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August 3, 2021
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August 3, 2021
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E se guardassimo alla salute mentale allo stesso modo in cui guardiamo a quella fisica?

Il caso di Simone Biles ci ricorda che dietro alla maschera dell’atleta forte ed indistruttibile c’è sempre la persona, con le sue fragilità e le sue emozioni

Antonio GiordanobyAntonio Giordano
E se guardassimo alla salute mentale allo stesso modo in cui guardiamo a quella fisica?

Simone Biles nel 2016 durante le Olimpiadi di Rio (Wikimedia/Foto di Danilo Borges/brasil2016.gov.br)

Time: 2 mins read

Sappiamo tutti che l’esercizio fisico fa bene. Aumenta i livelli di serotonina ed il benessere generale. Tuttavia, esercitarsi troppo potrebbe produrre effetti opposti sulla salute mentale che costituisce un aspetto importante rispetto all’ottimizzazione del rendimento degli atleti e che, molto spesso, non viene sufficientemente considerata.

Una scarsa salute mentale è una costante fonte di pensieri negativi su sé stessi. Questi pensieri possono essere così intensi da compromettere la concentrazione sulla gara ed influenzare la prestazione sportiva di eccellenza.

Un esempio potrebbe essere il ritiro della ginnasta Simone Biles dalle gare determinato dalla presenza di “demoni nella sua testa” quando in pedana e dalla sedicenne Benedetta Pilato che, condizionata dalle pressioni della vigilia, non nuota come sa venendo eliminata. Accade lo stesso alla tennista giapponese Osaka. I recenti casi di atleti alle prese con difficoltà mentali accendono un ampio dibattito. La lista degli sportivi che si sono esposti sulla questione della salute mentale lunga: dal calciatore Héctor Bellerín, che è stato messo a dura prova dal recupero da un infortunio, a Gigi Buffon, fino a stelle dell’NBA come DeMar DeRozan; il primo a fare eco alle parole forti, Kevin Love, giocatore dei Cavaliers che, nel 2020, ha aperto il vaso di Pandora con una emozionante lettera pubblicata da The Player Tribune, fino Lewis Hamilton e Michael Phelps.

Dietro alla maschera dell’atleta d’elite forte ed indistruttibile c’è sempre la persona, con le sue fragilità, le sue emozioni, la sua storia, la sua semplicità. Spesso, l’atleta viene dipinto come una creatura perfetta, sempre iper-performante e si perde di vista l’uomo con le sue debolezze.

È indubbio che gli atleti sono esposti a numerosi fattori di stress legati alla loro professione: il rischio di infortunio, la gestione della fine della carriera, la vita sotto i riflettori, gli sponsor e tutti i risvolti economici, nonché il perfezionismo, ovvero la propensione a porsi standard di prestazione molto elevati associati ad autovalutazioni critiche. Se da una parte il perfezionismo può avere risvolti funzionali, motivando l’atleta al miglioramento continuo, dall’altro potrebbe rivelarsi un fattore di rischio se pervasivo, rigido, totalizzante che potrebbe indurre nell’atleta a meccanismi di evitamento. Il perfezionismo è fortemente correlato con i disturbi alimentari negli atleti.

Aggiungiamo a tutto questo la situazione attuale, una pandemia mondiale che ha sconvolto la vita di tutti, che ha fatto rimandare di un anno le Olimpiadi e i programmi di tanti sportivi; un anno di allenamenti, rinunce, scelte di vita, distanze, sudore, pressioni. Tutto ciò ha avuto un forte impatto di stress. Improvvisamente, i loro sforzi sono stati messi in pausa, chiedendo loro di rimettersi in gioco dopo altri 12 mesi, un prezzo “incalcolabile” da pagare.

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Antonio Giordano

Antonio Giordano

Sono nato nel '62 a Napoli dove mi sono laureato in Medicina e Chirurgia. Sono direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Philadelphia dove vivo con la mia famiglia. Dal 2004 sono professore per “chiara fama” all’Università di Siena. Di me dicono che abbia una certa esperienza nella genetica del cancro e nella regolazione del ciclo cellulare. Di sicuro c'è che i miei studi hanno contribuito alla comprensione di alcuni dei meccanismi alla base dello sviluppo del cancro e al disegno di una nuova generazione di farmaci. Ho all'attivo oltre 600 pubblicazioni e più di 30 premi. Sono appassionato della squadra di calcio del Napoli. www.drantoniogiordano.com www.shro.org Antonio Giordano is Professor of Biology at Temple University in Philadelphia where he is also Director of the Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine. He is also ‘Chiara Fama’ Professor of Pathology at the University of Siena, Italy. His research interest includes both molecular and translational mainly focused on cell cycle deregulation in cancer. Dr Giordano identified a tumor suppressor gene, Rb2/p130, that has been found to be active in lung, endometrial, brain, breast, liver and ovarian cancers and also discovered Cyclin A/p60, Cdk9, and Cdk10. Cdk9 is known to play critical roles in HIV transcriptions, inception of tumors, and cell differentiation,[3] They also play a part in muscle differentiation and have been linked to various genetic muscular disorders. He has published over 600 articles and received over 40 awards for his contributions to medical research.  www.drantoniogiordano.com www.shro.org

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