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September 13, 2015
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Flavia Pennetta e Roberta Vinci: storia di un sogno di bambine che si avvera nel tennis

Luca TontodonatibyLuca Tontodonati
La vincitrice degli US Open 2015 Flavia Pennetta corre ad abbracciare la compagna appena sconfitta Roberta Vinci (Foto Getty)

La vincitrice degli US Open 2015 Flavia Pennetta corre ad abbracciare la compagna appena sconfitta Roberta Vinci (Foto Getty)

Time: 8 mins read

Cosa si prova a veder realizzati i propri sogni? I sogni ce li portiamo dietro da bambini. Sogniamo di diventare grandi ed una volta cresciuti i sogni si frantumano spesso davanti al muro fatto di  mattoni tenuti assieme dal cemento delle tristi realtà quotidiane. Da piccoli i sogni ci aiutano a crescere,  per questo li coltiviamo come fossero scrigni preziosi. Li culliamo, li coccoliamo e poi ce ne dimentichiamo ma restano sempre dentro di noi, nascosti da qualche parte. A volte riaffiorano prepotenti ed a stento li ricacciamo indietro. Altre volte irrompono con la brutalità invadente della gioia, ed è proprio allora che ci accorgiamo di vivere in una situazione in cui la realtà assomiglia ad un sogno. Anzi, a volte lo supera. 

Roberta Vinci e Flavia Pennetta hanno  preso una racchetta in mano per la prima volta a sei anni.  Mentre le altre  bambine  pettinavano le bambole, loro ricamavano effetti con la racchetta da tennis. Flavia è stata più prolifica in tema di successi. E’ stata la prima italiana ad entrare di diritto tra le prime dieci giocatrici del mondo, ed è con ogni probabilità la miglior giocatrice italiana di sempre. Roberta Vinci è professionista dal 1999,  fa fatica ad esprimersi in singolare ma trova impulsi fecondi nel doppio dove con la sua compagna Sara Errani ha praticamente vinto tutto. Scalano assieme vette sportive e personali  fino ad arrivare prime del ranking mondiale nell’Ottobre del 2012. Poi tra le due qualcosa si rompe ed il delicato meccanismo che le univa di colpo pare non funzionare a dovere. Uno scialbo comunicato stampa mette definitivamente la parola fine al legame sportivo arrivando ad incrinare perfino una solida amicizia. Ad Indian Wells  le due si parlano appena. Ma quando  si spegne un sentimento, qualcosa poi rinasce sempre. Uno stimolo ulteriore per affrontare in solitaria  quel poco  di percorso professionale che la vita e gli anni ancora riservano alle due amiche.

 

WTA – US Open

Compie l' impresa Flavia Pennetta, che arriva in finale battendo la numero 2 del tennis mondiale, la Halep. Ma la conquista della finale non suscita troppo clamore, la vittoria è nelle sue corde, e ci può anche stare, pur essendo comunque  un evento a dir poco memorabile.

Roberta Vinci da Taranto era arrivata agli US Open come numero 46 del mondo.  Un anno appena accennato con le tiepide vittorie di Toronto, sconfitta poi dalla Dea del tennis, Serena Williams e le opache e poco esaustive prove  a Cincinnati e New Haven, dove non brilla pur mostrando il solito buon tennis, fatto di ricami e “slices” . Un tennis di altri tempi. La natura le ha dato in sorte un fisico minuto, le “pallettate” da fondo campo non è il genere di tennis che le si addice.  Poi  gli US Open alle porte, settembre 2015 . Parte in sordina come sempre, come il suo carattere. Vince con la Mladenovic ai quarti in tre set ma non si illude troppo. Alle semifinali incontrerà Serena Williams, la Dea. La tennista che più associa  il suo nome al tennis mondiale ed alle vittorie.  In ogni angolo remoto  del mondo se chiedi  di Serena Williams ti risponderanno come in un sillabario  “Tennis Numero Uno”. La sua fama la precede ovunque, una certezza rassicurante come quando hai fame ed a qualsiasi latitudine appare dal nulla un Mc Donald’s.

 

Serena Vs Roberta

Il giorno della semifinale è un giorno come un altro per entrambe. Serena annoiata e sicura corre per il Grande Slam e pare infastidita dall”altra”, un italiana che parte già sconfitta. La Vinci non si culla di illusioni, il giorno della gara si sveglia e non pensa all’avversaria ma solo “ a mettere la pallina al di là della rete e correre”.  Antidoto che si rivelerà efficace contro i colpi potenti velenosi  della americana.

