E alla fine è rimasto solo lui, il piccolo furetto Alcide Ghiggia. Monumento vivente del calcio mondiale e – suo malgrado – primo cittadino onorario del Maracanà.
Alla vigilia dei Mondiali che ancora una volta celebreranno il calcio nel paese che di questo sport rappresenta l’anima più artistica, il piccolo Ghiggia continua a far rima con il “Maracanazo”, la partita maledetta che gettò nella polvere il mito del Brasile pallonaio innalzando alla gloria la grinta della squadra vestita di colori celesti e consegnando alla storia i due attaccanti di origine italiana: Schiaffino e lo stesso Ghiggia.
Doveva essere il Mondiale del Brasile, quello giocato nel 1950. Non poteva essere altrimenti, per i sostenitori brasiliani che all’epoca sventolavano le bandiere bianche (la maglia dell’allora nazionale) che avevano visto la propria squadra stritolare tutte le avversarie e presentarsi in finale contro il piccolo Uruguay che con fatica aveva scalato la vetta del campionato del mondo (dopo un primo roboante 8-0 rifilato alla Bolivia). I muri del Maracanà erano ancora freschi di vernice e lo stadio era stato appena inaugurato: un catino contenente 90.000 spettatori pronti a trasformare il campo di calcio in una bolgia.
Ma non avevano fatto i conti con i punteros uruguaiani, capaci di opporre la tattica all’improvvisazione tecnica e alla fantasia carioca. Gli uomini in maglia celeste portarono il lutto nel Brasile. Il portiere Moacyr Barbosa fu oggetto di una vera e propria caccia alle streghe (Moacyr Barbosa morì solo e povero, con la nomea di portare sfortuna, nel 1993 gli venne negato anche il saluto alla nazionale in ritiro in vista dei Mondiali negli USA) , e Jules Rimet, all’atto della consegna della coppa del Mondo, accettò con riluttanza il risultato, laddove molti dirigenti della nazionale brasiliana rifiutarono di congratularsi con gli avversari vittoriosi.
Gli uruguaiani divennero ufficialmente nemici sportivi e l’acredine sportiva e sociale ancora oggi resiste in qualche sacca della memoria dei più anziani.
Anche Alcide Ghiggia, che con un superbo diagonale, regalò il goal della vittoria che valse agli uruguayani il secondo titolo mondiale, subì la vendetta di alcuni facinorosi hooligans brasiliani, che gli provocarono una brutta lesione alla gamba sinistra costringendolo a un anno di stop. E per 59 anni non fu mai perdonato dai brasiliani.
Nato nel 1926, Alcides Edgardo Ghiggia, era un’ala dal dribbling fulminante e iniziò la sua carriera nella squadra del Penarol di Montevideo, che deve il suo nome a un emigrante italiano arrivato da Pinerolo (Piemonte). Relativamente piccolo di statura, Ghiggia venne convocato nella squadra nazionale da un allenatore che aveva scommesso sul suo talento. E lui ripagò la fiducia segnando un gol in ogni partita dei Mondiali. Dopo aver propiziato il temporaneo pareggio dell’Uruguay, servendo il compagno Schiaffino, realizzò il gol più importante della sua carriera e scontò per un anno l’infortunio subito dai facinorosi brasiliani. Passò alla Roma dove giocò per 8 anni e poi al Milan dove vinse uno scudetto, per finire la propria carriera nella squadra del Danubio, in Uruguay.
Di quella straordinaria compagine che sconfisse il grande Brasile, Ghiggia è oggi l’ultimo supersite e per decenni si è portato addosso l’appellativo di “assassino del Brasile”.
Il Brasile ci ha messo 59 anni ma alla fine ha onorato Alcide Ghiggia per le sue doti atletiche che ancora oggi fanno parte della cineteca del calcio. L’ex nazionale della Celeste ha lasciato le sue impronte per il boulevard dei campioni al Maracanà e questo onore è toccato soltanto a sei giocatori stranieri sui cento della lista. Tra essi, oltre al furetto uruguaiano di origine italiana, anche il veneziano Petkovic, il portoghese Eusebio, il tedesco Beckenbauer, il cileno Figueroa e il paraguayano Romerito.
“Visto quanto è successo – ha commentato con commozione l’anziano campione – non avrei mai pensato che al Maracanà mi rendessero questo omaggio. Sono emozionatissimo e porgo a tutti i miei più sinceri ringraziamenti”.