresentante della razza umana, cittadino del mondo ed abitante del Pianeta Terra.
Gli italiani
Domenica erano un migliaio. Il miglior piazzamento è quello di Anna Incerti, alla sua 15° maratona, finisce la gara in nona posizione
Il più atteso tra i corridori italici era Andrea Lalli, primo tra gli uomini europei a tagliare il traguardo. La sua Maratona finisce all’11 posto. Sette minuti dopo Biwott.
New York si impadronisce come accade ormai ogni anno, il diritto alla straordinaria interpretazione di una competizione nata più di un secolo fa e la trasforma in un evento mediatico senza pari, catturando l’attenzione degli atleti di tutto il mondo, riuscendo nell’opera quasi profana di essere l’evento sportivo più seguito rispetto alla maratona delle Olimpiadi stesse. Nelle prime competizioni di carattere olimpionico, la Maratona era la gara più attesa. Con questa sfida si intendeva trasfigurare un evento storico in una competizione sportiva. Anche la distanza doveva essere calcolata per avvicinarsi, grosso modo, alla distanza che separava la piana di Maratona ad Atene, distanza che venne colmata ovviamente di corsa, dal greco Filippide che volò ad annunciare la notizia della vittoria di Ateniesi sui Persiani nel 490 a.C. Oggi la Maratona è un veicolo che testimonia uguaglianza, unità e fratellanza. Ha la pretesa di essere un vero messaggero di Pace con la testimonianza concreta di cinquantamila persone, atleti di professione o semplici operai, che corrono insieme verso un'unica meta e con un unico desiderio. Quello di esserci.