Brutto affare per l’italiana giocare questa semifinale in una data tristemente storica per l’America. Le celebrazioni per l’undici settembre scaldano i cuori del pubblico, lo rendono più compatto e vicino alla Williams, un  sentimento patriottico oltre ogni limite. L’ambiente non è dei migliori per la Vinci e la rassegnazione sembra dietro l’angolo.

Il primo set scorre senza patemi. Un timido accenno di gioco della Vinci viene subito annichilito dalla  solidità tennistica di Serena,  fisicamente esuberante rispetto alla minuzia di Roberta, che accarezza la pallina e gioca con un elegante back di rovescio,  il suo colpo più eccelso. Corre su e giù per il campo, Roberta.  Un Forrest Gump edizione tascabile al femminile che approfitta delle sue doti  di leggiadria per sconfiggere  Golia.

Il primo set se ne va , sei giochi contro i due dell’italiana . I sogni muoiono all’alba, ma qui è solo pomeriggio inoltrato. Una ingiustizia letteraria. Roberta stringe i denti, serra le ganasce ed i ranghi, pensa solo a rimandare la pallina oltre la rete e correre…correre.  L’americana sente la pressione per la storica occasione che ha davanti. Il Grande Slam, riuscito solo a Stefi Graff nel 1988. La svolta nel quinto gioco del secondo set, in cui la Vinci strappa un break all’americana e lo vince per 6 giochi a un 4.

Ora siamo un set pari, Serena comincia a preoccuparsi , quell’italiana si sta rivelando più difficile del previsto , sul piatto c’è la storia. Roberta sente che ce la può fare. Ha tutto dalla sua parte, non ha un centesimo da perdere.  Deve solo correre.

 

Il Capolavoro

Roberta

Roberta Vinci durante la partita vinta contro Serena Williams

Il settimo game del terzo set racchiude qualcosa di drammatico. Siamo sul tre pari. Serve la Williams. Roberta Vinci trattiene il fiato e risponde con il suo colpo preferito: il back di rovescio. Si avventa come un leone Serena e scarica una tonnellata di megatoni oltre la rete. Roberta risponde colpo su colpo. I proiettili dell’americana sono accompagnati dal suo urlo di battaglia come fosse uno “Stuka” in picchiata. Roberta Vinci non si scompone, replica con affanno ma anche con un certo stile, l’americana intercetta e risponde profondo. Roberta recupera la pallina che è quasi  fuori di due piedi in corridoio e scambia con il  dritto. La Williams risponde di rovescio ma troppo centralmente, l’italiana ci arriva agevolmente e piazza il suo colpo mortale. Con il back infila l’angolo alla destra dell’avversaria che arriva sulla pallina come può.  Roberta intuisce ed è già sotto rete,  con una volee di dritto assesta il feral morbo che disintegra le speranze dell’americana . Roberta Vinci si volta verso il pubblico con una frase che resterà nella storia del tennis italiano e che non verrà ripetuta nei salotti da the  : “Ed ora applaudite anche me , Cazzo!". La Vinci accarezza il sogno, la Williams è alle corde e sente le trombe della sua personale Waterloo che annunciano la ritirata. La semifinale finisce 2-6 , 6-4 , 6-4 . Roberta Vinci ha sconfitto un mito e ne ha creato un altro. Se stessa.

 

La Finale.

L’apertura di tutti i notiziari italiani ha come oggetto la finale degli US Open di New York. Perfino la signora Maria che come  sport conosce solo quello della pulizia dell’androne del condominio mi ferma e mi chiede a che ora giocano le due italiane.  Una passione insolita assale gli italiani in queste ore di attesa. I telegiornali sono sincronizzati nel dare le ultime notizie e si affannano ad anticiparsi per comunicare in esclusiva le ultime news da New York. Il pubblico appassionato di tennis non è assolutamente paragonabile alle moltitudini di fede calcistica. E’ un pubblico snob, ragiona con stile e con un linguaggio differente rispetto ai pallonari da cortile. “l’orrendo calcio” citava Gianni Clerici nelle sue telecronache tennistiche di qualche anno fa . Ma oggi il miracolo sta per avverarsi. Gli italiani si sono riscoperti tutti intenditori di tennis, parlano di set e di games, di lob, smash e volee con leggerezza e malcelata conoscenza. La verità è che oggi siamo tutti un po’ più orgogliosi di essere italiani. Il tricolore che accompagna la finale degli USA nella terra di molti nostri concittadini oggi risplende di un colore diverso,  il nostro Paese che ha subito notevoli sciagure in passato ora sembra soccombere dal peso sempre più opprimente di una crisi eterna ed irrisolvibile, una burocrazia schiacciante ed un futuro senza colori.  Ci volevano due ragazze del Sud dell’Italia , nate a pochi kilometri di distanza per farci rivivere le emozioni dei Mondiali del 2006 e del 1982, e renderci ancora una volta uniti, almeno nello sport.

