Per studiare i processi fisiologici o patologici degli organismi viventi, la ricerca scientifica ha messo a punto strategie che si affiancano all’impiego dei modelli animali, tra cui lo sviluppo di “organoidi”, strutture simili all’organo di interesse, creati per migliorare le terapie oncologiche rendendole sempre più mirate. Gli organoidi, quindi, sono strutture tridimensionali, che si avvicinano all’organo di riferimento, in modo da poter essere utilizzati come modelli di studio. Essi sono costituiti da cellule tridimensionali che si differenziano delle classiche linee cellulari che, invece, sono coltivate bidimensionalmente.
Queste cellule possono provenire da un particolare tessuto o da cellule staminali embrionali. La loro struttura ha una serie di caratteristiche dell’organo reale: ad esempio, un organoide epatico sarà formato dai tipi cellulari presenti nel fegato.
Gli organoidi, inoltre, sono in grado di svolgere alcune funzioni dell’organo a cui assomigliano, ad esempio, quello cerebrale potrà presentare un’attività elettrica tra i neuroni.
Tuttavia, non essendo veri e propri organi, possono mancare di alcuni elementi e funzioni più complesse.
In ambito biomedico e oncologico, si rivelano “interessanti strumenti” per poter indagare lo sviluppo delle malattie sia neurovegetative che oncologiche.
In questo secondo ambito, il loro impiego è rivoluzionario in quanto consente di osservare le cellule e la loro evoluzione nel momento in cui si ammalano e si trasformano in cellule tumorali. Ciò significa offrire la possibilità ai ricercatori di studiare come poter intervenire in maniera “specifica”.
In particolare, gli organoidi cerebrali, ottenuti da cellule staminali pluripotenti, riescono a riassumere non solo l’eterogeneità in chiave genetica, ma anche la complessità istologica del tumore, fornendo ai ricercatori un quadro “definito” per sferrare l’attacco alla malattia.
In genetica sono impiegati per la cura della sindrome da X fragile, per alcune mutazioni genetiche, nella rilevazione della tossicità farmacologica, nella sostenibilità delle terapie e, in futuro, si spera di riuscire ad impiegarli anche nell’ambito dei trapianti: l’organoide realizzato con le cellule del paziente trapiantato potrebbe evitare i rischi del rigetto.
La possibilità di derivare gli organoidi da cellule umane, da un lato li rende maggiormente impiegabili e per certi versi più sicuri e compatibili rispetto a quelli la cui struttura usufruisce di cellule di derivazione animale (modificato), dall’altra sebbene riproducano, in maniera soddisfacente l’istologia degli organi, restano carenti rispetto “all’architettura” ed alle dimensioni dell’organo reale.
La creazione degli organoidi con cellule embrionali umane aumenta “la richiesta” delle cellule necessarie per la loro “costruzione”, ponendo rilevanti problemi di ordine etico con i quali la ricerca dovrà “fare i conti”.