Flavia Pennetta

Flavia Pennetta col trofeo degli US Open

 

Flushing Meadows

I biglietti della finale erano “Sold Out” da tempo, gli americani tifosi della Williams aspettavano l’occasione unica del grande Slam.

La  finale degli US Open di oggi  si presta  ad una duplice lettura: mentre per i media americani questa è la finale con il minor numero di collegamenti e di pubblico in assoluto con un crollo degli indici di riferimento ai minimi storici, in Italia sono tutti  ( o quasi) incollati al televisore  per assistere alla finale tutta italiana delle due ragazze , un evento accuratamente evitato dai canali RAI, ovviamente. Un inversione di polarità che si trasmette per il globo e raggiunge le nostre coste trasmettendo una passione che è l’esatto opposto rispetto alle attrattive del pubblico americano, che , considerati i larghi vuoti sulle gradinate ha preferito, bontà loro,  disertare l’evento. Spalti  prontamente riempiti in extremis da mezza Brooklyn che si è precipitata dai bagarini  per accaparrarsi gli ultimi tagliandi venduti a caro prezzo.

Dopo il consueto cerimoniale stars-and-stripes Roberta Vinci e Flavia Pennetta entrano sul Deco Turf dell’Arthur Ashe Stadium e prima di scaldare le articolazioni si concedono ai flash dei fotografi. Abbracciate sul campo, separate soltanto dalla rete, assumono una posa che la memoria rimanda indietro di un decennio. A Parigi , nella finale juniores del Roland Garros le due ragazze appena sedicenni si fanno immortalare allo stesso modo e mai avrebbero immaginato che dopo 16 anni avrebbero ripetuto quella foto in finale agli US Open. Qualcosa è rimasto ancora oggi in queste due ragazze. Hanno lo stesso sorriso di sedici anni fa. Ha vinto la Pennetta in due set , 7-6, 6-2  praticamente senza partita. Il giorno di riposo ha giovato a Flavia , e lo scarico emozionale di ieri  è stato fatale alla Vinci. Si conoscono troppo le due tenniste, ed è solo il fattore  apprensivo che ha fatto la differenza. Ma alla fine hanno vinto tutti.  Le due ragazze alla fine dell’incontro si siedono assieme, come fossero al campo di allenamento del loro club e non al campo centrale dopo una finale degli US Open.. Si scambiano battute, gesti, parlano tranquillamente e sorridono. Un colloquio fatto di ricordi, di anni di amicizia, e di sogni finalmente realizzati.   E la dichiarazione della Pennetta al pubblico di New York ha del sensazionale. In un inglese semplice e fluente manifesta la sua intenzione di lasciare il tennis.  Una decisione maturata con il tempo che rispettiamo solennemente tra le note dell’inno Nazionale. Che mette i brividi agli italiani presenti a Flushing Meadows ed un pochino anche a noi che grazie a Roberta e Flavia ci siamo riscoperti  tennisti professionisti  e moderatamente anche un po’ più  italiani.

 

 

 

https://youtube.com/watch?v=3gM1xbkaoO4

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Luca Tontodonati

Luca Tontodonati

Vivo a Pescara e sulle rive dell'Adriatico trascorro gran parte della mia esistenza annotando tutto e scrivendo oltre il necessario. Geografo e cartografo mi occupo di divulgazione storica. Fautore del "come eravamo", chiudo gli occhi e immagino i luoghi del passato. Appassionato di calcio, mi lascio trasportare dall'istinto più che dalla logica. Le partite amo seguirle allo stadio e quando capita di vederle in TV abbasso l'audio. Scommetto su tutto ma non vinco (quasi) mai. Frase preferita: "Presa singolarmente, l'umanità è davvero insopportabile". Un pregio: intuitivo. Un difetto: tifo quella squadra lì...

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